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Cultura e spettacolo: Il violino di Paganini

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IL VIOLINO DI PAGANINI




Il violino di Paganini è un Guarneri del Gesù fabbricato da Giuseppe Guarneri (detto anche "Guarnerius") nel 1743, trentanove anni prima della nascita del violinista genovese.
Gli storici paganiniani non sono ancora riusciti a identificare la persona che gliene fece dono: è probabile che sia stato un certo Livron, dilettante e uomo d'affari che operava a Livorno nel 1802.

Paganini chiamava il violino affettuosamente "il mio cannone" a causa del suo suono robusto. Questa caratteristica viene messa in evidenza per la prima volta dal recensore del "Giornale delle due Sicilie" in occasione di un concerto tenuto da Paganini al Teatro S.Carlo di Napoli nel giugno del 1819.
Sempre a Napoli, sei anni più tardi, il Guarnieri rischia un incidente irreparabile, perché la convivente del musicista, Antonia Bianchi, in una scena di gelosia, afferra la custodia del violino e la scaglia sul pavimento mandandola in frantumi; ma il violino si salva grazie al tempestivo intervento del cameriere di Paganini, che lo strappa letteralmente dalle mani dell'indemoniata signora, impedendone la distruzione. Risalgono a quegli anni i primi contatti fruttuosi di Niccolò con i liutai, archettai, e fabbricanti di corde napoletani ai quali egli affida la costruzione di archetti su proprie specifiche anche con l'intenzione di venderli con i buoni uffici dell'amico e amministratore genovese Luigi Guglielmo Germi. L'archetto da lui adottato e mai sostituito con altri tipi o modelli era quello tartiniano, le cui dimensioni erano maggiori di quelle di un arco moderno.

Il Guarneri rappresentava per Paganini il prolungamento di sé stesso, una specie di "longa manus", quasi un essere umano, capace di un vero e proprio "comportamento". Quando per ragioni di salute, Niccolò fu costretto a non usarlo per qualche tempo, ecco che lo strumento protestava: "il violino - scrive Paganini - sta con me alquanto corrucciato".
Nel 1828 a Vienna Paganini si rivolge al liutaio C.Nikolaus Sawicki per una sostanziale modifica che comportava la sostituzione della tastiera. Evidentemente il violinista si era accorto che le prestazioni dello strumento potevano essere migliorate e adattarsi meglio alla sua visione della tecnica trascendente. L'operazione riuscì perfettamente.

A Parigi, nel novembre del 1833 Paganini, fa riparare lo strumento dal liutaio Vuillaume; la soddisfacente riparazione del violino viene annunciata all'amico Germi con una lettera del marzo 1834 da Parigi.
Sembra che Paganini fosse presente alla riparazione affidata al Vuillaume. Ma una cosa è certa: in quell'occasione il liutaio parigino provvide a ricavare una copia dello strumento, che Paganini acquistò per la somma di 500 franchi, copia poi ceduta a Camillo Sivori, il quale a sua volta la donò al Comune di Genova, che tuttora la conserva.
Nel 1834 il Guarneri compiva 92 anni e Paganini 52. Pur avendo annunciato il ritiro dalle scene, in realtà continuerà a tenere concerti in Inghilterra, Francia e Belgio con esiti non sempre positivi.

Col passare degli anni la voce del suo "Cannone" si fa sempre più flebile, come la sua stessa voce, ormai destinata ad ammutolirsi del tutto a causa della tisi laringea che lo affligge da tempo. Alla sua morte, avvenuta a Nizza nel 1840, il Guarneri e una ricca collezione di altri strumenti ad arco passa al figlio Achille, ma secondo una precisa disposizione contenuta nel testamento, il Guarneri viene legato alla città di Genova "perché fosse perpetuamente conservato". Varie vicende di carattere ecclesiastico legale e burocratiche ritardano la consegna ufficiale dello strumento alla città natale di Niccolò, finchè nel luglio del 1851, con apposita cerimonia, il violino viene consegnato al Comune di Genova.
Nel 1937 il violino viene nuovamente aperto e restaurato dal liutaio Cesare Candi.
Il "Cannone" si può ammirare in una sala di Palazzo Tursi, sede del Municipio di Genova, all'interno di una teca, insieme alla copia del Vuillaume.

Edward Neill





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Postato il Lunedì, 24 novembre 2008 ore 16:13:03 CET di Agnese Indelicato
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