Le scatole e
l'Invalsi
“Senti collega, io dovrei spiegare le equazioni. E’ un argomento un po’
ostico ed è necessaria la massima attenzione. Tu e Marco usate forbici,
colla e pennarelli e il rumore che fate crea distrazione per gli altri.
Penso sia il caso.…” Penso sia il caso.… che vi togliate dalle scatole!
Questo era il senso. Questa era la richiesta: uscire dalla classe e
andare in un altro luogo, l’aula di sostegno. Era maggio del 1990: una
vita fa.
E’ una vita che faccio l’insegnante di sostegno alle medie, questa cosa
può capitare. In verità prima, anni fa, capitava più spesso, ora quasi
mai. I colleghi di matematica e anche quelli delle altre materie sono
più sensibili, più preparati, più coinvolti. Dopo 23 anni da quella
volta mi è successo di nuovo, qualche giorno fa. Stavolta però non è
stato un collega di matematica, né di un’altra materia, è stato
l’INVALSI.
“I DSA, i disabili e tutti gli altri BES possono anche svolgere le
prove (tanto poi comunque non vengono conteggiate!), ma se hanno
bisogno di lettura ad alta voce o dell’affiancamento di un docente di
sostegno, devono svolgere la prova in un altro luogo!” Bene, le parole
delle note e delle circolari INVALSI non erano propriamente queste, ma
il senso concreto del messaggio e delle disposizioni era proprio quel
“Toglietevi dalle scatole!” di ventitré anni fa. Non è un bel segnale,
no!
Le etichette e i BES
Già tutte le preoccupazioni da BES (Bisogni Educativi Speciali)
bastavano! A scuola, da tre mesi, non si parla d’altro, pure i
collaboratori scolastici, il dirigente e il personale di segreteria ne
parlano.
Questo è positivo, certo. Si parla di BES e di inclusione, questo è un
fatto nuovo. Chi conosce la scuola perché la frequenta e ci lavora ogni
giorno riesce però a leggere tra le righe di una direttiva o di una
circola ministeriale e a coglierne gli effetti concreti e nefasti.
Individuazione, progettazione e attuazione dell’intervento didattico
personalizzato, questi sono i tre momenti del processo previsto per i
BES. L’individuazione prevede una suddivisione dei BES in tre fasce,
ben visibili nella bozza di Piano Annuale dell’Inclusività proposta dal
ministero:
le disabilità certificate (Legge 104/92 art.3, commi 1 e 3)
i disturbi evolutivi specifici (DSA, ADHD, DOP, FIL, altro)
lo svantaggio (Socio - economico, Linguistico - culturale,
Comportamentale – relazionale).
In pratica, solo per la prima fascia, quella dei disabili in situazione
di gravità, dovrebbero essere previsti il sostegno didattico e
specializzato, con insegnante di sostegno, e il Piano Educativo
Individualizzato (PEI). Per le altre due fasce non ci dovrebbe essere
il sostegno di un docente specializzato, ma l’intervento degli
insegnanti disciplinari che stilano e attuano un Piano Didattico
Personalizzato (PDP). Quegli alunni che ieri venivano chiamati
“psicofisici”, sigla per gli organici degli insegnanti: “EH”,
transiterebbero quasi in massa nei disturbi evolutivi specifici, senza
sostegno specializzato. Non so dare percentuali precise a livello
nazionale, posso parlare delle scuole della mia provincia: le
situazioni di gravità non superano il 20%. Ciò vuol dire che c’è un 80%
di alunni che rischia di perdere il sostegno specializzato e,
ovviamente, una percentuale corrispondente di docenti di sostegno che
rischia di perdere il posto.
Ma torniamo all’individuazione. Si è detto in passato che andava
superato il concetto di integrazione legata a un certificato medico.
Bene, ora viene proposto un modello organizzativo che prevede
l’inclusione legata a un numero imprecisato di certificati, riferiti a
svariate sigle che corrispondono ad altrettanti BES. Prossimamente
potremo ascoltare in sala professori discussioni preoccupate, del tipo:
“Nella mia classe ho un DSA, un ADHD e un FIL, è una situazione
insostenibile!” “Vuoi scherzare? Faresti a cambio con me che ho due ITA
L2 e tre SVANT, di cui uno socio – economico?”
Io resto un nostalgico e preferivo quando in sala professori non
usavamo sigle, ma parlavamo dei tormenti, delle difficoltà, delle
speranze e degli sforzi di Giulia, Jacopo, Pietro, Lorenzo e Azjri.
L’individuazione dei BES rischia di portare all’etichettatura e alla
medicalizzazione, con un massiccio ed invasivo intervento sanitario nel
momento dell’individuazione e anche in quelli successivi, che andrebbe
ad erodere e a svilire la componente didattica e scolastica in genere.
Non è una bella prospettiva. Non è decisamente una prospettiva
inclusiva.
C’è poi la fase di progettazione, a livello di singolo istituto
scolastico (Piano Annuale dell’Inclusività) e a livello di singolo
alunno con BES (Piano Didattico Personalizzato). In questa fase gli
insegnanti del consiglio di classe potranno contare su un massiccio
numero di organismi e di gruppi di lavoro di consulenza. GLH operativo,
GLI, CTI, CTS, GLIP, GLHP, GLIR, ecc. ecc., sono le sigle di gruppi di
lavoro con cui i docenti dovranno familiarizzare per avere supporto e
coordinamento interni ed esterni alla propria scuola. Chi sa di scuola
e di risorse finanziarie a disposizione, sa comunque che questi gruppi
di lavoro sono legati per lo più a competenze individuali e a spirito
volontaristico.
