Tra
convegni, incontri culturali e pubblicazioni di circostanza si è
consumata la commemorazione di Giovanni Gentile a settant'anni dalla
morte. Ancora una volta, però, si insiste sui mandanti e sugli
esecutori dell'uccisione, ma non si chiarisce, né si approfondisce la
giusta collocazione del filosofo di Castelvetrano nella storia della
filosofia. Anche "La ghirlanda
fiorentina e la morte di Giovanni Gentile", il libro
documentatissimo dello psicologo Luciano Mecacci edito da Adelphi
nell'aprile del 2014, va in direzione socio-psicologica, alla ricerca
dei responsabili del delitto. E ritornano tutte le piste già esplorate
e vi sono elencati tutti gli accademici amici, allievi e collaboratori
beneficiati da Gentile: Cesare Luporini, Eugenio Garin, Mario Manlio
Rossi, Antonio Banfi, Guido Calogero, Ranuccio Bianchi Bandinelli,
Concetto Marchesi, Guido De Ruggiero, ecc., ecc. A parte la bella
descrizione dell'ambiente fiorentino e dei salotti nei quali
s'incontrano spie, artisti, nobili e intellettuali, e la notizia
dell'uccisione del segretario di Gentile, il fidatissimo Brunetto
Fanelli, il 10 aprile 1944, assieme a cinque giovani della zona, poco
si dice di nuovo e di interessante sulla dottrina attualistica e sulla
genesi del pensiero gentiliano. Tutta la bella narrazione gira attorno
al delitto ed ai tradimenti, sicché ha ragione Enrico Nistri a
sostenere che Gentile non può rimanere soltanto un bersaglio polemico
per regolare vecchi conti ideologici.
A settant'anni dalla morte violenta avvenuta a Troghi nei pressi di
Firenze il 15 aprile 1944 ad opera dei quattro o cinque gappisti in
bicicletta guidati da uno di loro, il comunista Bruno Fanciullacci,
deve essere possibile una rilettura serena del pensiero di Giovanni
Gentile, a prescindere dai suoi vincoli politici con il fascismo e
dall'adesione finale alla Repubblica di Salò, che gli costò la vita.
Bisogna rimuovere adesso ogni pregiudizio e rivedere filologicamente e
cronologicamente il discorso non tanto della sua partecipazione ai
fasti o nefasti del regime, quanto dell'origine e dello svolgimento del
suo pensiero fortemente radicato nella tradizione storiografica
nazionale, nel movimento dell'idealismo tedesco e soprattutto
nella marxiana filosofia della praxis. Oggi che gli antichi
schemi ideologici non reggono più, è necessario un diverso lavoro di
scavo che faccia appello a tutte le risorse conoscitive per un'attenta
rivisitazione di quella teorizzazione filosofica che è stata parte
essenziale della storia della cultura italiana prima ancora che il
fascismo si presentasse alla ribalta della politica e della società
nazionale.
Prima di chiudere queste brevi considerazioni preliminari, devo
ribadire che l'attualismo, riproposto come punto decisivo nella
storia della filosofia italiana, è un prodotto originale che precorre
di gran lunga il fascismo e che nulla ha in comune con l'azione
politica mussoliniana. Le convergenze successive si sviluppano su altri
terreni, ma non certamente su quelli della filosofia.. In altri
termini, la filosofia di Gentile, costruita vigorosamente dalla fine
dell'Ottocento al 1920, cioè dalla "Filosofia di Marx" al "Sommario di
pedagogia", dalla "Riforma della dialettica hegeliana" alla "Teoria
generale dello Spirito come atto puro" e dai "Fondamenti della
filosofia del diritto" al "Sistema di logica come teoria
del conoscere", e da tutti gli altri saggi e memorie di carattere
teoretico e storiografico, di pedagogia e di critica letteraria, si
caratterizza e si definisce in modo autonomo, indipendente e precedente
l'affermarsi del regime mussoliniano. L'intensa e lunga collaborazione
alla "Critica", ove si verifica il confronto ravvicinato con le opere e
le riflessioni crociane, determina una definitiva e chiara sistemazione
del pensiero di Gentile in direzione dell'attualismo, nel quale
convivono Vico e Spaventa, Gioberti e Marx, con la prevalenza di
quest'ultimo in qualità di filosofo della praxis e della storia. E non
vi è di che scandalizzarsi se si dice che attraverso Marx si
possono individuare punti notevoli di contatto tra Gentile e Croce,
proprio in virtù dello storicismo attualista di entrambi attinto alla
filosofia marxiana. La concezione crociana della contemporaneità della
storia, esplicitata in "Teoria e storia della storiografia" e ripresa
nella "Storia della storiografia italiana del secolo decimonono" e ne
"La storia come pensiero e come azione", segna il punto più alto di
contatto tra i due filosofi. I loro motivi di contrasto sono risaputi,
ma quelli comuni, al di là di un semplicistico idealismo spiritualista,
sono poco conosciuti e vanno rintracciati proprio all'interno del loro
storicismo che è pensiero e azione, un atto di pensiero ed un atto
pratico: "Il bisogno pratico, che è
nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il
carattere di storia contemporanea, perché, per remoti e remotissimi che
sembrino cronologicamente i fatti che vi entrano, essa è, in realtà,
storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella
quale quei fatti propagano le loro vibrazioni" (B. Croce, "La
storia come pensiero e come azione", Laterza, Bari 1966, p.11).
