Cos’altro
potevamo aspettarci da un banchiere!? Da un uomo abituato a far di
conto e a far quadrare i conti. Da un burocrate avvezzo a usare la
calcolatrice per “pareggiare” l’impegno d’un uomo, per resettare una
giornata di lavoro, a misurare la fatica degli uomini con una cifra, a
conseguire il risultato da una somma algebrica, a mettere in colonna
uomini e mezzi e a tirare una linea con l’occhio alla resa, a
frazionare lo sforzo e a moltiplicare i profitti, a centellinare
dividenti per ottenere il resto. A sacrificare tutto e tutti
sull’altare della Quantità.
Ma a scuola no, caro presidente, a scuola non si può calcolare lo
studio, e il risultato dello studio, con i mucchietti di lenticchie,
non si può definire la conoscenza con i dati statistici, non si possono
spiegare gli apprendimenti con i contrassegni numerici. No! Non si può.
Si rischia di prendere fischi per fiaschi, si rischia di definire la
sete di conoscenza con il teorema di Pitagora, si rischia di mettere il
dolore dell’uomo tra le ascisse e le ordinate.
Si rischia di valutare le Madonne del Botticelli da quanto colore è
servito. Si rischia di conteggiare la teoria della relatività di
Einstein dal peso dei foglietti usati. Si rischia di valutare i
Promessi Sposi dal numero delle pagine del libro. A scuola vige la
legge della Qualità. “Na n’ura Diu lavura”, dicevano i nostri Avi. “Li
rosi non si vìnnunu a pisu / a mazzi ‘i vinti o deci, sù la sò spisa!”,
dice l’amico poeta Pasquale Musarra.
Lo studio, la conoscenza e l’apprendimento non si misurano a ore o a
lezioni, come l’impegno, la fatica e la perseveranza non si misurano a
giornate o a gocce di sudore.
Perché i ragazzi non sono bulloni e gli
insegnanti non sono tornelli. E non è una campanella in più o in meno a
fare la differenza, ma la voglia di conoscere e la volontà di imparare.
Con fatica, con impegno, con coraggio. Con la testa e il cuore.
Che non
si trovano di certo… a fine giugno!
Angelo Battiato