Basti l’esempio del GLI. Si tratta del gruppo di lavoro interno a ogni
singola scuola che prima si chiamava GLH (Gruppo di lavoro per
l’handicap) e ora si chiama appunto GLI (Gruppo di lavoro per
l’inclusione). Devono far parte del GLI alcuni insegnanti della scuola
(di sostegno e curricolari) con particolari competenze, personale
esperto esterno e genitori, oltre al dirigente scolastico. Il GLI,
recita la circolare sui BES del marzo scorso, si deve riunire almeno
una volta al mese, ma, visto il numero molto corposo di compiti da
svolgere, di fatto dovrà farlo molto più spesso. Il GLI può riunirsi in
orario di servizio (come in orario di servizio? In orario di servizio
gli insegnanti sono in classe!), oppure fuori dall’orario di servizio,
utilizzando i fondi d’istituto (quelli, per intenderci, che non ci
bastano per pagare le sostituzioni dei colleghi assenti e che ci creano
problemi per l’acquisto di computer e LIM, ma anche di carta per le
fotocopie e perfino di carta igienica). Bene, quindi, numerosi gruppi
di supporto all’inclusione. Supporto a distanza! Già, perché questa è
la grossa novità: bisogna passare da un sostegno in presenza,
dall’insegnante di sostegno, segregante e ostacolo alla vera autonomia
e all’inclusione, a un sostegno diversificato e di prossimità. “Dal
sostegno ai sostegni!” questo è il nuovo slogan.
Nella terza fase, infatti, quella dell’attuazione dell’intervento
didattico con i BES, non ci sarà il sostegno tradizionale con
insegnante specializzato, ma ci saranno “i sostegni”di consulenza. In
pratica, nella fase dell’attuazione didattica in classe, l’insegnante
disciplinare, che verrà formato e aggiornato in maniera intensiva ed
esaustiva, se la vedrà da solo. Da solo in una classe di 29 alunni.
Da solo con quattro o cinque Piani Didattici Personalizzati da attuare.
Da solo con indispensabili metodologie inclusive da adottare, quali
l’apprendimento cooperativo, il tutoring, l’apprendimento senza errori,
l’approccio metacognitivo, che, da sempre, sono state utilizzate grazie
alla contemporaneità e alla stretta collaborazione in classe col
docente di sostegno specializzato. Da solo a utilizzare strategie
didattiche di cerniera, quali l’adattamento dei libri di testo, la
creazione di schede di aiuto disciplinare, la costruzione di mappe e
schemi, la creazione di agende del compito, la gestione di laboratori
inclusivi, che, da sempre, hanno richiesto l’intervento di docenti
realmente specializzati e competenti, come gli insegnanti di sostegno.
Presenza, innovazione e tagli
Metodologie inclusive e strategie didattiche di cerniera hanno bisogno
di specializzazione e presenza operativa, non di consulenza a distanza.
I nostri alunni con bisogni educativi speciali e con disabilità hanno
bisogno di sostegno reale e non di consulenza a distanza.
Quelli che ora chiamano FIL, funzionamento intellettivo limite, i
bambini e ragazzi che hanno difficoltà lievi ma che rischiano ogni
giorno di perdere contatto con l’attività della classe e di perdere
motivazioni e amore per la scuola, hanno bisogno di presenza. Di una
presenza specializzata che sappia semplificare e adattare un testo,
creare uno schema, creare un’agenda del compito, organizzare un
laboratorio inclusivo per la creazione condivisa di materiali
didattici. Di una presenza specializzata che sappia ascoltare,
sorridere, spronare, motivare, toccare, abbracciare e sudare. Che
sappia poi, al momento giusto, staccarsi, allontanarsi, lasciar fare,
rendere autonomi. C’è bisogno di una presenza specializzata, c’è
bisogno di contatto operativo in classe, non da lontano. Altro che
sostegno a distanza! Altro che sostegno di prossimità!
Sono convinto che una nuova cultura inclusiva sia necessaria. Sono
convinto che l’attenzione verso tutti i bisogni educativi speciali sia
un’esigenza inderogabile della scuola pubblica e dei bambini e dei
ragazzi che in essa vivono. Sono convinto che la ricerca e la
letteratura sulle metodologie inclusive e sulle strategie didattiche di
cerniera debbano moltiplicare i loro sforzi e produrre innovazioni
sempre più funzionali. Ma non prendiamoci in giro!
Non proviamo a nascondere dietro a un impianto scientifico e valoriale,
come quello dell’inclusione e dei BES, un tentativo di taglio delle
risorse finanziarie alla scuola. Di taglio dei posti di sostegno. Non
commettiamo, nello stesso tempo, l’errore di sprecare addirittura le
risorse che ci sono. Le risorse professionali di chi, per venti o
trent’anni, ha costruito una personale specializzazione fatta di studio
e di esperienza diretta tra i banchi delle aule della scuola pubblica.
Innovare vuol dire far funzionare bene quello che c’è, lavorando sulle
criticità, stimolando le idee, la partecipazione, la presa in carico.
L’innovazione si produrrà rivedendo l’attuale e nefasto approccio ai
BES, eliminando l’etichettatura sistematica e la medicalizzazione,
coinvolgendo nell’intervento di sostegno chi è veramente specializzato,
non lasciando soli i docenti di classe proprio nel momento decisivo
della didattica personalizzata. L’innovazione si attua facendo
circolare veramente le risorse professionali che sono numerose
all’interno della scuola pubblica, formando veramente tutti i docenti
sulle metodologie e sulle strategie didattiche per l’inclusione.
Valorizzare le professionalità e le specializzazioni. Questa è la vera
innovazione! Questo è il vero sostegno alla scuola pubblica!
Carlo
Scataglini - laletteraturaenoi.it