E poi ancora, in modo più puntuale, lo stesso Croce riconosce che "la
conoscenza storica sorge dall'azione, ossia dal bisogno di schiarire e
nuovamente determinare gli ideali dell'azione oscurati e confusi, e
che, col pensare l'accaduto, rende possibile la loro nuova
determinazione e prepara alla nuova azione" (ibidem, p.162).
Gli impulsi della vita morale attuale rappresentano, dunque, l'azione
preparatoria che nel suo farsi si determina e crea il problema
storiografico, al quale è necessario dare una risposta conoscitiva con
una ulteriore impellente azione. Di qui la contemporaneità della
storia, che nasce immediatamente dall'atto in fieri e che è coscienza
dell'atto stesso. Condizione di essa, dice Croce nelle pagine iniziali
di "Teoria e storia della storiografia" (e in tutta l'opera, sia pure
talvolta trasversalmente) è che il fatto del quale si tesse la storia
vibri nell'animo dello storico e si integri con un forte interesse
della sua vita presente, e perciò non risponda ad un interesse
passato capace di produrre semplice cronaca, ma ad uno vivo e attuale e
capace di produrre vera, dinamica e innovativa storiografia. La
contemporaneità della storia di marca crociana equivale all'attualità
di marca gentiliana, in quanto il problema storico, per essere pensato
e compreso, deve vivere nello spirito dello storico come un atto che
pone il suo oggetto e che lo risolve dentro di sé, nel pensiero
storiografico. E non solo, ma quest'atto è un fare ed un farsi e dunque
un soggetto pensante ed agente, che fa del suo pensiero un oggetto di
storicità e di verità storica a contatto con la certezza dei fatti,
degli oggetti e dei documenti. Come filosofia in atto, la vera
storia è sempre storia contemporanea, sviluppo attuale del
pensiero storiografico in divenire, rivelazione e presenza attiva del
passato nel presente e più ancora del presente nel passato secondo una
originale e profonda circolarità. Unificando la storia con la
filosofia, la realtà vien vista nella sua genesi e nei suoi molteplici
progressi, come attività dello spirito che cresce su se stesso e che
assume una pluralità di forme fenomenologiche pur nell'unità profonda
della sua essenza.
Coerentemente con tale assunto, Croce produce le grandi opere di
storiografia politica e letteraria; mentre Gentile si fa storico della
filosofia e scrive gli insostituibili quattro volumi di
storiografia filosofica sulle "Origini della filosofia contemporanea in
Italia", i due volumi sulla storia della filosofia italiana "Dal
Genovesi al Galluppi" e il saggio sulla "Storia della filosofia
italiana fino a L. Valla", e pubblica altri saggi di straordinario
valore scientifico sulla filosofia scolastica e quelli monografici che
che ricoprono tutto l'arco del pensiero occidentale da Talete San
Tommaso, dall'Umanesimo a Bruno, da Telesio a Vico, da Cuoco a
Gioberti, da Rosmini a Bertrando Spaventa, ecc.. Ma Gentile pubblica
pure i suoi numerosi scritti sulla scuola e l'educazione, e porta la
pedagogia alla nobile altezza di una disciplina filosofica e di una
fondamentale scienza teorico-pratica dell'educazione che può
ricevere le lodi e le critiche e incorrere talvolta nelle sue gravi
difficoltà quando filosofeggia troppo e divora velocemente la
propria prole. Ciò che rimane in ogni caso è la riduzione della
pedagogia alla filosofia: "La pedagogia che si riduce è la pedagogia
empirica, che si pone come autonoma rispetto alla filosofia; e la
pedagogia che riduce è la pedagogia filosofica o la filosofia
come critica della pedagogia" (G. Gentile, "La pedagogia come scienza
filosofica. Didattica", II, Laterza, Bari 1914, p.!5).
