“Acheronta movebo”
– smuoverò l’inferno – così scriveva S. Freud all’inizio della sua
opera L’interpretazione dei sogni; un testo destinato a
rivoluzionare lo studio dei fenomeni psichici dell’uomo e pertanto a
scontrarsi con l’impatto di una realtà ostile, refrattaria a qualsiasi
cambiamento, come spesso succede quando le idee troppo innovative
devono fare i conti con “l’attrito” rappresentato dalla
resistenza a ciò che in qualche modo sovverte conoscenze precostituite
e cristallizzate. E’ un po’ quel che succede per i fenomeni secondo
quel noto principio fisico, il principio d’inerzia.
Alfred Adler fu uno dei primi seguaci di Sigmund Freud ma i
profondi dissensi teorici lo portarono all’allontanamento dal maestro
ed alla creazione di una Società di Psicologia Individuale.
Come docenti ed educatori la conoscenza dei principi stabiliti dalla
sua opera “Psicologia Individuale nella scuola” è quantomeno utile e
necessaria .
. In quest’opera si evincono, inoltre, tali e tanti spunti che possono
fuor d’ogni dubbio essere indispensabili, specie in quelle realtà dove
il problema degli alunni”difficili” tocca da vicino ogni insegnante.
Per Adler è fondamentale che ogni scuola diventi un centro
propulsore di educazione in cui non si impartiscano solo nozioni
culturali ma si provveda a fornire agli alunni un’educazione che
integri e sia in grado anche di riparare gli eventuali errori educativi
delle famiglie. E’ certamente difficile; ma gettare la spugna,
comunque, è sempre una rinuncia che si paga a caro prezzo e che si
ripercuote sugli stessi docenti.
Per questo motivo Adler avverte la necessità di un addestramento
profondo ed intensivo degli insegnanti nonché di una loro
accuratissima selezione.
Il principio di base che portò Adler al distacco da Freud è
infatti l’affermazione secondo cui lo scopo di ogni individuo non è da
ricercare nel principio del piacere enunciato dal padre della
psicoanalisi, bensì nello scopo di realizzazione del proprio essere
verso cui tende ogni essere umano.
I ragazzi “difficili” o disadattati per Adler, quindi,sono
fondamentalmente “scoraggiati” dinanzi al fallimento dello scopo
precipuo di affermazione verso cui si tende.
Il piano educativo individualizzato deve quindi partire sempre da
questa consapevolezza; inoltre, deve essere compreso e condiviso dallo
stesso soggetto e dalla famiglia.
Adler afferma testualmente che solo la conoscenza profonda della
Psicologia Individuale, di un suo studio accurato e continuo, può
trasformare un qualunque insegnante in educatore. L’educatore, infatti,
è cosciente del fatto che la prima vera rivoluzione copernicana inizia
da se stessi; non si cambia il mondo se il primo passo non è quello
atto a cominciare a conoscere e migliorare se stessi.
Nella sua opera egli analizza diversi casi di insuccessi
scolastici; alunni che appaiono demotivati, o le cui difficoltà sociali
o cognitive li mettono continuamente dinanzi a degli insuccessi.
I fallimenti , infatti, pongono sempre l’individuo in uno stato che
peggiora il senso d’inferiorità, sebbene per pochi individui vengano
vissuti come vere e proprie sfide che anzi potenziano ed accrescono la
determinazione; ma si tratta quasi sempre di casi di persone già
abituate ad un certo, duro, lavoro di affinamento interiore, piuttosto
raro. Un caso fra tutti, “letterario” , quello di Vittorio Alfieri. Ma
nella maggioranza dei casi l’insuccesso genera un senso di impotenza.
Il binomio inferiorità-superiorità è il cardine della Psicologia
Individuale; esso può oscillare da una parte o dall’altra a secondo del
ruolo che il ragazzo occupa, per esempio, nella famiglia e che tende a
riportare anche nel contesto scolastico; ad esempio nei rapporti con i
fratelli minori o maggiori.
L’antico quanto riprovevole metodo educativo che vede nell’umiliazione
uno stimolo a far meglio in realtà non fa altro che peggiorare in modo
esponenziale la situazione. Come del resto anche la proposta di mete
troppo ambiziose non calibrate alle effettive capacità presenti non
fanno che creare i presupposti di ulteriori frustrazioni. Spesso la
risposta a tali mezzi educativi errati è la distrazione. E c’è una
ragione da cui scaturisce incosciemente tale risposta istintiva di
difesa nell’alunno: meglio passare per svogliato, per distratto, che
per incapace. In realtà, il ribadire “ è intelligente ma non studia e
per questo non riesce” non fa altro che convalidare tale mezzo di
difesa, rafforzarlo, rinchiuderne l’alunno in un circolo chiuso da cui
non ne esce più.
La risposta adeguata, invece, richiede lo smascheramento di questo
istintivo alibi difensivo, ( in psicoanalisi si parla infatti di
“resistenze” e la loro risoluzione come abreazione delle stesse) il
che, ovviamente non significa confermargli che sia un incapace (
nessuno è mai del tutto incapace in tutto…)ma aiutarlo a riconoscere le
difficoltà, commisurarle alle sue potenzialità ed alle sue aspettative
sulla vita, sul futuro.
E’ quindi necessaria la realizzazione di un progetto operativo che deve
tener conto dell’aspetto olistico, globale ed irripetibile di ogni
personalità, adattato a ciò che essa intenda esprimere, da mediare
anche attraverso una spiegazione diretta delle cause del suo
comportamento che lo coinvolga come “risanatore” di se stesso,
attraverso la coscienza ed il significato dei suoi atti.
Per spiegazione non si deve mai intendere “la solita predica” o
un rimprovero, ma deve essere chiara la sincera volontà di fornire un
aiuto, aiuto di cui è richiesta anche la sua partecipe
collaborazione.
Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it