«Aspro preludio di sinfonia sorda, tremante violino a corda elettrizzata, tram che corre in una linea nel cielo ferreo di fili curvi mentre la mole bianca della città torreggia come un sogno, moltiplicato miraggio di enormi palazzi regali e barbari, i diademi elettrici spenti».Da Passeggiata in tram in America e ritorno
Una vita errabonda, chiusa a trentatre anni con il ricovero in manicomio, ha sbrigativamente fatto di Dino Campana (1885-1932) un maudit, il Rimbaud italiano, un caso clinico da affidare all'aneddotica. Autore di un solo straordinario libro, i Canti Orfici (1914), pur affondando le proprie radici nella cultura europea, quella simbolista in particolare, il «poeta pazzo» ha in realtà caratteri propri che lo rendono difficilmente collocabile in una linea o in una tradizione. Quella del «visionario», forse la figura piú inquietante del nostro Novecento letterario, è una scrittura orfica (cioè misteriosa, oscura, per iniziati) scaturita da una vena ben consapevole della «purità di accento» che la percorre. Un solo volto ha la Chimera di colui che amava definirsi «l'ultimo dei Germani in Italia»: quello della Poesia.… come per un’eco profonda e misteriosa, dentro l’infinita maestà della natura”, appunto, da cui scaturisce la longiniana e sublime “eco di un alto sentire”, a fondamento di una poesia che è ispirazione che esistenzialmente s’invera “nel cosmo di cui è parte”, sia per un sentimento angoscioso di fronte al mistero della natura sia per un annullamento delizioso nel medesimo mistero.Ultimo esponente di una visività enfatica, di traduzione carducciana, che assume nei suoi versi le connotazioni dell’allucinazione, della fantasia onirica, Campana amplifica e trasfigura le immagini e gli oggetti di una realtà umile e proletaria, conferendo ad essi una patina antiquaria a cui non è estraneo l’influsso dannunziano. La poesia non ammette reclusioni, il canto è liberazione dagli affanni, è desiderio, è sogno, ricordanza, avvenire che fluisce e allora la parola, costretta al silenzio del poeta, si sprigiona e si innalza come un urlo, come una lama, come pura energia poetica. Le esperienze non riescono a collocarsi, a integrarsi sopra un fondale certo e sicuro sono vissute separatamente, come lampi di luce, schegge di dolore.
Al di là delle interferenze di altre letture molteplici e diversissime, quali Rimbaud eNietzsche, i suoi versi e la sua prosa poetica si caratterizzano anche per lacomponente fonico - musicale, ossessivamente ripetuta, che mira ad una dimensione simbolico - metafisica, che anticipa in parte le successive espressioni ermetiche. L’itinerario poetico di Dino Campana, dunque, parte da un fondo ottocentesco e raggiunge esiti diversi: quello simbolistico – decadente, di tono visionario, e quello“visivo”, portato ad una sontuosa decorazione e alle frammentarie impressioni immaginifiche del suo stato.Il termine “orfici”, dato dal poeta ai suoi “Canti”, allude ad una concezione simbolistica della poesia, assimilata alla voce degli antichi poeti – profeti, depositari
dei segreti del mondo. Sono canti che illuminano e illustrano sfondi di città trasognanti, che fanno pensare velatamente ai quadri di Giorgio De Chirico.Negli scritti postumi, poi, c’è un filone violentemente espressionistico, caratterizzato dalla figura del poeta e da una carica di aggressività che raggiunge le sue punteestreme nell’intreccio di sensualità e di sadismo.Da alcuni critici Dino Campana è considerato il caposcuola della poesia moderna,quasi un “visionario” alla Rimbaud; da altri un poeta melodico e visivo, musicale e cromatico.
Concludo con " Vi amai" considerata la più bella delle poesie dedicata a Sibilla Aleramo: "Vi amai per la città dove per sole / strade si posa il passo illanguidito / dove una pace tenera che piove / a sera il cuore non sazio e non pentito / volge a un'ambigua primavera in viole / lontane sopra il cielo impallidito".