L'elemento più vitale e originale dell'attualismo è la
conversione dall'oggetto pensato al soggetto pensante, il quale diviene
oggetto e soggetto insieme. Il pensiero che pensa se stesso si realizza
non come oggetto diverso dal soggetto, ma proprio come soggetto
spiritual-trascendentale che procede dialetticamente e pensa se stesso
come oggetto, come altro da sé, ma la cui pensabilità non si attuerebbe
mai se non intervenisse l'attualità e la soggettività del pensare che
ne fa un conoscere concreto nell'identità di logica e metafisica: "Ma,
in realtà non c'è pensiero se non in quanto pensante, il quale non è
oggetto di contemplazione, anzi, se mai, attività contemplante e come
tale vera e propria azione, produzione, creazione d'essere;quella
creazione operosa la cui fatica sente ognuno che pensa e che logora le
forze dell'individuo empirico quanto il rude lavoro di chi ara la terra
e di chi col piccone squarcia i fianchi dei monti [...]Quell'altro
pensiero che sarebbe pura contemplazione fredda e passiva, esterna alla
realtà(e quindi non sarebbe reale!), quello non è pensiero ma è un
concetto del pensiero partorito dall'intuizione
intellettualistica, falsa, della realtà in generale, e dello stesso
pensiero"(G. Gentile, "Sistema di logica come teoria del
conoscere", primo volume, Spoerri Editore, Pisa 1917, p.92).Noi siamo
quindi il nostro pensiero-pensante che è coscienza di sé e della
realtà, che è l'idea nel suo realizzarsi e che è lo spirito come unità
di idea e realtà, come pensiero in atto, come unità del soggetto e del
suo logos, di spirito teoretico e pratico.
Ma la tendenza primaria gentiliana è quella che privilegia lo spirito
pratico in quanto esso riassorbe in sé anche lo spirito teoretico. La
praxis marxiana riemerge vittoriosa e sovrana, ed è la praxis che
dialettizza, capovolge, sconvolge e ricostruisce il mondo;ed è la
praxis
in atto del soggetto trascendentale che rivoluziona la realtà immobile
e la pone in movimento;ed è la praxis che spiritualizza la natura e che
pone l'oggetto, lo annulla e lo ricompone. In sostanza, è l'atto del
soggetto che genera e sostiene il mondo dell'esperienza e lo
trascende: "Questo è l'Io, la realtà spirituale, identità di sé con
sé;ma
non come identità immediatamente posta, sebbene come identità che si
pone, riflessione, sdoppiarsi come sé e altro e ritrovarsi
nell'altro[...]Né l'altro poi sarebbe l'altro se non fosse lo stesso sé
perché l'altro non è pensabile se non come identico al soggetto, e cioè
come lo stesso soggetto quale questo ritrovasi innanzi a sé, ponendosi
realmente"(G. Gentile, "Teoria generale dello spirito come atto
puro", Lezione XXX dell'anno acc.1915-1916 nella R. Università di
Pisa, Editrice Mariotti, Pisa 1916, pp.230-231).Questa è insomma la
realtà
dello spirito in atto nell'unità del processo del soggetto e
dell'immanenza dell'oggetto al soggetto. "Se non ci fosse il soggetto,
chi penserebbe? E se non ci fosse l'oggetto, che cosa penserebbe il
pensante?Non è possibile concepire il pensiero senza personalità,
perché
il pensiero è conceptus sui, cioè Io, e quindi non solo pensiero come
attività, ma attività che si ripiega su se stessa e si pone pertanto
come persona. Ma non è possibile nemmeno concepire il pensiero che non
abbia il suo termine e punto d'appoggio, perché il concetto di sé
realizza infatti il Sé, come oggetto del conoscere"(ibidem, p.231).
