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Riforma: Due ostacoli sul cammino verso una buona scuola

Rassegna stampa
La proposta del Governo punta a cambiare il funzionamento del sistema scuola. Ha una sua coerenza ed è argomentata in maniera comprensibile e documentata. Cruciale però definire bene i due grandi temi delle nuove assunzioni e della valutazione. Altrimenti, possono far fallire l’intero progetto.
UNA BUONA BASE DI DISCUSSIONE
Leggendo la proposta di riforma della scuola del Governo si ha oggettivamente l’impressione di essere di fronte a qualcosa di molto diverso dai documenti ministeriali ai quali eravamo abituati. Si tratta di una proposta che, al di là dei meriti e delle lacune, ha l’ambizione di cambiare davvero il funzionamento del sistema scuola, ha una sua coerenza ed è argomentata in maniera comprensibile e documentata. Su questa base, si può quindi cominciare a discutere in modo costruttivo, anche dei dettagli, e contribuire così al dibattito pubblico auspicato dal Governo.
Per sgombrare il campo da possibili fraintendimenti, confesso subito di aver fatto parte di uno dei gruppi di lavoro che ha fornito idee e spunti per preparare il documento fatto circolare in questi giorni. Il ministro e il Governo hanno poi, legittimamente, raccolto alcuni di questi spunti, ne hanno rielaborati altri e ne hanno lasciati cadere molti altri, assumendosi correttamente e per intero la responsabilità del progetto. Per quanto mi riguarda, non ho mancato nel corso dei lavori di far presente le mie perplessità, alcune delle quali riguardano anche il documento finale e ritengo quindi opportuno esporle a tutti per contribuire al dibattito pubblico auspicato dal Governo.
Evito quindi di soffermarmi sui punti che trovo più convincenti (al netto di alcuni dettagli), come ad esempio il superamento dei semplici scatti di anzianità a favore di una progressione di carriera più meritocratica, e mi concentrerò rapidamente su due punti che a mio avviso sono cruciali.
L’ASSUNZIONE DEI PRECARI
La prima criticità del progetto di riforma è ovvia ed è già stata evidenziata da altri (Andrea Ichino qui, Thomas Manfredi su Linkiesta, Roger Abravanel sul Corriere della Sera): l’assunzione dei 150mila precari pone una questione enorme di qualità degli insegnanti.
Purtroppo, gli errori del passato hanno creato una situazione nella quale il diritto di molti a essere assunti in modo stabile nella scuola presumibilmente contrasta col diritto degli studenti ad avere docenti capaci. Non è colpa dei precari, ovviamente. Tuttavia, guardando i numeri e la composizione delle graduatorie non si può non sospettare che alcuni degli iscritti non siano esattamente gli insegnanti più preparati. Per esempio, i 916 iscritti nelle graduatorie per la classe di concorso steno-dattilografia, oltre a essere abilitati per una materia ormai non più nei programmi, avranno probabilmente vinto il concorso diversi anni fa, magari qualche decennio fa. Nel frattempo cosa hanno fatto? Ammesso che al momento dell’iscrizione in graduatoria fossero ottimi insegnanti, oggi lo sono ancora? Mi si perdoni la franchezza, ma sarei sinceramente preoccupato se i miei figli dovessero averli come insegnanti (di che materia non si sa) nell’anno scolastico 2015-2016.
Il Governo sembra voler affrontare il problema da un lato con un programma di riqualificazione di queste persone, dall’altro assegnandone alcune a cosiddette posizioni funzionali e infine sperando che, in virtù del nuovo modello contrattuale premiante, ma soprattutto della mobilità geografica, molti rinuncino all’assunzione. Nessuna delle tre strategie mi convince. Soprattutto se la situazione occupazionale del paese rimarrà cupa, dubito che in molti rinunceranno a un posto di lavoro sicuro.
In generale, mi sembra che la proposta del Governo dia priorità al diritto al lavoro dei precari rispetto al diritto degli studenti ad avere insegnanti capaci. Come d’altronde si è sempre fatto.
È un errore grave perché le conseguenze di queste assunzioni dureranno a lungo. Come dice il documento, stiamo parlando di un “Piano di assunzioni [...] che non ha precedenti nella storia della Repubblica” e corriamo il rischio di assumere le persone sbagliate. Dispiace dirlo, soprattutto perché queste persone sono o sono diventate “sbagliate” per colpe altrui, ma non possono essere gli studenti di domani a pagarne le conseguenze.
