«Qui c’è un albero non piantato dalla mano
dell’uomo, germe nato da sé medesimo, e verdeggia abbondantemente in
questa terra: l’olivo dalle foglie glauche [...] che mai rapace vecchio
o capo devastatore estirperebbe con le proprie mani poiché ad esso
guardano gli dei del mondo dagli occhi chiari». Così Sofocle in
Edipo a Colono.
Ma non era soltanto lui, nell’antica Grecia, a ritenere sacro l’ulivo.
All’origine di questa credenza c’è una leggenda. L’onnipotente Zeus
amava mettere in competizione i suoi parenti più stretti. Un giorno
promise il dominio della terra a chi, tra gli dei dell’Olimpo, gli
avesse presentato il dono più utile all’umanità. Si fece allora avanti
suo fratello Posidone che, affondando il tridente nella roccia, fece
sgorgare l’acqua del mare consentendo così agli Ateniesi di navigare a
distanza e dominare il mondo. Ma Zeus, che pure aveva un debole per gli
Ateniesi, non se la sentì di assegnare la vittoria al fratello: volle
mettere alla prova sua figlia Atena, prima di pronunciarsi. Questa
cominciò a percuotere la terra ordinandole di produrre un albero nuovo
e meraviglioso. Detto fatto: nacque l’olivo. Ebbro di gioia, Zeus
dichiarò chiusa la gara e consegnò la palma alla figlia, sentenziando
che mai dono divino sarebbe stato più utile all’umanità. Leggenda per
leggenda, perché non ricordare anche quella di Aristeo? Si tramanda che
fu questo semidio nomade, figlio di Apollo e di Cirene, a diffondere la
cultura dell’olivo in tutto il bacino del Mediterraneo.
Peccato che gli Ebrei non ci credano.
Vuole infatti una vecchia leggenda ebraica che quando morì Abramo gli
trovarono tra le labbra tre semi, dai quali poi nacquero il cedro, il
cipresso e l'olivo. L’albero «dalle foglie glauche» sarebbe quindi nato
nella Terra Santa, per i figli d’Israele. Lo stesso popolo eletto è
definito da Geremia «ulivo verde, maestoso». E non è privo di
significato il fatto che ad annunciare a Noè la fine del diluvio
universale sia stata una colomba «con una fronda novella di olivo nel
becco». Di grandissima considerazione ha sempre goduto anche presso i
Cristiani la pianta dalla chioma sempreverde, se è vero che la croce di
Cristo fu costruita con legno d’olivo e di cedro. Altrettanto sacra e
considerata dall’Islam. Il Corano la considera infatti albero centrale,
simbolo dell’uomo universale, del Profeta. Insomma, l’olivo è sempre
riuscito a conciliare l’inconciliabile: profeti e sacerdoti pagani,
Cristo e Maometto, Ebraismo, Cristianesimo e Islamismo.
Miti e leggende sono fioriti ovunque a profusione sull’olio e
sull’olivo. E così i riti che, al di là della facciata, accomunano
popoli assai diversi per lingua e religione, storia e concezione della
vita: popoli che all’albero benedetto attribuiscono una grandissima
ricchezza simbolica, facendone di volta in volta emblema di pace,
fecondità, giustizia, sapienza, forza, purificazione… Se nell’Iliade,
Achille, fa ungere di olio il cadavere di Ettore, prima di restituirlo
a Priamo, nel sacramento dell’estrema unzione il sacerdote somministra
olio santo a chi sta per congedarsi dal mondo.
Commentando i riti funebri cristiani, lo pseudo Dionigi ricorda che
«dopo il saluto, il sacerdote spande olio sul defunto». Aggiunge che
«nel sacramento di rigenerazione prima del battesimo, quando l’iniziato
si è totalmente spogliato delle vecchie vesti, la prima partecipazione
alle cose sacre consiste nell’unzione di olio benedetto. E al termine
della vita è ancora l’olio santo che si sparge sul defunto. Per
l’unzione del battesimo si chiama l’iniziato all’agone dei
combattimenti sacri; l’olio versato sul defunto significa che egli ha
compiuto la sua carriera e messo fine alle sue lotte gloriose». È
opinione diffusa che l’unzione con l’olio d’oliva faccia risaltare
muscoli: ne facevano largo uso gli atleti ellenici e continuano a
farne, ovunque nel mondo, quelli dei nostri giorni. Nell’Africa del
Nord, ma anche in altre regioni mediterranee, da sempre i contadini
usano oliare il vomere prima di affondarlo nel suolo, forse in onore
all’Invisibile e alla stessa Madre Terra, i cui frutti nutrono il
genere umano e ne assicurano la sopravvivenza.
All’olio e all’olivo si attribuiscono poteri straordinari persino in
Estremo Oriente.
I Cinesi, per esempio, credono che il legno d’olivo neutralizzi
l’effetto letale di taluni veleni. Nel Mediterraneo l’olio ha
addirittura assolto per millenni alla funzione di corsia privilegiata
per il Paradiso.
Basti pensare a quanto se n’è consumato per illuminare templi, chiese,
sinagoghe e moschee.
Un versetto coranico recita: «Il Dio! Egli è luce in cielo e in terra,
e la sua luce è come quella di una nicchia: la lampada si trova serrata
in cristallo come astro di splendore, rimane accesa grazie all’olio,
pianta benedetta, questa pianta è l’ulivo. L’olio farebbe risplendere
la luce anche se ne non la toccasse il fuoco, mai».
La lucerna ad olio è forse l’unico manufatto di uso domestico che si
costruisce ininterrottamente dalla preistoria ai nostri giorni: viene
ancora usata come lampada votiva. È, insomma, l’emblema dell’homo
sapiens perché ha consentito ai nostri antichi progenitori di vincere
il terrore delle tenebre. Anche per questo l’olio è ritenuto sacro, ma
soprattutto perché l’inizio della sua coltivazione coincide con la
nascita dei villaggi contadini e la conversione alla vita sedentaria
delle prime comunità nomadi.
Prof. Giuseppe Oddo