La tesi e l'antitesi, concorrenti nella realtà
dell'autocoscienza(essere
e non essere soggetto), hanno la loro profonda realtà nella sintesi che
è il soggetto come reale soggetto che si realizza nel processo, che è
un
atto vivo ed eterno, un pensare che è un operare ed un realizzare.E ciò
che si realizza e che realizza è la stessa pienezza dello spirito che a
sua volta instaura "la pienezza della libertà, il regno dello spirito o
regnum hominis, in cui consiste tutta l'umana civiltà, signoreggiamento
e assoggettamento della natura ai fini dell'uomo, che sono i fini dello
spirito, e quindi spiritualizzazione progressiva del mondo, e
realizzazione insomma di quella sintesi la quale risolve
l'opposizione, pure conservandola e integrandola con l'unità, in cui è
la
sua ragion d'essere e il suo significato"(ibidem, p.332).La dialettica
è
dunque il carattere specifico di questa eterna e unica realtà che è
l'Io, la cui processualità avviene in virtù della soggettività pensante
e agente nell'attualità dello spirito e quindi nella concretezza
pragmatica dell'azione, che si diversifica nelle sue varie
articolazioni:l'attività storiografica, l'attività pedagogica,
l'attività
estetica, l'attività religiosa, l'attività etica, l'attività
economica, l'attività giuridica e l'attività politica.
Lo spirito pratico è dunque più potente della sua teoreticità ed è qui
che si trova il collegamento indissolubile di Gentile con il pensiero
marxiano.Ed è la logica del concreto quella prevalente perché essa
crea, produce e lavora in profondità producendo oggetti reali.Solo la
praxis, la praxis in atto, abbatte le barriere, dissoda i terreni e le
paludi, appiana le montagne e crea gli oggetti della
scienza, dell'arte e di ogni altro aspetto della realtà, pensandosi
e svolgendosi come autopraxis: "Qui dunque è la sorgente riposta della
verità del mondo.Non trascendere se stessi, anzi scendere nel più
profondo di sé;questa la via della verità. Il solo pensiero che vero
assolutamente è quello che non risponde a una norma di verità, ma è la
norma della verità"(ibidem, p.70).
Il tema che sottopongo adesso all'attenzione, in continuità con la
discussione precedente, riguarda il valore che Giovanni Gentile
attribuisce alla praxis, che collega alle famose "Tesi su Feuerbach" di
Marx, di cui peraltro il filosofo siciliano si fa subito traduttore e
divulgatore, provvedendo alla loro immediata pubblicazione nel capitolo
sulla "Critica di Marx a Feuerbach" del saggio su "La filosofia della
prassi", uno dei due scritti (il primo è titolato "Una critica del
materialismo storico") costituenti il volume "La filosofia di Marx"
edito da Spoerri di Pisa nel 1899. Dice Ugo Spirito, analizzando
in particolare il secondo saggio di più profondo interesse
teoretico: "Nel secondo saggio su La filosofia della prassi, il
problema si allarga e il Gentile procede ad una ricostruzione
sistematica della filosofia di Marx. Qui l'assunto del primo saggio si
chiarisce nei particolari e Marx è portato sul piano della più alta
tradizione speculativa. La ricostruzione è condotta principalmente
sulle famose undici tesi di Marx sulla filosofia di Feuerbach [...] La
chiave di volta di questa costruzione filosofica, osserva il
Gentile iniziando uno schizzo del nuovo filosofare, sta nel concetto di
prassi. Ecco, dunque, il principio fondamentale che ci consente di
comprendere davvero il materialismo storico. Non si tratta più di
interpretare il mondo, ma di cambiarlo, perché verum et factum
convertuntur"(Ugo Spirito, "Gentile e Marx", in "Giornale Critico della
filosofia italiana", anno XXVI, gennaio-giugno 1947, pp.153-156).
L'essenza della fondamentale scoperta di Gentile sta dunque
nell'attribuzione di valore al principio della praxis marxiana, alla
quale poi il filosofo di Castelvetrano aggiunge una forte soggettività
"trascendentale" capace di alimentare spiritualmente la stessa praxis,
di rovesciarne i prodotti e di procedere verso la costruzione di un
nuovo mondo. E qui è anche la vera genesi dell'attualismo che
identifica la praxis con la soggettività e con il processo della
storicità, che si svolge nel rovesciarsi dialettico
dell'azione-pensiero e nel suo continuo attuarsi sotto la duplice forma
di pensiero e di azione. Nel linguaggio neoidealistico di Gentile
questa concezione del soggetto "trascendentale" si esprime nella sua
esasperata autoesaltazione: "L'Io che è, sì, l'individuo, ma
l'individuo
come soggetto, il quale non ha nulla da opporre a se stesso, e che
trova tutto in sé; e perciò è il concetto attuale universale.
Orbene, questo Io, che è lo stesso assoluto, è in quanto si pone, è
causa sui. Causando se stesso, è il creatore di sé e, in sé, del mondo:
del mondo più saldo che si possa pensare, del mondo assoluto. E questo
mondo è l'oggetto di cui parla la nostra dottrina, che è perciò
gnoseologica in quanto metafisica" (G.Gentile, "Teoria generale dello
Spirito come atto puro", quarta edizione, Laterza, Bari 1924, p.224).
