di Rosa Maria Sarri
Sarebbe bello pensare alla scuola come ad un centro culturale polivalente, un’isola dalle mille risorse, “che accoglie ed istruisce”, come dice la legge. L’avventura della ricerca, il gioco dell’esplorazione, la sperimentazione, la creatività divergente, l’immaginazione, potrebbero essere i ponti su cui fondare una nuova immagine dell’ambiente scolastico attuale. Questo per ogni bambino e ragazzo che si trova a intraprendere il cammino scolastico, indipendentemente dalle sue “abilità”.
D’altronde, se si parla “diversabilità”, c'è ancora molta strada da fare nell'attuazione della legge n.104/92, per quanto riguarda l'istruzione dei ragazzi disabili. Gli studenti con handicap sono moltissimi e in aumento. Il numero di bambini e ragazzi certificati nell'anno scolastico 1999-2000, pari nel 2000 a 124.155 alunni, è cresciuto del 33% dal 1989 al 1999 (dall'1,27% all'1,65% della popolazione scolastica). Gli insegnanti di sostegno sono 60.457, con un rapporto di un docente ogni 2,05 alunni. Se fosse rispettata la normativa vigente (legge 448/98), che stabilisce il numero degli insegnanti di sostegno, ci dovrebbero essere 57.400 posti di sostegno in ruolo.
Al di là di questo, la rivitalizzazione della scuola dovrebbe anche essere basata su di un dialogo costantemente aperto fra ogni professionalità che la forma. Insegnanti, operatori, esperti e molte altre figure costituiscono le voci di un contrappunto che si muove (o perlomeno dovrebbe) a strettissimo contatto per lo stesso obiettivo: l’incontro-trasformazione di nuove identità che si formano.
Fra i tanti elementi, in questo contesto, c’è anche la musicoterapia, confusa a volte con l’insegnamento di educazione musicale. In effetti, al di là della tendenza personale di ogni musicoterapista (e qui incide molto l’opinione di chi scrive!), il professionista stesso può anche fare ricorso a quella che potrebbe sembrare, ad occhi esterni, una pseudo educazione musicale, ma le due figure non si doppiano a vicenda, avendo invece l’occasione di convivere cooperando, anche per amplificare le loro azioni.
La musicoterapia nella scuola molto spesso viene chiamata ad essere per l’integrazione, per l’handicap ed il disagio. Viene richiesta per le più disparate situazioni, frequentemente anche in modo inconsapevole. In effetti un’informazione a monte, da parte delle strutture scolastiche e dei singoli, sarebbe un’ottima strategia (di diffusione della disciplina e di risparmio temporale).
Quello per cui in realtà la musicoterapia dovrebbe esistere, come elemento permanente all’interno delle strutture educative e formative attuali, è la creazione e conservazione di un ambiente “ecologicamente adatto” al confronto, alla discussione, alla valorizzazione di ciò che è diverso (tutto!), alla formazione di competenze ed alla crescita: l’esperienza umana e vitale col suono deve essere patrimonio della totalità dei bambini, dei ragazzi che oggi si trovano a percorrere l’avventura del cammino scolastico, per quanto lungo esso possa essere, e, perché no!, anche di chiunque lo voglia all’interno della scuola.
Si lavora, si gioca, ci si incontra con la musica e col suono in base a dove siamo, con chi siamo, nel momento presente dell’ “hic et nunc”. Così il bambino o la bambina (con handicap e non) entrano in relazione con la classe, con l’insegnante, con “l’amico musicale” in mille modi diversi e tutti scoprono le risorse di questi modi, i quali costituiscono anche opportunità di formazione, di relazione, di confronto, di contaminazione, di mutazione pacifica, creativa e non violenta. Sono preziose le figure dell’insegnante e dell’operatore che affiancano il professionista nel suo ciclo lavorativo: per queste figure stesse, per il contatto che hanno con i bambini/ragazzi (ad oggi sono molte le ore di convivenza alunno-insegnante), per una rivitalizzazione naturale che potrebbero scoprire attraverso la musica, per potenziare ed anche replicare alcune esperienze proposte dal musicoterapista, etc…
Dopotutto l’armonizzazione delle varie identità sonore di ogni persona comporta l’armonizzazione anche delle identità proprie, delle professionalità, degli ambienti e di quanto altro è necessario per una sana e pacifica collaborazione. Contemporaneamente a ciò è necessaria anche una rimessa in discussione dei canali che stabiliscono le conoscenze, le abilità già stabilite in partenza e che tutti devono acquisire con ritmi, forme e tempi prestabiliti. In questo sono importanti gli affetti, le emozioni, il principio del piacere, contattabili tutti tramite il suono ed i sensi.
