
Ecco, la volontà di memoria, il pensare, il voltarci indietro: è questo l’ineludibile richiamo che ci resta, dopo un incontro con la pagina di Leonardo, sia essa di un romanzo, di un saggio, di un articolo di giornale. E da quella pagina sempre balzano la gioia, la felicità dello scrivere: anche quando si tratti di cose terribili, se non angosciose. «Non faccio nulla senza gioia», diceva Montaigne. La stessa gioia di Luciano, di Stendhal, di Savinio. La stessa gioia di Leonardo Sciascia: che è poi la gioia degli scrittori veri, dei cercatori di verità.
E mi viene in mente Cruciverba: uno dei libri più belli ed emblematici, più carichi di destino, di quel grande scrittore dell’esistenza. Perché in quel titolo c’è come rappreso e cristallizzato tutto l’universo sciasciano: la vita, il suo complicatissimo cruciverba, del quale Sciascia ha incessantemente scandito le intricate ascisse e ordinate. Non tanto a trovarne un’improbabile soluzione, quanto ad illuminarne le latenti ambiguità, le verità non visibili; e impegnato, piuttosto, a dissolvere il caos del reale nel cosmo della letteratura, in quella nitida e ordinata «sintassi della vita, del mondo, dell’uomo, di tutti gli uomini».
Ben consapevole, manzonianamente, della complessa, spesso oscura natura del vero, e insofferente delle banalizzazioni, dei dogmi, delle pietrificazioni ideologiche. Chiedendo aiuto (senza restarne prigioniero) alla ragione e al cuore, al sofisma e alla passione, sempre sorretto dal dubbio, dal rovello. Contraddicendo e contraddicendosi, tra le irreprimibili apprensioni del vivere. Sciogliendo il rigore dell’intelligenza nella gioia della scrittura. Temperando il sentimento tragico della vita con l’inesausta ricerca della giustizia giusta, della verità. Di una verità plurale, problematica, dialogica, contro ogni omologazione, contro le fabbriche di consenso del potere. Una verità che Sciascia ha disseminato in quel teatro della memoria sempre aperto che è tutta la sua opera: dove ogni volta nuovi spettatori, come in un gioco di intelligenza attiva, raccolgono le sue confidenze, le sue confessioni.
«Ce ne ricorderemo, di questo pianeta». E non poteva che essere la memoria – il dovere di ricordare, la memoria individuale che tenendosi in esercizio si salda alla memoria collettiva, alla Memoria – l’ultima parola di un eretico come Leonardo Sciascia, che se ne andava proprio oggi, 20 novembre, ventotto anni fa. Quella stessa memoria (vigile, volontaria, sempre pronta a scoprire e riscoprire) che è stata la sua ossessione più preziosa e proficua, oltre che la sua vecchia lanterna sempre accesa tra menzogne ed inquietudini, ferite ed inganni, eppure mai arresa ad illuminare da dentro la bellezza ed il mistero del vivere. «Ce ne ricorderemo, di questo pianeta». Ciao, Leonardo.
Giuseppe Giglio