Nell'attualismo gentiliano il soggetto è un fare assoluto e universale,
cioè un farsi dell'universale, un atto volitivo che si fa conoscenza,
libertà, moralità, religiosità, diritto, pedagogia, arte, ecc., cioè
una unità
pensante e agente che si pone continuamente nel suo attuarsi e
pensarsi. Il soggetto è unità di teorico e pratico, di conoscere e
volere.Nel suo pensiero si ritrova l'eticità, tutto il mondo
dell'essere, tutta l'azione, perché pensiero è azione.E questo atto è
l'uomo, sintesi apriori di natura e spirito, di empirico e
trascendentale, di soggetto e oggetto. Il linguaggio attualistico è
quello dell'idealismo, e perciò non è facile valutare la portata
dell'influenza di Marx su Gentile. Ma, se è vero che l'attualismo
si ricolloca linguisticamente all'interno dell'idealismo
hegelo-fichtiano, con l'Io che ripensa Dio, lo sostituisce e lo
storicizza, e "sublima così davvero il mondo in una teogonia eterna,
che si adempie nell'intimo del nostro essere" (ibidem, p.239), il
rapporto con la praxis di estrazione marxiana è altrettanto
indiscutibile e ineludibile; e perciò permane nel fondo dell'attualismo
e nella sua più intrinseca natura un particolare riferimento alla
sostanza rivoluzionaria marxista, che è appunto quel decisivo concetto
di praxis per il quale la vera filosofia non consiste nella
contemplazione del mondo, ma nella sua trasformazione: "Non è la
filosofia, in quanto speculazione del reale, che entra nel giuoco delle
forze spirituali operanti nel corpo della storia, ma è la volontà, o
meglio quelle volontà che soggettivamente sono state trasformate e
nuovamente orientate da una data filosofia; non sono, poniamo, gli
elaboratori del materialismo storico, che è un concetto speculativo, ma
i compilatori del Manifesto dei Comunisti, che è un atto pratico" (G.
Gentile, "Il concetto della storia della filosofia", in "La riforma
della dialettica hegeliana", Principato, Messina 1913, p.134). Questa è
la verità scoperta dal Marx giovane-rivoluzionario e questa è anche la
posizione di Gentile che costruisce il suo attualismo secondo la tesi
marxiana di una verità che "non è spettacolo, a cui tutti, sol che ne
abbiano un capriccio, possano assistere. No. Essa è nostra creazione,
nostra conquista"(ibidem, p.135). Che, con tutta evidenza, è
esattamente
la traduzione in linguaggio gentiliano della seconda "Tesi su
Feuerbach" di Carlo Marx: "La questione se al pensiero umano pervenga
la verità oggettiva non è una questione teorica ma una questione
pratica. Nella prassi può l'uomo provare la verità, cioè la realtà e
potenza, la positività del proprio pensiero. La discussione sulla
realtà o irrealtà d'un pensiero, che si isoli dalla prassi, è una
questione puramente scolastica" (C. Marx, "Tesi su Feuerbach",
traduzione italiana a cura di G. Gentile, in "La filosofia di
Marx", Le Lettere, Firenze 2003, p.69).
Sulla base dell'interpretazione di Marx e della sua filosofia della
prassi, Gentile può edificare il suo attualismo. Dice ancora Ugo
Spirito: "Ecco la via per la quale si incamminerà il Gentile per la
costruzione del suo attualismo, la prassi è già un qualche germe
dell'atto puro. La chiave d'oro è la stessa" (Ugo Spirito, "Gentile e e
Marx", cit., p.161). E la predilezione per la praxis di derivazione
marxiana si mantiene costante nel filosofo siciliano, dalla giovanile
opera su Marx alla sua riedizione nel 1937 "per corrispondere
all'insistente desiderio degli studiosi che me ne facevano richiesta
specialmente da che si erano accorti che a quel mio volumetto anche
Lenin aveva fatto attenzione e lo aveva additato tra gli studi più
notevoli che intorno a Marx avessero compiuti filosofi non marxisti", e
per riudire "voci che non si sono mai spente in me e qualche cosa di
fondamentale in cui ancora mi riconosco e in cui altri forse meglio di
me potrà ravvisare i primi germi di pensieri maturati più tardi"
(Giovanni Gentile, Avvertenza, in "La filosofia di Marx", cit.,
pp.9-10). Essa perdura fino all'estremo limite di quel testamento
spirituale rappresentato dal suo ultimo saggio filosofico, "Genesi e
struttura della società", scritto di getto tra l'agosto e i primi
di settembre del 1943 a Troghi, pubblicato nel 1946 dopo la tragica
morte; lavoro di sintesi che attraversa le sue opere maggiori, nelle
quali si esprime compiutamente l'elaborazione sistematica
dell'attualismo, dal "Sommario di pedagogia come scienza filosofica"
del 1913-14 a "La riforma della dialettica hegeliana" del 1913, dalla
"Teoria generale dello spirito come atto puro" del 1916 al "Sistema di
logica come teoria del conoscere"(primo volume)del 1917 ai "Fondamenti
della filosofia del diritto" del 1916. Nella "Genesi" tutte queste
opere del primo e vero attualismo vengono riprese con ardore, e
talvolta
con nostalgia, ripensate e riattualizzate. La loro distanza dal
fascismo è incolmabile in tutti i sensi, e soprattutto nell'ansia di
libertà, di socialità e di comunità.
