E’ questo il
ritornello di una nota canzone che dovrebbe essere di aiuto ai ragazzi
di “pensare prima di agire” così pure anche per i grandi: “agire senza
mai smettere di pensare”.
I recenti fatti di cronaca, come l’uccisione dell’insegnante di
Religione a Vittoria, fanno molto pensare e anche se non si
arriva a tanto si riferisce di un fatto accaduto ad una professoressa
di Catania la quale, passando da Via Etnea, nei pressi di un elegante
bar, riceve uno sputo in faccia e poi un veloce "non l’ho fatto
apposta". La professoressa turbata, tornando a casa e riflettendo sua
quanto è accaduto, da brava educatrice scrive una lettera:
Al ragazzo che venerdì scorso,
attorno alle ore 15, davanti a un bar della "Catania bene" mi ha
lanciato ‘inavvertitamente’ uno sputo in faccia voglio rivolgere ancora
due parole.
Quella che hai "inavvertitamente"
colpito è una donna non catanese, un’insegnante che cerca di fare il
suo mestiere, come meglio può, da 23 anni, sempre e solo in una Catania
non amata, all’inizio, ma, alla fine, scelta.
Costretta a lavorare, per buona parte
del tempo, in scuole e quartieri a rischio, mi illudo ancora che il mio
lavoro serva a qualcosa: non certo a lasciare saperi nella testa dei
miei alunni, ma almeno buona educazione.
Ti scrivo perché ho inteso, dai pochi
minuti che ci hanno obbligato ad interagire, che non hai
compreso fino in fondo cosa mi ha
maggiormente ferito: hai detto una frase che troppo spesso sento
pronunciare a sproposito dai miei stessi studenti "non l’ho fatto
apposta!".
"Ma hai tirato un pugno al compagno!"
mi capita di urlare,
"e non l’ho fatto apposta!", mi sento replicare e allora sì che i miei
nervi saltano!
Ma come si può dire "non l’ho fatta
apposta"? Cosa vuol dire? Cosa vuol dire sparare con la carabina per
festeggiare il capodanno nel balcone, colpire a morte il vicino del
piano di sopra e dire "non l’ho fatto apposta?".
Un tempo, nel paese in cui sono
cresciuta, quando ciascuno sentiva i figli degli altri patrimonio
dell’intera comunità, per strada si sentiva più spesso dire agli
anziani "maleducato! Che ti hanno insegnato a scuola!".
Un tempo avrebbe avuto più senza
dirtelo, oggi no. Io che ci vivo nella scuola so quanto miseramente
essa abbia perso il carisma di scrostare cattive abitudini verbali e
comportamentali, sicuramente per colpa dei molti insegnanti che non
hanno avuto la mia stessa fortuna di scegliere questo mestiere, ma
anche per colpa di tante famiglie che, pur non avendo la patente di
genitore, invece di fidarsi e affidarsi alla scuola per il
completamento dell’educazione dei propri figli, preferiscono far da sé.
Non ti chiedo di scusarti con me. Ti
chiedo di trovare il tempo per rintracciare l’indirizzo di una tua
vecchia insegnante e di andarla a trovare. Dovesse chiederti per quale
motivo ti sia venuto questa idea. Dille solo che ti sei ricordato di
lei e che la ringrazi per quanto di buono ha cercato di trasmetterti.
Ed ora se puoi, abbi cura di metterlo in pratica. (R.T.)
Questo messaggio scritto dalla professoressa di inglese si spera
possa giungere ai tanti ragazzi distratti che ancora oggi agiscono
senza pensare e quindi è come se camminassero a testa in giù e piedi in
aria e non si sa per quanto tempo, prima o poi crolleranno.
La scuola, palestra di educazione , dovrebbe promuovere la modifica dei
comportamenti e quindi del modo di pensare, di sentire e di agire
in riferimento ai valori che vengono proposti ed insegnati anche
attraverso le discipline scolastiche.
Una buona scuola è garanzia di una "buona città" e questo auspicio è
nel desiderio di tutti. Solo che a volte ci si lascia prendere la mano
dalle tante emergenze e si trascurano quelle basilari che sono appunto
l’educazione.
Investire nella scuola e puntare verso una scuola di qualità e di
efficienza dovrebbe essere il primo segno di progresso e di sviluppo
per una città che intende rinascere nella "nuova primavera".
Giuseppe Adernò
g.aderno@alice.it