Dopo quaranta
anni di servizio l’abito d’insegnante ti si stampa addosso. Per questo
motivo leggendo alcuni contributi dei media ho appreso dell’intervento
del prof. Monti alla trasmissione di Fazio su
Rai 3 e, nonostante sia in pensione da un paio d’anni mi sono
sentito offeso e umiliato dall’intervento del premier, giacchè in
quaranta anni di servizio non mi sono mai accorto di essere parte di
quei “privilegiati” della corporazione degli insegnanti. Infatti, nel
2004 quando dovetti stampare i volumi di una ricerca perchè gli
studenti ne avevano bisogno per uno studio domestico, dovetti
affrontare la spesa di tasca mia perché nessuno della “corporazione” mi
ha finanziato il lavoro portato avanti negli anni (e completamente a
spese mie) con gli studenti per adeguare la didattica “ad un mondo più
moderno”.
Dalla mia esperienza, tra l’altro, ho capito che il rapporto educativo
non è una questione di quantità di ore ma di qualità delle ore
trascorse con i giovani che dovranno salire, da attori professionisti e
non da guitti, sul palcoscenico del futuro di questa nostra Italia.
Insegnare significa passare ai giovani, alle nuove generazioni il
testimone delle conoscenze sedimentatesi nel tempo e attivare un
processo di feedback tendente a suscitare la nascita di un pensiero
nuovo, diverso, più libero per renderli capaci di “adeguarsi ad un
mondo più moderno” in continua e costante evoluzione.
Dare forma a una personalità non è come assemblare un frigorifero,
modellare una macchina, premere il tasto di un computer o sbrigare una
pratica d’ufficio ma dare ad ogni ragazzo, ad ogni giovane
consapevolezza di se stesso e delle proprie capacità. Seguendo
l’intervento televisivo, l’impressione iniziale è diventata, pian
piano, una certezza che anche lei, presidente Monti, non si rende conto
della grande responsabilità cui siamo chiamati, noi insegnanti,
nonostante il frustante “immaginario collettivo” di casta privilegiata
e sfaticata costruito dai mass media cui lei ha contribuito e avallato
con il suo intervento.
Il nostro lavoro, silenzioso e nascosto si scontra continuamente con
quello rumoroso e appariscente dei politicanti, dei soloni, dei
saccenti di questa Italia contemporanea, ma le ricchezze, quelle vere
sono quasi sempre tutte nascoste nel profondo silenzio delle miniere
del cervello e delle fantasie dei giovani. Solo noi, purtroppo,
sappiamo quanto è faticoso vestire ogni giorno gli abiti da minatore
per portare alla luce le ricchezze nascoste nei giovani e quanto questo
compito sia arduo, difficile e, spesso, frustrante e non giustamente
valutato dalla politica e dai pedagopolitici che, pro tempore, reggono
l’istituto della Pubblica Istruzione e non sono mai entrati, come
insegnanti, in una classe di scuola media. Ma questa frustrazione non è
congenita nella professione docente ma indotta dal disconoscimento del
lavoro e dei valori che porta, tanto che noi insegnanti, sig.
Presidente, in una società fondata sulla finanza siamo considerati
corporativi, arretrati e improduttivi, come lei ha voluto pubblicamente
sottolineare affermando che “nella sfera del personale della scuola
abbiamo riscontrato anche un grande spirito conservatore, come per
esempio la grande indisponibilità a fare due ore in più a settimana che
avrebbe significato più didattica e cultura”. Ma questa società ha
altri modelli educativi e altre agenzie formative tanto che noi non ci
sentiamo più cittadini di uno stato che ci colpevolizza continuamente,
come lei ha fatto con il suo intervento senza contraddittorio.
Spessissimo, come purtroppo ha fatto anche lei sig. Presidente del
Consiglio, il nostro lavoro viene smantellato e disprezzato proprio da
chi dovrebbbe averne massima considerazione, ed è lì il senso di
mortificazione nel cercare continuamente di costruire e ricostruire,
con grande fatica, ciò che altri, come lei, demoliscono con estremma
facilità. Ma si sa che demolire è più facile che mantenere e
consolidare valori selezionati dalla fatica del pensiero e
sedimentatisi, col tempo, nel cuore della società.
La scuola, come ripeteva un vecchio preside all’inizio della mia
carriera, è la nostra miniera da cui estrarre intelligenze per la
Nazione con il fare da minatori o un pozzo da cui far zampillare
cultura operando ricerche e perforazioni mirate tra gli allievi. Noi
insegnanti non siamo né economisti nè finanzieri né banchieri ma
minatori che educano i giovani alla formazione di un pensiero capace di
smuovere la materia cioè, per dirlo con le parole di Virgilio
lavoratori addetti a fare in modo che “mens agitat molem”.
Ma questo lavoro non è misurabile con la quantità di ore d’insegnamento
ma con la qualità del servizio che la scuola non offre, certamente non
per colpa degli insegnanti, ancora una volta messi, ingiustamente, sul
banco degli imputati.
Elio
Fragassi (docente in pensione)
http://www.webalice.it/eliofragassi