L'interpretazione spiritiana del pensiero di Gentile è stata contestata
da Gennaro Sasso, ed appare davvero strano che uno studioso serio e di
valore come lui abbia voluto negare continuità e profondità
all'interesse gentiliano per la praxis marxista, il cui studio non può
essere sbocciato all'improvviso per la semplice ambiziosa volontà di
partecipare ad un prestigioso dibattito di fine Ottocento o di
impartire al vecchio Antonio Labriola una sonora lezione di storia
della filosofia: "Non è difficile avvedersi che la lezione hegeliana
che in queste pagine Gentile impartiva a Labriola proseguiva a lungo.
Andava oltre e al di là di Hegel; e rischiava a tratti di trasformarsi,
addirittura, in una lezione di filosofia e di storia della filosofia.
Così, in un punto della trattazione, non senza qualche volontaria o
involontaria perfidia, arrivò ad obiettargli che non vedeva proprio
perché si dovesse cercare in Engels ciò che non solo da Hegel, ma già
da Eraclito era stato affermato e chiarito" (Gennaro Sasso, "Giovanni
Gentile:gli scritti su Marx", in "La Cultura", anno XXXV, n.1, aprile
1977, p.77). No, il marxismo della praxis è per Giovanni Gentile una
conquista davvero seria, e non è una pura "leggenda" che lui vuol fare
di questo marxismo un'autentica metafisica, una filosofia
per nulla astratta dell'azione e della rivoluzione. Gennaro Sasso non
può non ammettere, bontà sua, che Gentile traduce le "Tesi su
Feuerbach", solo che lui non attribuisce a questa operazione di
traduzione e commento alcun effetto che possa rappresentare una qualche
novità non contenuta nel suo idealismo reinterpretato e rivisitato
secondo le esigenze attualistiche, e Marx rimarrebbe
incompatibile così con il suo nucleo concettuale e operativo, non
riconducibile neppure lontanamente a quello propriamente
rivoluzionario.L'intelligenza critica di Sasso ha voluto separare
nettamente e irrimediabilmente destra fascista e sinistra
marxista, attribuendo a Gentile una sola parentela, quella con la
destra hegelo-fichtiana; ma, a mio modesto parere, egli non ha potuto
salvare la filologia, né è riuscito a separare, come sarebbe stato
corretto, il Gentile dell'autentica elaborazione attualistica degli
anni prefascisti ed il Gentile ormai esausto corifeo della dittatura
fascista.
Il prassismo attualista è invece figlio legittimo del marxismo della
praxis, come si diceva, e specialmente delle "Tesi su Feuerbach", nelle
quali il momento più pregnante è dato proprio dall'enfasi sul valore
della praxis umana tesa a trasformare il mondo e
sull'impossibilità di accedere alla filosofia come semplicistico
ed anacronistico strumento di contemplazione ed interpretazione della
realtà, secondo la famosa undicesima "Tesi su Feuerbach" per la
quale "i filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi
diversi; ma si tratta di mutarlo". Perciò ritengo che accanto ad Hegel
vi sia la presenza di Marx nel pensiero gentiliano, e ciò serve a
riproporre lo stretto legame di teoria e praxis, con una praxis che è
immediatamente teoria, ed una teoria che è essa stessa praxis, come nel
migliore marxismo hegelo- rivoluzionario.
