La
valutazione rappresenta sicuramente la funzione educativa che risente
più delle altre delle trasformazioni avvenute nel sistema scolastico
sia sul piano qualitativo che su quello quantitativo. Nelle scuole, già
da tempo si avverte l’inadeguatezza dei modelli delle pratiche
valutative tradizionali e la limitatezza di un compito solitamente
inteso come espressione di apprezzamenti sugli allievi, cresce inoltre
nei docenti la consapevolezza che le modalità di accertamento del
profitto praticate sono poco funzionali. Per lungo tempo la valutazione
ha operato come uno strumento di un sistema educativo atto ad
allontanare quanti non rientrassero all’interno di certe
caratteristiche di tipo intellettuale e di comportamento, facendo
assumere a voti e giudizi il significato di una dichiarazione di
accettabilità o meno dei sistemi di valori propri degli allievi, a
prescindere del livello di apprendimento raggiunto. In Italia, si è
dato inizio a una riflessione seria sulla valutazione quando è stato
chiaro che la scuola doveva migliorare i suoi ordinamenti e le sue
strategie, per poter rispondere a esigenze che si facevano sempre più
ampie. In pratica, man mano che la scuola diventava di massa, imponeva
ai governi strategie d’insegnamento e di valutazione più attente, più
sofisticate, più rispondenti alla necessità di promuovere cultura e
conoscenze.
In questo contesto si inserisce la «Programmazione educativa e
didattica», adottata nell’intera scuola dell’obbligo con la legge n.
517/77, con la quale furono aboliti i voti e fu introdotta la pratica
del giudizio. Ebbe così inizio una lunga stagione di ricerca,
sperimentazione e innovazione, contrassegnata anche da un succedersi di
proposte e di documenti valutativi (la scheda personale dell’alunno)
finalizzati a costruire una pratica assolutamente nuova del valutare,
che interessasse non solo i momenti terminali dello studio di un
alunno, ma anche e soprattutto quelli iniziali (la valutazione in
ingresso), quelli di percorso (la valutazione continua) e quelli,
ovviamente, conclusivi.
La cultura della valutazione, dopo l’innovazione del 1977 e, dopo circa
venti anni di ricerca teorica e pratica, richiedeva un coinvolgimento
della totalità degli insegnanti e, soprattutto, degli alunni e dei
genitori. Nel 1996, con la circolare 491, fu adottata una nuova scheda,
valida per l’intera scuola dell’obbligo, la quale, per certi versi,
semplificava le operazioni valutative, per altri, però, le impoveriva
sotto il profilo concettuale. Infatti, al fine di rendere più agevole
l’operazione valutativa e la lettura della scheda da parte degli alunni
e delle loro famiglie, furono eliminati i giudizi per discipline e
sostituiti con dei semplici aggettivi, ovviamente più immediati alla
lettura, ma scarsamente informativi sotto il profilo analitico. I
livelli rimasero sempre cinque, con questa distribuzione: non
sufficiente, sufficiente, buono, distinto, ottimo, già utilizzati sui
diplomi al termine degli esami di Stato della terza media. Ovvio che,
se una valutazione di questo tipo si poteva giustificare in un esame
d’istruzione obbligatoria, come si sa mira a orientare e non a formare,
risulta assolutamente inadeguata per indicare di volta in volta il
graduale livello di sviluppo di un alunno.
D.P.R. n. 122/09
Tante le leggi e le circolari ministeriali negli ultimi venti anni, ma
sicuramente quella che ha portato cambiamenti di rilievo alla
valutazione del comportamento e degli apprendimenti degli studenti è
quella relativa al Regolamento di coordinamento delle norme sulla
valutazione degli alunni (D.P.R. n. 122 del 22 giugno 2009), emanata in
seguito a quanto prescritto dalla legge n. 169/2008. Tale regolamento
non ha modificato sostanzialmente la prassi valutativa seguita degli
anni precedenti, anzi ha puntualizzato diversi aspetti, introducendo
alcune novità e dando luogo a un nuovo quadro di riferimento normativo.
