Il primo
sovrano europeo a scatenare una violenta repressione contro i catari,
nel 1017, fu il re di Francia, Roberto II il Pio, perché li considerava
responsabili di gravi fatti di violenza e di massacri nei territori
francesi. Pochi anni dopo l’imperatore Enrico III fece impiccare alcuni
eretici catari, ritenuti protagonisti di gravi misfatti, ma le azioni
si estesero anche nei Paesi Bassi dove un fervente cataro di nome
Tanchelmo si circondò di tremila proseliti e portò scompiglio e
devastazione in tutta la regione, la repressione condotta dal duca di
Lorena fu terribile.
La chiesa di Roma aveva già messo in atto vari tentativi per impedire
la diffusione del catarismo: già nel 1143 san Bernardo da Chiaravalle
vide fallite le sue predicazioni a Tolosa, e nel 1165 un pubblico
contraddittorio tra teologi cattolici e catari tenutosi a Lombez
risultò inutile. Nel marzo 1179, nel terzo Concilio Lateranense,
convocato a Roma da papa Alessandro III, appositamente per discutere
dell’eresia dei catari, venne deciso di condannare e di confiscare i
beni a tutti coloro che abbracciavano la fede catara, inoltre, si
invitarono i principi secolari a porre gli eretici nella debita
soggezione, disponendo un’indulgenza biennale, o più ampia, a
discrezione dei vescovi, per chi prendeva le armi contro i Catari,
colpiti da anatema e accusati di professare dottrine eterodosse e di
sovvertire l’ordine sociale: «Ora in Guascogna, ad Albi, nella regione
di Tolosa e in altri luoghi la maledetta perversità degli eretici,
chiamati da alcuni Catari, da altri Patarini, Pubblicani e in altri
modi ancora, ha talmente preso piede, che ormai non professano in
segreto, come alcuni, la loro malvagia dottrina, ma proclamano
pubblicamente il loro errore e si conquistano dei seguaci tra i
semplici i deboli; ordiniamo che essi, i loro difensori e i loro
protettori siano colpiti da anatema, proibiamo a chiunque di
accoglierli nella propria casa o nelle proprie terre, di aiutarli di
esercitare con essi il commercio. Se poi morissero con questo peccato,
nessuno potrà richiamarsi a privilegi concessi da noi o invocare
qualche indulto per offrire la messa in loro suffragio o ammetterli
alla sepoltura cristiana». L’azione di forte opposizione della Chiesa
contro i catari iniziò in modo organico nel 1184 con la costituzione
“Ad abolendam”, di papa Lucio III, scritta in accordo con l’imperatore
Federico Barbarossa.
Ma fu con l’elezione di papa Innocenzo III, avvenuta nel 1198, che la
chiesa cattolica cambiò atteggiamento nei confronti dei catari,
scatenando una violenta repressione al diffondersi dell’eresia. Nel
1207 inviò in Linguadoca, nella zona di Tolosa, alcuni autorevoli
legati cistercensi, come Domenico di Guzmàn e Diego d’Azevedo, vescovo
di Osma. Nel 1200 affidò al legato pontificio Raniero da Ponza la
missione speciale di predicare contro gli eretici nella Francia
meridionale, nella Contea di Tolosa, incaricandolo di procedere contro
i ribelli con la scomunica e l’interdizione, ma con la possibilità di
sciogliere dalla condanna i pentiti. Il Pontefice nutriva ancora la
speranza di ottenere risultati positivi attraverso il dialogo e la
predicazione apostolica, con l’intervento del monaco cistercense, che
aveva conosciuto direttamente il tormento e l’angoscia che
caratterizzavano i movimenti ereticali. Ma l’intervento di Raniero da
Ponza, con l’applicazione di dure sanzioni, scomunica, esilio, confisca
dei beni, non ebbe l’effetto sperato, i Catari non si lasciarono
intimorire e persistettero nelle loro tesi, rifiutando ancora più
decisamente l’interpretazione delle scritture, i sacramenti
ecclesiastici, la gerarchia e l’intero apparato dogmatico, rituale e
organizzativo della Chiesa romana. Innocenzo III inviò ancora invano,
nel 1203, dei legati pontifici, con il compito di combattere l’eresia.
Anche stavolta fu tutto vano.
Così nel 1208, a Saint-Gilles, in seguito all’uccisione del legato
papale, il monaco cistercense Pietro di Castelnau, di cui furono
incolpati i catari, papa Innocenzo III, nello stesso anno, bandì una
crociata per estirpare gli eretici della Linguadoca, guidata
militarmente da Simon de Monfort, e, religiosamente, da Arnaldo di
Citeaux. La crociata contro gli albigesi, la prima contro popolazioni
cristiane, condotta dal 1209 al 1229, negli intenti doveva limitarsi ad
una rappresaglia contro i nemici della Chiesa, ma si trasformò ben
presto in una lunga guerra di conquista ad opera della nobiltà francese
del nord del paese ai danni delle contee provenzali. La prima città ad
essere assediata ed espugnata fu Béziers, nel 1210, seguita da
Carcassonne, e poi Montferrand, Montrèal, Albi e molti altri centri
della Linguadoca.