Diversamente dalla teoria del materialismo storico, affidato
soprattutto ai "Manoscritti economico-filosofici", alla "Ideologia
tedesca", alla "Sacra famiglia" e allo stesso "Capitale", scritti che
intendono fare del mondo l'oggetto della comprensione storica, nelle
"Tesi", nel "Manifesto del partito comunista", nel "Programma di
Gotha", nella "Miseria della filosofia" e in altri lavori affini impera
sovrana la praxis rivoluzionaria che si realizza nella dialettica
del rovesciamento e nel primato della volontà rivoluzionaria. Gentile
non vuole ripercorrere certamente il terreno marxista della lotta di
classe e del proletariato rivoluzionario, e tanto meno quello della
dittatura del partito, e si ferma alla fase della coscienza
rivoluzionaria e dell'azione sovvertitrice che distrugge e ricostruisce
il mondo naturale e storico, e quindi trasforma la lotta di classe del
marxismo in una fortissima tensione etico-politica e in una libera
capacità creativa e ricostruttiva di nuovi rapporti sociali e umani.
Anche Biagio De Giovanni, in tempi recenti, ha dovuto ammettere
che Gentile costruisce il suo attualismo con la scoperta
sorprendente, ne "La filosofia di Marx", della marxiana filosofia della
prassi depurata dal materialismo:"Nella lettura gentiliana di
Marx, quell'hegeliano in parte deviato aveva tuttavia intuito l'unità
di
pensiero e prassi, che sembrava andare proprio nella direzione poi
affermata da Gentile, l'immagine di un pensiero che non va analizzato,
ma
realizzato". E così, prendendo posizione rispetto alle due
letture contrapposte di Augusto Del Noce, che vede nello scritto su
Marx
l'abbozzo dell'intero attualismo, e quella successiva di Gennaro
Sasso, che tende a una netta svalutazione di quel testo, De Giovanni
ritiene che Gentile "vide in Marx, certo, l'epigono di un materialismo
inaccettabile, ma a un tempo chi, puntando su una prassi destinata a
rovesciare l'esistente, liberava lo stesso Hegel dai tratti più
scolastici e coatti del suo sistema"(B. De Giovanni, "Giovanni Gentile.
Il contributo italiano alla storia del pensiero", ad vocem in
Enciclopedia Italiana Treccani).La posizione "intermedia" di De
Giovanni nella sostanza è poco intermedia, giacché aderisce alla tesi
già sostenuta da Ugo Spirito e poi ripresa da Del Noce sulla base
soprattutto della prima opera di Gentile su
Marx.
Non dovrebbe essere difficile perciò riposizionare la teoria della
comunità politica e quella del lavoro-valore del capolavoro gentiliano
che è "Genesi e struttura della società", anch'essa di marxistica
tessitura, nella quale esistono e persistono tutti gli ingredienti
comunistici e si ripropone in modo decisivo la valorizzazione della
prassi lavorativa quale momento fondamentale della necessaria, continua
e non rinviabile trasformazione della natura, con la liberazione
dell'uomo e la realizzazione dell'autentica comunità: "All'umanesimo
della cultura, che fu pure una tappa gloriosa della liberazione
dell'uomo, succede oggi o succederà domani l'umanesimo del lavoro.
Perché la creazione della grande industria e l'avanzata del lavoratore
nella scena della grande storia, ha modificato profondamente il
concetto moderno della cultura. Che era cultura dell'intelligenza
soprattutto artistica e letteraria [...] Da quando lavora, l'uomo è
uomo
e s'è alzato al regno dello spirito, dove il mondo è quello che egli
crea pensando:il suo mondo, sé stesso. Ogni lavoratore è faber fortunae
suae, anzi faber sui ipsius [...] Nessun dubbio che i moti sociali e i
paralleli moti socialistici del secolo XIX abbiano creato questo nuovo
umanesimo la cui instaurazione come attualità e concretezza politica è
l'opera e il compito del nostro secolo [...] L'uomo reale, che conta, è
l'uomo che lavora, e secondo il suo lavoro vale quello che vale. Perché
è vero che il valore è il lavoro;e secondo il suo lavoro
qualitativamente e quantitativamente differenziato l'uomo vale quel che
vale" (Giovanni Gentile, "Genesi e struttura della società. Saggio di
Filosofia Pratica", Sansoni, Firenze 1946, pp.111-112). Non si poteva
assolutamente evitare questa citazione, che riassume molte pagine del
saggio di Gentile e che non ha bisogno di tanti commenti. Si può solo
sottolineare il fatto che le idee ben riconoscibili sul valore del
lavoro e sul significato creativo della praxis sono di stretto conio
marxista, anche se collegabili concettualmente e indirettamente alla
fonte comune e primaria che è la "Fenomenologia dello Spirito" di
Hegel, là dove il filosofo di Stoccarda esalta la capacità e competenza
lavorativa del servo che attraverso il lavoro concreto riconquista la
coscienza di sé e del proprio valore di fronte al padrone ormai
decaduto per inerzia.