Nel primo articolo, ricco di riferimenti pedagogico – normativi, la
valutazione è intesa quale elemento qualificante non solo
dell’autonomia professionale del docente, nella sua duplice dimensione
individuale e collegiale, ma anche dell’autonomia didattica delle
istituzioni scolastiche. Dallo stesso decreto si evince, inoltre,
richiamando l‘art. 21 della legge 59/97 e il Regolamento di autonomia
di cui al D.P.R. 275/99 , che sono le istituzioni scolastiche,
nell’esercizio dell’autonomia didattica, a individuare le modalità e i
criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa
nazionale (art. 4 comma 4 D.P.R. 275/99 ). La valutazione dell’alunno è
posta in relazione al processo di apprendimento, al rendimento
scolastico e al comportamento e gli obiettivi di apprendimento vengono
definiti dal POF, nel rispetto degli indirizzi generali circa la
valutazione degli alunni che, ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. 275/99,
devono essere definiti dal Ministero della Pubblica Istruzione, previo
parere delle Commissioni parlamentari e sentito il Consiglio Nazionale
della Pubblica Istruzione. È compito, inoltre, del Collegio dei Docenti
definire i criteri che assicurino omogeneità, equità e trasparenza
nella valutazione a livello di istituzione scolastica, in modo da
garantire alle famiglie il diritto ad avere un’informazione
trasparente, equa e tempestiva che permetta di seguire il processo di
apprendimento dei propri figli. Tra le novità che hanno fatto più
discutere troviamo nel primo ciclo d’istruzione l’espressione in decimi
della valutazione periodica e finale degli alunni e la valutazione del
comportamento che viene espressa nella scuola primaria attraverso un
giudizio collegiale dei docenti contitolari della classe ovvero dal
docente unico. Nella secondaria di primo e secondo grado la valutazione
del comportamento viene espressa collegialmente con voto numerico
riportato anche in lettere. Agli Esami di Stato previsti (art. 11 del
D.to L.vo 59/04) al termine della scuola secondaria di primo grado,
accede chi ha conseguito una votazione non inferiore a sei decimi in
ciascuna disciplina e nel comportamento, previo accertamento della
frequenza di almeno due terzi dell’anno scolastico, salve le motivate
deroghe deliberate dal Collegio dei docenti. La certificazione dei
livelli di apprendimento raggiunti da ciascun alunno è effettuata al
termine della scuola primaria, secondaria di primo e secondo grado,
nonché con riferimento all’adempimento dell’obbligo di istruzione. Tale
certificazione ha la finalità di sostenere i processi di apprendimento,
di favorire l’orientamento e l’inserimento nel mondo del lavoro. Nel
primo ciclo, i «documenti di valutazione degli alunni» sono adottati
autonomamente dalle istituzioni scolastiche (art. 2, c. 2), mentre i
modelli per le certificazioni delle competenze, da effettuare a
conclusione della scuola primaria e dell’esame finale del 1° ciclo,
sono predisposti dal Ministero (art. 8, c. 6). Anche nella scuola
secondaria di secondo grado sono rilevanti le novità introdotte dal
regolamento, la valutazione del comportamento concorre alla
determinazione dei crediti scolastici e nel caso in cui il Consiglio di
classe si esprimesse per un voto concernente il comportamento inferiore
a sei decimi, si determina la non ammissione alla classe successiva o
all’Esame di Stato. Si accede alla classe successiva solo conseguendo
un voto non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina e nel
comportamento e nel caso in cui, in sede di scrutinio finale, un alunno
non raggiungesse la sufficienza anche in una sola disciplina, viene il
giudizio sospeso e l’esito viene comunicato alla famiglia.
Conseguentemente vengono programmati interventi di recupero delle
carenze rilevate, al termine dei quali il Consiglio di classe, in sede
di integrazione dello scrutinio finale, procede alla verifica dei
risultati conseguiti ed alla formulazione del giudizio finale prima
dell’inizio delle lezioni dell’anno successivo. Anche al termine del
secondo ciclo viene rilasciata la certificazione utilizzando come
parametro le conoscenze, le abilità e le competenze previste
dall’apposito allegato al DM 139/2007, mentre per ciò che riguarda la
certificazione per il riconoscimento dei crediti formativi e delle
competenze relative ai percorsi di istruzione e formazione
professionale si ha riguardo all’art. 20 del D.to L.vo 226/2005.