Le esperienze di musicoterapia all’interno della scuola nascono, come anche in quasi tutti gli altri contesti, con degli obiettivi. Attività di composizione assistita, manipolazione di oggetti e materiali sonori, improvvisazione vocale e strumentale, G.I.M., drammatizzazioni sonore, costruzione di strumenti musicali, sperimentazioni sonore col corpo e molto altro ancora per provare a raggiungere questi obiettivi. Esperienze emotive, relazionali ed estetiche. A volte più tese all’animazione ed al coinvolgimento, altre ad un vero e proprio percorso terapeutico (anche se poi, molto spesso, sfido a stabilire un confine fra queste due frange). L’autostima, la consapevolezza, il gioco, il divertimento, lo stare insieme generati da esperienze estetiche sonore (e non) consentono al bambino/ragazzo di speerimentarsi, vedersi da molti punti di vista diversi, capire il mondo intorno a lui e le persone che lo formano. Nella scuola i materiali e le occasioni per fare questo sono molteplici, rimanendo paralleli e contemporanei alla cura dello sviluppo delle competenze cognitive o meno.
L’interazione fra diverse professionalità all’interno dell’organigramma scolastico, come in altre occasioni lavorative, indirizza quasi obbligatoriamente a “tradurre” il linguaggio di uso comune nella musicoterapia. Le attività sopra elencate generano schede osservative, protocolli, materiale di registrazione, etc…etc…; tutto questo entra in relazione con altri elementi dello staff educativo, i quali, molto spesso, non conoscono niente o quasi della disciplina. Perciò, il lavoro di “traduzione” di questi ausili musicoterapici è sicuramente un ottimo supporto alla comprensione dell’attività professionale del musicoterapista. Chiaramente il vantaggio che se ne ricava è ovvio ed il lavoro è indubbiamente molto più efficace.
In un anno scolastico standard non si può fare musicoterapia, per esempio, il martedì ed il mercoledì dalle 9 alle 13; bensì la si vive 365 giorni l’anno, 24 ore su 24, su ogni attimo che il bambino ed il ragazzo costruiscono nell’ambiente scuola (ed, oserei dire, fuori). Il ciclo temporale per un percorso di musicoterapia è lungo; si basa sui piccoli mattoni dell’ora che ogni volta è destinata al professionista perché viva il suo lavoro col singolo e/o col gruppo, tuttavia si snoda su di un percorso di mesi o meglio ancora anni.
Interagire con le scuole, le scuole di musica, i comuni e tante altre istituzioni significa attivarsi per una educazione alla pace, al valore della diversità ed al miglioramento della qualità della vita di ogni bambino, con e dentro la musica. I bambini ed i ragazzi producono suono per varie ragioni (così come gli adulti e gli anziani); ricercare all’interno di queste ragioni ci dà materiali e possibilità per portare avanti la nostra disciplina. Importante è porsi comunque e sempre in atteggiamento di ascolto
Porre al centro del suono le dinamiche vitali significa ri-generare questo suono, ri-animare l’individuo che lo porta dentro ed indirizzarlo verso un’ipotetica trasformazione, che noi possiamo solo suggerire ed aiutare. L’accoglienza del quotidiano, dell’improbabile, dell’improponibile, il riuscire a farne ingredienti per l’interazione, fonemi di nuovi linguaggi, ci spingono in maniera continuativa verso idee ed occasioni di cooperazioni alla luce del suono e della musica. Questo anche perché: “…..a scuola il bambino va «tutto intero» e non soltanto «con la testa»” (Rudolf Steiner).