L'attualismo della prassi è, dunque, filosofia della potenza volitiva
illimitata che, se demolisce la stabilità dell'essere, esalta
l'attività incontenibile del soggetto "trascendentale" nel suo perenne
fare e farsi, nel suo continuo intervento sulla materia,
smaterializzandola, perché "la materia è già vinta da quando la zappa
dissoda la terra, infrange la gleba e l'associa al conseguimento del
fine dell'uomo"(ivi, p.112). I risultati di quest'attività
materiale-spirituale dell'Io sono sempre provvisori nel flusso inquieto
del divenire, che non placa mai la propria ansia di scorrimento e non
raggiunge mai la sua meta. Ciò che importa stabilire è che diventa
davvero assurda, e per certi versi contraddittoria, la teorizzazione di
un regime "stabilmente" dittatoriale che stritoli e fagociti il
movimento della storicità. I testi esaminati dicono infatti che ci
troviamo al cospetto di una visione essenzialmente libertaria che
esclude qualsiasi prospettiva dogmaticamente autoritaria, qualsiasi
stabilità di regime, e intende quindi garantire la libertà del
soggetto e dei soggetti "trascendentali": "Le pecore del gregge, se non
s'immagini in ciascuna un rudimentale e oscuro senso di sé, al pari di
un mucchio di pietre, alle quali nessuno attribuisce capacità di
sentirsi, non formano una società.Il socio è l'oggetto del nostro
soggetto, cioè il nostro oggetto, che per essere nostro cessa di esser
cosa, e diventa un altro[...]e concorre in noi, con noi, a quella
società
che è insita all'Io trascendentale; e ben può dirsi perciò società
trascendentale" (Ibidem, pp. 38-39).
Lo Stato etico di tristissima memoria si trasforma qui nella
comunità politica dei soggetti che tendono a perseguire, dopo
l'alienazione borghese, la loro sovranità nella superiore civiltà del
lavoro e nel reciproco riconoscimento, senza tentazioni padronali e
dittatoriali. Questa è l'idea gentiliana che discende per logica
necessità dallo scritto su Marx, da opere di epoca prefascista e
soprattutto dalla fondamentale "Genesi e struttura della società"
scritta a Troghi in giorni difficili per l'Italia. Non è corretto
perciò fare di quest'opera una sorta di esaltazione dello Stato
corporativo, anziché una riflessione sintetica sulle prospettive
rivoluzionarie nell'albore di tempi nuovi che si preannunciano e che
nostalgicamente assomigliano a quelli lontani della giovinezza ispirati
dalla praxis marxiana creatrice del nuovo mondo storico e
trasformatrice e sovvertitrice del vecchio mondo borghese-aristocratico.
Non è un caso allora che "Genesi e struttura della società" includa in
appendice uno scritto titolato "L'immanenza dell'azione", che è il
testo di una conferenza tenuta nel marzo 1942, nella quale si
contesta l'ideale lucreziano dello starsene alla finestra a contemplare
il mondo, quando invece bisogna lottare e agire e creare e ricreare il
mondo: "Ideale epicureo, ma che arrise a quasi tutta l'antica
filosofia, come alla sapienza orientale e allo stesso spirito
francescano [...] Ma insufficiente a spiegare le più alte esigenze
umane
in quanto l'uomo vive d'amore, che lo porta ad uscire fuori da sé,
cercarsi fuori della sua immediata esistenza. E lo porta perciò alla
trascendenza [...] Poiché l'affermazione della trascendenza è
riconoscimento del limite dell'uomo e del bisogno che egli ha di
superarlo una volta che lo avverta; superarlo e andare al di là del
proprio limite" (ibidem, pp.176-177).Ciò che conta nell'uomo è allora
l'azione, e là dove il pensiero è sterile, l'azione è creatrice e
trasformatrice della realtà, che è una produzione umana: "Il prodotto
dell'azione, il valore, è appunto nell'azione, nell'atto del volere,
ossia dello spirito creatore in quanto creatore di sé stesso"
(ivi, p.181). E pure il pensiero diventa azione, se non è chiuso
in una teoresi astratta che si limiti solo a contemplare il mondo. Qui
ricomincia l'incontro con il giovanile marxismo, ma si chiude anche la
giornata lavorativa di Gentile.
prof. Salvatore Ragonesi
salvatoreragonesi@hotmail.com