Occorre precisare che la certificazione delle competenze per i diversi
gradi e ordini d’istruzione, dovranno tener conto anche delle
indicazioni espresse dall’INVALSI e dalle principali rilevazioni
internazionali. Per l’alunno disabile seguito da più insegnanti di
sostegno, questi esprimeranno un unico voto o giudizio valutativo; per
l’insegnamento della religione cattolica la valutazione continua ad
essere effettuata con la «speciale nota» redatta dal relativo docente,
senza attribuzione di voto numerico. Il personale non titolare della
classe, che abbia svolto «attività o insegnamenti per l’ampliamento e
il potenziamento dell’offerta formativa», e i docenti dell’attività
alternativa all’insegnamento della religione cattolica «forniscono
preventivamente ai docenti della classe elementi conoscitivi
sull’interesse manifestato e il profitto raggiunto da ciascun alunno»
(art. 2, c. 5 e art. 4, c. 1). Questi principi che costituiscono il
fondamento dell’attività valutativa della scuola, certamente non sono
nuovi, ma per la prima volta nell’ultimo decennio vengono evidenziati e
proclamati in maniera complessiva e organica in un testo normativo.
Bisogna ammettere che il ritorno, a più di dieci anni di distanza, il
ritorno alla valutazione decimale, voluta dai ministri Tremonti e
Gelmini, rappresenta uno dei punti di criticità. Per anni si è
insistito nel sostenere che misurare una prestazione non è lo stesso
che altra cosa valutarla; una cosa è valutare un processo, altra cosa
valutare un prodotto. Si tratta di operazioni diverse che richiedono
criteri operativi diversi. Si è detto che la votazione decimale è
assolutamente inadeguata a fronte delle due operazioni del misurare e
valutare, poiché il voto è utilizzato indifferentemente per ambedue. In
altri termini, il voto è uno strumento assolutamente povero a fronte di
quella cultura della valutazione che abbiamo maturato nel corso degli
ultimi quarant’anni. Pertanto, il ritorno al voto, giustificato in
forza della semplicità e della trasparenza, di fatto ci riporta
indietro,verso una Scuola più proiettata nel selezionare che di
promuovere. In effetti, tutto il gran dire che si fa sull’eccellenza e
sul merito trova proprio nel voto la sua legittimazione, è con il voto
che la scuola esprime il suo giudizio su alunni meritevoli e non
meritevoli, capaci e incapaci. Tuttavia il ritorno al voto, non è
un’operazione destinata a semplificare la valutazione, ma a restituire
anche al primo ciclo d’istruzione quella caratteristica di primo
strumento selettivo che si credeva, chiusa per sempre.
La tutela amministrativa e la tutela
giurisdizionale delle valutazioni
L’attribuzione dei crediti, l’ammissione agli esami di Stato,
l’attribuzione del voto finale, e quindi l’applicazione del regolamento
sono atti frequentemente oggetto di ricorso giurisdizionale da parte
dei genitori degli alunni. In vista degli scrutini di fine anno
scolastico e dell’esame finale della scuola secondaria di primo e
secondo è opportuno affrontare un aspetto della valutazione didattica
che, spesso operatori e educatori della scuola non prendono in
considerazione, cioè esaminare le conseguenze processuali della
valutazione medesima. È prassi consolidata, per i dirigenti scolastici,
ricevere al termine dell’anno scolastico, la notifica di un ricorso
giurisdizionale da parte di qualche genitore insoddisfatto della
valutazione espressa nei confronti del proprio figlio. Sul piano
didattico, quando ciò accade, è sicuramente il segnale di un «corto
circuito» nel rapporto scuola – famiglia; in altri termini, significa
che nel corso dell’anno scolastico, per la negligenza di una delle due
