Nella riunione di oggi dei tecnici richiamati a Roma dal ministro
Giulio Tremonti per mettere a punto i dettagli dell'«operazione
anticipo» della manovra si parlerà anche di pensioni. Non ci sono
conferme ufficiali, naturalmente. Ma più fonti ieri convergevano sia
sull'ipotesi Nella riunione di oggi dei tecnici richiamati a Roma dal
ministro Giulio Tremonti per mettere a punto i dettagli
dell'«operazione anticipo» della manovra si parlerà anche di pensioni.
Non ci sono conferme ufficiali, naturalmente. Ma più fonti ieri
convergevano sia sull'ipotesi di modifiche alle misure appena adottate
per rafforzarne l'impatto sui saldi sia sull'ipotesi del varo di nuovi
interventi strutturali. La novità assoluta riguarderebbe in
particolare gli assegni di anzianità. Un intervento sul meccanismo
delle quote (fissate fino a fine 2012 a 96 con almeno 35 anni di
contributi per i dipendenti e a 97 per gli autonomi) potrebbe
consentire in 3-4 anni un vero e proprio blocco dei ritiri anticipati,
con l'allineamento dell'età ai 65 anni necessari per la vecchiaia. I
risparmi potrebbero arrivare a una minore spesa per 1,6-1,8 miliardi
l'anno in pochissimi anni con il raggiungimento di «quota 100», vale a
dire 64 anni di età e 35 di versamenti più la finestra mobile e i tre
mesi di aspettativa di vita nel 2015 per i lavoratori dipendenti. A
questo passaggio strutturale, capace di produrre risparmi di portata
ancora maggiore nel medio-lungo termine, si aggiungerebbero l'ulteriore
anticipo dell'aggancio del momento del pensionamento all'aspettativa di
vita (dal 2013 al gennaio prossimo) e un drastico avvicinamento della
scalettatura prevista per l'aumento dell'età di vecchiaia delle donne
del settore privato. Il primo ritocco non porterebbe fortissimi
risparmi (attualmente con il via nel 2013 sono previsti 38 milioni il
primo anno e 262 il secondo). Un vero calo della spesa previdenziale
potrebbe arrivare, invece, dall'aumento anticipato della vecchiaia
delle donne: l'attuale normativa fa partire l'adeguamento nel 2020 per
arrivare a 65 anni nel 2032. Un avvio di questa gradualità già a
partire dal gennaio prossimo, potrebbe garantire risparmi importanti e
variabili a seconda della velocità con cui si porterebbe l'allineamento
a 65 che, vale ricordarlo, per le dipendenti statali scatta l'anno
venturo. Ma ci sono almeno altri due interventi che potrebbero entrare
nel nuovissimo «pacchetto previdenza» da mettere in piedi per garantire
i risparmi che potrebbero non arrivare dalla riforma
fiscale-assistenziale.
Il primo riguarda gli assegni di
reversibilità, il secondo toccherebbe invece l'attuale meccanismo di
indicizzazione. Sulle pensioni ai superstiti la manovra è già
intervenuta con la cosiddetta «norma anti-badanti» voluta dalla Lega.
Ora la stretta si potrebbe allargare per ridurre il numero degli
assegni di reversibilità negli anni a venire o anche ritoccando le
percentuali degli assegni attuali, calibrati su diverse fasce di
reddito. Le pensioni di reversibilità italiane, come è stato ricordato
con una certa enfasi in questi ultimi giorni, sono tra le più generose
d'Europa e con i 5 milioni di assegni pagati annualmente dall'Inps
valgono una spesa di circa 38 miliardi. Infine le indicizzazioni. La
manovra varata in luglio (legge 111/2011) prevede che ai soggetti con
trattamenti pensionistici superiori a 5 volte il minimo non sia
riconosciuta l'indicizzazione per il 2012 e il 2013, con esclusione
della fascia di importo del loro trattamento fino a 3 volte il minimo,
un segmento per il quale l'indicizzazione è riconosciuta nella misura
del 70 per cento.
Ebbene il congelamento potrebbe essere
esteso anche agli assegni minori, fino a un blocco totale per i
prossimi due anni. Quanto vale questa misura? Calcolando
un'indicizzazione all'inflazione calcolata sull'indice Foi all'1,6%, la
sola Inps dovrebbe pagare l'anno prossimo 2,6 miliardi di adeguamenti.
Fin qui le ipotesi sugli interventi che, per come sono configurati,
troverebbero qualche difficoltà a essere sostenuti anche da una parte
del Governo e della maggioranza. Un'opposizione ferrea arriverebbe
invece dai sindacati e dal centro-sinistra. Ieri solo Giuliano Cazzola
(Pdl) è intervenuto a favore di nuove misure sulle pensioni «per
evitare che «la riforma dell'assistenza si traduca in macelleria
sociale». L'ex ministro del Lavoro Cesare Damiano (Pd) ha espresso un
secco «no» a nuovi tagli e lo stesso ha fatto Maurizio Zipponi (Idv),
mentre la Cgil, con Vera Lamonica, parla di «misure da respingere
perché producono ingiustizie e approfondiscono le diseguaglianze».
