Ci avevano chiamato - un po’ per scherzo e un po’ per inconfessabile complesso di superiorità - la «Strana Coppia». Noi, l’unica specie di ominidi trionfalmente scampata a qualunque disavventura, e loro, i possibili «cugini» con cui abbiamo vissuto per almeno 10 mila anni tra Europa e Medio Oriente e poi misteriosamente scomparsi. Strani davvero. Oppure male assortiti. I Sapiens alti e snelli, scuri di carnagione, aggressivi e socievoli, tanto creativi da dipingere grotte e montare collanine. I Neandertal piccoletti e tozzi, chiari di pelle, testardi e introversi, capaci di resistere anche al gelo dell’ultima glaciazione. Adesso la strana coppia si sbriciola sotto il caso in stile «Csi» scoperto dal professore della Duke University, in North Carolina.
Il killer è svanito, scappato per sempre in una comoda finestra temporale vasta alcune decine di migliaia di anni. Ma ha lasciato la traccia dell’arma del delitto, la punta di una freccia, che quel giorno si conficcò nel torace della sua vittima. I resti di Shanidar-3 - l’hanno battezzata così - sono stati ritrovati in una caverna del Nord-Est iracheno ed è a partire da quei frammenti di ossa che Churchill ha ricostruito il thriller. «Certo, non posso dire che sia stato ucciso durante un “blitzkrieg” dell’Età della pietra, con i nostri progenitori che marciano compatti e massacrano i nemici Neandertal. Ma - spiega l’antropologo americano - la ferita è proprio quella di un “proiettile” lanciato da un aggressore».
La prova è racchiusa nella lesione ancora evidente della nona costola sinistra e le analisi incrociate dei biochimici hanno permesso di ricostruire il prima e il dopo. Lo sconfitto Neandertal era un tipo già in là negli anni, un quarantenne, forse addirittura cinquantenne, tormentato dall’artrite (la malattia più diffusa tra i contemporanei, abituati a infernali sonnellini all’addiaccio). Potrebbe essere stato un capo, o forse solo il «vecchio» della sua micro-tribù. Comunque, sopravvisse al suo giorno più terribile. Cadde, si rialzò, gridò qualcosa nella sua lingua gutturale che alcuni antropologi stanno tentando di decodificare, fu soccorso da compagni premurosi. Lo portarono nella caverna dove cercò di sopravvivere con la forza della disperazione e qualche bistecca portata in dono dai più giovani prima di scivolare nell’agonia, probabilmente con un polmone forato e un’infezione che ne divorava progressivamente l’organismo.
I gruppetti di Neandertal, che tanto abili si erano dimostrati nella caccia collettiva ai mammuth e ai bisonti, stavano perdendo la sfida «high tech» lanciata a sorpresa dai Sapiens. Con un cervello più voluminoso, ma meno sviluppato nella corteccia orbitofrontale, quella della razionalità cartesiana, non furono folgorati dagli stessi «eureka moment» degli avversari. Nella competizione per gli habitat migliori persero progressivamente. Comunicavano di meno e quindi erano condannati a una minore creatività. I prototipi di fionde capaci di lanciare sassi e oggetti appuntiti e i rudimentali archi esibiti dai Sapiens - sostiene la vulgata dei ricercatori - andavano troppo al di là delle loro capacità immaginative. Formidabili per il fisico da Schwarzenegger, perdevano punti nelle astrazioni ingegneristiche alla Bill Gates.
Il primo delitto racchiude una millenaria gara di intelligenza? Può darsi. Ma il professor Churchill sa bene che nel suo settore le controversie sono infinite. Se una teoria sostiene che qualche Sapiens si innamorò di qualche Neandertal e, forse, insieme fecero figli, il genetista del Max Planck Institute di Lipsia, Svante Paabo, ribatte che il nostro e il loro Dna sono incompatibili. Comunque sia, la recente scoperta di un flauto neandertaliano in Slovenia ha spazzato via l’immagine di questi ominidi come dei bruti: è per questo che l’ultimo test di Churchill sembra un estremo atto di scortesia, se non di anglosassone perfidia. «Ho usato alcune carcasse per testare la ferita: i maiali sono perfetti per simulare il torace di un Neandertal!».