istituzioni, non vi è stato quel dialogo che consentisse di individuare
e fronteggiare per tempo, le lacune dell’alunno o gli eventuali
problemi sottostanti. Alla luce delle più recenti pronunce della
giustizia amministrativa, si cercherà di esaminare i tratti
fondamentali in cui si può articolare la tutela giurisdizionale ammessa
dall’ordinamento contro i risultati scolastici. Per il genitore che
intenda impugnare una valutazione negativa o una bocciatura,
l’interesse preliminare è quello di procurarsi la documentazione
necessaria a suffragare la propria tesi circa l’erroneità del giudizio
espresso; il procedimento è quello ordinario di accesso ai documenti
amministrativi disciplinato dagli artt. 22 e segg. della L. n. 241/1990
, e pertanto il richiedente deve dimostrare di essere portatore di un
«interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione
giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto
l’accesso» (art. 22, comma 1, lett. b). Recentemente si è pronunciato
sul punto il Consiglio di Stato, con sentenza n. 7650 del 28.10.2010,
sulla quale vale la pena soffermarsi e incentrare l’attenzione. Si
trattava di un giudizio di appello avverso una sentenza del TAR Lazio,
Roma, che aveva riconosciuto fondato il diniego di accesso formulato
dal dirigente scolastico di un liceo classico ai genitori di uno
studente che pretendevano l’ostensione degli elaborati scritti del
proprio figlio e degli altri compagni di classe (IV ginnasio) nelle
materie di inglese, italiano, greco e matematica, oltre che ai registri
personali delle insegnanti delle citate materie. Il giudice di primo
grado aveva limitato l’accoglimento all’istanza degli interessati di
accedere agli elaborati concernenti il proprio figlio, oltre ai
registri di classe, mentre aveva respinto la richiesta di accesso alle
copie di tutti i compiti svolti dall’intera classe, nel presupposto che
l’interesse diretto dei ricorrenti si concretizzasse esclusivamente
nella tutela della posizione del proprio figlio, mentre l’analisi degli
elaborati degli altri studenti della classe costituiva un raffronto di
situazioni disomogenee tra loro e di scarsa utilità per l’interesse
azionato. I genitori hanno impugnato in appello tale sentenza, sulla
base di un orientamento consolidato presso il Consiglio di Stato che in
passato si era pronunciato favorevolmente all’accesso anche agli
elaborati dei compagni, ritenendo che esistesse un interesse dei
genitori a siffatta esibizione, poiché essi «non possono considerare e
valutare il trattamento riservato al figlio se non in comparazione con
quello riservato agli altri alunni della classe». L’unico limite al
diritto di accesso, dunque, poteva essere il rispetto della
riservatezza degli altri studenti coinvolti nella disamina. Nel caso in
oggetto, la VI Sezione del Consiglio di Stato cambia completamente
registro, e focalizza la propria attenzione sul lodevole interesse dei
genitori dichiarando che costoro hanno un interesse diretto, concreto e
attuale solo nei confronti della vicenda del proprio figlio, tanto più
che la valutazione didattica non viene svolta per scegliere
comparativamente il migliore in un gruppo (il che potrebbe dar luogo a
discriminazione), ma è finalizzata a permettere al singolo allievo di
procedere consapevolmente nella costruzione del suo apprendimento. La
pretesa di esaminare anche gli elaborati dei compagni del figlio si
traduce, per il Consiglio di Stato, in una pretesa di controllo
generalizzato dell’azione della Pubblica Amministrazione: ma ciò, a
termini dell’art. 24, c. 3 della L. n. 241/1990 è inammissibile.