Davide Colombo (Sole24Ore, 9 agosto 2011) di modifiche alle misure
appena adottate per rafforzarne l'impatto sui saldi sia sull'ipotesi
del varo di nuovi interventi strutturali.
La novità assoluta riguarderebbe in particolare gli assegni di
anzianità.
Un intervento sul meccanismo delle quote
(fissate fino a fine 2012 a 96 con almeno 35 anni di contributi per i
dipendenti e a 97 per gli autonomi) potrebbe consentire in 3-4 anni un
vero e proprio blocco dei ritiri anticipati, con l'allineamento
dell'età ai 65 anni necessari per la vecchiaia. I risparmi potrebbero
arrivare a una minore spesa per 1,6-1,8 miliardi l'anno in pochissimi
anni con il raggiungimento di «quota 100», vale a dire 64 anni di età e
35 di versamenti più la finestra mobile e i tre mesi di aspettativa di
vita nel 2015 per i lavoratori dipendenti.
A questo passaggio strutturale, capace
di produrre risparmi di portata ancora maggiore nel medio-lungo
termine, si aggiungerebbero l'ulteriore anticipo dell'aggancio del
momento del pensionamento all'aspettativa di vita (dal 2013 al gennaio
prossimo) e un drastico avvicinamento della scalettatura prevista per
l'aumento dell'età di vecchiaia delle donne del settore privato. Il
primo ritocco non porterebbe fortissimi risparmi (attualmente con il
via nel 2013 sono previsti 38 milioni il primo anno e 262 il secondo).
Un vero calo della spesa previdenziale potrebbe arrivare, invece,
dall'aumento anticipato della vecchiaia delle donne: l'attuale
normativa fa partire l'adeguamento nel 2020 per arrivare a 65 anni nel
2032. Un avvio di questa gradualità già a partire dal gennaio prossimo,
potrebbe garantire risparmi importanti e variabili a seconda della
velocità con cui si porterebbe l'allineamento a 65 che, vale
ricordarlo, per le dipendenti statali scatta l'anno venturo.
Ma ci sono almeno altri due interventi
che potrebbero entrare nel nuovissimo «pacchetto previdenza» da mettere
in piedi per garantire i risparmi che potrebbero non arrivare dalla
riforma fiscale-assistenziale. Il primo riguarda gli assegni di
reversibilità, il secondo toccherebbe invece l'attuale meccanismo di
indicizzazione.
Sulle pensioni ai superstiti la manovra è già intervenuta con la
cosiddetta «norma anti-badanti» voluta dalla Lega. Ora la stretta si
potrebbe allargare per ridurre il numero degli assegni di reversibilità
negli anni a venire o anche ritoccando le percentuali degli assegni
attuali, calibrati su diverse fasce di reddito. Le pensioni di
reversibilità italiane, come è stato ricordato con una certa enfasi in
questi ultimi giorni, sono tra le più generose d'Europa e con i 5
milioni di assegni pagati annualmente dall'Inps valgono una spesa di
circa 38 miliardi.
Infine le indicizzazioni. La manovra
varata in luglio (legge 111/2011) prevede che ai soggetti con
trattamenti pensionistici superiori a 5 volte il minimo non sia
riconosciuta l'indicizzazione per il 2012 e il 2013, con esclusione
della fascia di importo del loro trattamento fino a 3 volte il minimo,
un segmento per il quale l'indicizzazione è riconosciuta nella misura
del 70 per cento. Ebbene il congelamento potrebbe essere esteso anche
agli assegni minori, fino a un blocco totale per i prossimi due anni.
Quanto vale questa misura? Calcolando un'indicizzazione all'inflazione
calcolata sull'indice Foi all'1,6%, la sola Inps dovrebbe pagare l'anno
prossimo 2,6 miliardi di adeguamenti.
Fin qui le ipotesi sugli interventi che,
per come sono configurati, troverebbero qualche difficoltà a essere
sostenuti anche da una parte del Governo e della maggioranza.
Un'opposizione ferrea arriverebbe invece dai sindacati e dal
centro-sinistra. Ieri solo Giuliano Cazzola (Pdl) è intervenuto a
favore di nuove misure sulle pensioni «per evitare che «la riforma
dell'assistenza si traduca in macelleria sociale». L'ex ministro del
Lavoro Cesare Damiano (Pd) ha espresso un secco «no» a nuovi tagli e lo
stesso ha fatto Maurizio Zipponi (Idv), mentre la Cgil, con Vera
Lamonica, parla di «misure da respingere perché producono ingiustizie e
approfondiscono le diseguaglianze».
Davide Colombo
(Sole24Ore, 9 agosto 2011)
redazione@aetnanet.org