L’assedio di Tolosa, nel 1217-1218, fu il momento più difficile per i
crociati: Simon de Monfort venne ucciso, e il suo posto fu preso dal
figlio Amaury, pur non avendo le stesse capacità del padre. La crociata
contro gli albigesi, che assunse la forma di un vero e proprio
genocidio, terminò nel 1229 con la sconfitta delle regioni del sud, con
la pace di Meaux-Paris, siglata dai due contendenti, da una parte, per
il re di Francia Luigi IX, da sua madre la regina reggente Bianca di
Castiglia e dall’altra da Raimondo VIII, conte di Tolosa, dichiaratosi
“sconfitto e sottomesso”.
Gli scontri tra i cristiane e gli eretici furono molto violenti, per la
sola conquista della città di Béziers morirono migliaia di soldati dei
due fronti avversi. I numeri del massacro, amplificati dalla propaganda
anti-eretica, contribuirono a dare ai crociati la fama di invincibili,
spargendo terrore negli avversari. Secondo i legati papali furono
trucidate circa 20.000 persone, mentre gli stessi crociati affermarono
di aver sterminato “almeno un milione di persone”, sia cattolici che
catari, uomini, donne, bambini e anziani. Inoltre, la crociata aveva
ridotto in miseria la nobili della provincia della Linguadoca e di
conseguenza il catarismo che da loro traeva risorse a poco a poco si
spense. Ai baroni del sud e ai catari rimanevano due fortezze:
l’imprendibile Montségur e Queribus.
L’ultima roccaforte dei catari, Montségur,
fu espugnata nel 1244, in seguito al massacro ad Avignonnet di undici
inquisitori, tra i quali Arnaud Guilhem de Montpellier, Ètienne de
Narbonne, Stefano da Saint-Thibéry ed altri, con il loro seguito,
avvenuta nel 1242, trucidati nei loro giacigli, in una vera e propria
operazione militare, in cui fu accusato di essere implicato anche il
conte di Tolosa, Raimondo VIII. Quando si diffuse la notizia che gli
autori del massacro si erano rifugiati a Montségur, il concilio di
Béziers decise di conquistare la città, ritenuta una fortezza catara.
L’assedio iniziò nel marzo del 1243 e si protrasse per un anno, finché
un traditore, forse per denaro, rivelò agli assedianti una via
d’accesso alla città poco sorvegliata. Così i crociati, nel maggio del
1244, sferrarono l’attacco decisivo e riuscirono ad espugnarla
inducendo i difensori della fortezza alla resa. La guarnigione militare
fu lasciata libera mentre i catari furono processati: chi abiurava
aveva salva la vita, chi rifiutava veniva bruciato sul rogo. Tutti
rifiutarono di abiurare e la mattina del 16 marzo 1244 oltre 200 catari
furono arsi in una località che porta ancora il nome di Pratz dels
crematz (prato dei bruciati).
Tristemente famoso rimane il racconto fatto dal cronista cistercense
Cesario di Heisterbach, che così riporta: “durante l’ultima fase della
conquista di Montségur, molti catari trovarono rifugio con dei
cattolici in una chiesa. Il legato pontificio Arnaud Amaury, non
potendo distinguere gli eretici ma deciso di risolvere definitivamente
il conflitto, ordinò: “Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi!”. E fu
un massacro, decretando la definitiva fine dei catari e della loro
roccaforte di Montségur. Mentre con una successiva operazione militare,
nell’agosto del 1255, venne liberata anche la cittadella di Queribus.
In Italia i catari furono sterminati più tardi. Nel 1276, i fratelli
Mastino e Alberto della Scala espugnarono con le loro truppe la rocca
di Sirmione, dove si erano asserragliati numerosi perfecti insieme ai
vescovi di Desenzano e Bagnolo San Vito; i prigionieri furono portati a
Verona dove furono bruciati il 13 febbraio 1278.
Successivamente alle violenze della crociata venne “sostituita”
l’Inquisizione domenicana e francescana, durata per oltre 100 anni, dal
1233 al 1325, formalizzata nel 1233, da papa Gregorio IX, come
“Inquisitio hereticae pravitatis”.
Ufficialmente l’ultimo perfecto fu Guglielmo Bélibaste, condannato al
rogo nel 1321 per ordine dell’inquisitore Jacques Fournier, in seguito
diventato papa Benedetto XII. Bélibaste è considerato, dalle fonti
storiche, l’ultimo rappresentante dell’ultima generazione di catari
sopravvissuti fino agli inizi del XIV secolo, in Provenza, nella
regione del sud della Francia. Così il catarismo in Europa venne
definitivamente estirpato, la chiesa cattolica stravinse, i boni homini
e i perfecti cristiani vestiti di nero vennero cancellati dalla storia.
Di loro si persero le tracce, eliminati i ricordi, le memorie, gli
scritti, persino i loro nomi, le loro usanze e ciò in cui credevano,
diventarono solo leggenda, “aggirandosi” muti, come fantasmi, per tutto
il Medioevo. Ma niente è perduto se è stato. E adesso cosa resta!? Se
vi capita d’andare a Desenzano, in provincia di Brescia, proprio sul
bordo del lago di Garda, scorgerete un piccolo slargo intitolato
“piazzetta dei Catari”, forse un atto di omaggio e di riconoscenza
postuma agli “sconfitti” della storia e della religione cristiana.
Angelo Battiato