Dunque, nel caso esaminato, l’esigenza della trasparenza della
valutazione ha trovato un limite nell’esame di ciò che, in senso
stretto, costituiva oggetto dell’interesse dei genitori, costoro
dovevano capire perché il figlio non era stato ammesso alla classe
successiva e per farlo – secondo il Consiglio di Stato – è più che
sufficiente esaminare, a livello documentale, gli elaborati
dell’allievo e i registri degli insegnanti, senza necessità di andare a
scandagliare le situazioni degli altri compagni di classe. Seguendo
tale impostazione, si rafforza l’idea della valutazione come work in
progress che riguarda il singolo allievo, certamente contestualizzato
nel gruppo classe ma giudicato personalmente, per la sua personale
crescita nell’apprendimento. Se ci si addentra ora nei profili più
prettamente procedurali, ai genitori che intendano impugnare una
valutazione negativa o una bocciatura si pongono due soluzioni: la via
giurisdizionale o quella amministrativa. I provvedimenti adottati dagli
organi di valutazione della scuola (Consigli di classe e Commissioni
d’esame) sono atti definitivi e, pertanto, possono essere impugnati in
via giurisdizionale, innanzi al TAR competente per territorio, entro
sessanta giorni dall’affissione all’albo della scuola dei risultati
degli scrutini e degli esami, in altre parole, alternativamente, in via
amministrativa, con ricorso al Presidente della Repubblica, entro 120
giorni. Quanto al ricorso gerarchico, pure esperibile avverso i
provvedimenti definitivi (quali quelli in esame), esso non appare
praticabile perché, laddove si presenti un siffatto ricorso all’Ufficio
Scolastico regionale, questo non può ritenersi superiore gerarchico –
quindi competente a decidere il ricorso – né nei confronti dei Consigli
di classe, stante l’autonomia delle istituzioni scolastiche, né nei
confronti delle commissioni d’esame. Tuttavia, anche ai fini di un
risparmio di tempo e denaro, spesso i genitori insoddisfatti propongono
censura alla valutazione scolastica dei figli attraverso un «reclamo»,
volto a evidenziare vizi formali degli atti valutativi, e che pertanto
va presentato alla stessa autorità responsabile dell’atto conclusivo
del procedimento,ossia il dirigente scolastico. Questi potrà valutare
la fondatezza del reclamo, e accoglierlo, ovvero rigettarlo, specie se
ritenga che le censure proposte esorbitino dalla sua sfera gestionale;
in caso di accoglimento, può procedere a verifica degli atti oggetto di
censura (si consideri che è potere del dirigente procedere all’apertura
dei plichi, purché sia redatto verbale delle operazioni); nel caso in
cui riscontri anomalie, può invitare l’organo collegiale a sanare il
vizio, o archiviare il procedimento, se non riscontri alcun vizio. In
ogni caso, i provvedimenti dirigenziali a seguito di reclamo vengono
inviati all’Ufficio Scolastico provinciale, per consentire l’esercizio
del suo potere di vigilanza. Nell’ipotesi che l’istituzione scolastica
sia invece chiamata in giudizio, la difesa spetta all’Avvocatura
distrettuale dello Stato, che in tanto potrà spiegare una compiuta
difesa, poiché abbia a disposizione tutti i documenti necessari a dare
conto della corrispondenza tra i parametri valutativi fissati a inizio
anno e il giudizio finale espresso sull’alunno: dunque, saranno di
fondamentale importanza i registri personali dei docenti riferiti alla
posizione dell’alunno, le pagine del registro di classe ove siano
annotati comportamenti dell’alunno rilevanti ai fini della valutazione
finale (se ci siano stati, ad esempio, provvedimenti disciplinari a suo
carico), i verbali dei consigli di classe, nelle parti in cui si parla
dell’alunno, ovvero i piani d’intervento individualizzati (corsi di
recupero ecc.), le comunicazioni alla famiglia. Da quanto fin qui
esposto, appare chiaro che esistono disposizioni di legge e normative
per la valutazione scolastica che il Docente deve conoscere.
Quest’ultimo non può agire per «sentito dire» o «perché così ha sempre
fatto», ma nel rispetto della Legge. Quindi, quanto più scrupoloso è
stato nella redazione degli atti nel corso dell’anno, tanto minori
saranno le possibilità che il TAR accolga le istanze di eventuali
genitori «insoddisfatti». Appare anche chiaro che il momento della
valutazione va affrontato con grande senso di responsabilità, in
maniera serena e senza pregiudizi, senza dimenticare che il voto è
destinato all’incoraggiamento ad apprendere, non a stigmatizzare
soltanto il non appreso, a volte «Gli spiragli di luce indicano, la
strada meglio del sole accecante».
Angela
Giardinaro (dal giornale, “La scuola e l’uomo”, organo ufficiale
dell’UCIIM)