Avrei preferito che il Governo avesse deciso di mettere davanti a tutto il diritto degli studenti e avesse trattato l’enorme precariato della scuola come un problema sociale, da risolvere con strumenti diversi. Credo che il contribuente italiano avrebbe accettato più volentieri di accollarsi il costo dei precari della scuola piuttosto che quello dei dipendenti Alitalia, tanto per citare un caso tra altri.
LA QUESTIONE DELLA VALUTAZIONE
La seconda questione riguarda la valutazione delle scuole e con essa la definizione dell’autonomia scolastica e del sistema di reclutamento. In Italia, e nella scuola in particolare, si è parlato troppo di valutazione e merito senza che questo abbia portato a risultati tangibili. È quindi inevitabile che su questi temi ci sia da parte di molti un certo sospetto, che il documento avrebbe dovuto a mio avviso fugare. E la proposta di riforma avrebbe dovuto essere molto più esplicita su come si farà la valutazione, ma soprattutto su quali ne saranno le conseguenze. È molto più chiaro e dettagliato il sistema di valutazione dei docenti, mentre per le scuole (e quindi i presidi) si è optato per un sistema di autovalutazione che si presta troppo e troppo facilmente a manipolazioni.
Temo che questa scelta sia dettata dalla difficoltà di trovare un sistema di valutazione più oggettivo. Insegnare è una attività complessa e apprendere è un processo per molti aspetti misterioso. Bisogna quindi accettare il fatto che il metodo di valutazione ideale non esiste. Chi critica un metodo spesso lo fa senza proporre alternative oppure sperando che l’alternativa sia non valutare affatto. Rassegniamoci quindi a un sistema buono, ma imperfetto, come quello che si basa sui test standardizzati. Si possono smussarne le imperfezioni, per esempio discretizzandolo, ovvero differenziando solo le scuole che hanno performance sensibilmente diverse, e valutando su un arco temporale più lungo del singolo anno.
Una volta definito il metodo, è necessario chiarire quali sono le conseguenze di una valutazione positiva o negativa. Nella proposta del Governo è giustamente sui presidi (o sulla dirigenza scolastica più in generale) che ricadono le conseguenze della valutazione, ma ai presidi si devono anche mettere in mano gli strumenti per migliorare la propria scuola. E lo strumento principale deve essere la possibilità di scegliersi i docenti. Nessun bravo manager accetterebbe di gestire un’azienda senza poter scegliere i collaboratori e lo stesso vale per i dirigenti scolastici. A mio parere, questo è il motivo per il quale spesso nella pubblica amministrazione la valutazione non ha funzionato. Sei valutato, tuttavia non hai strumenti per incidere sul funzionamento della tua organizzazione. Risultato? Tutti sono valutati nello stesso modo, generalmente al meglio.
L’autonomia scolastica deve esprimersi non solo nell’adeguamento del progetto educativo, ma anche e soprattutto nella scelta delle persone che quel progetto devono realizzare. E lo stesso docente può essere bravissimo in un contesto e fare disastri in un altro: il preparatissimo e severo professore vecchio stampo può fare miracoli nel liceo di una grande città e disastri nell’istituto tecnico di provincia, dove il successo è riuscire a mantenere gli studenti seduti sui banchi.
La proposta di riforma accenna a questi temi, però rimane molto vaga. Si fa qualche riferimento alla possibilità dei presidi di selezione i propri docenti, ma non è chiaro di cosa si tratti esattamente. Mi è sembrato di capire che possano chiamare insegnanti da altre scuole sfruttando la nuova mobilità geografica. Se è così mi pare molto limitato. Il documento non descrive il meccanismo di assegnazione degli assunti alle singole scuole, che oggi avviene in modo del tutto deterministico.
Infine, perché l’introduzione di un sistema di valutazione sia credibile è necessario spiegare cosa accade con le scuole che vanno male e continuano ad andare male. Qui l’autonomia deve sparire, è il ministero che deve dotarsi di un efficace sistema di rilevazione per identificare le situazioni critiche e intervenire rapidamente assumendosi la responsabilità di cambiare la dirigenza, magari spostando sulle scuole in difficoltà presidi che abbiano mostrato capacità in contesti analoghi. Ed eventualmente anche chiudendo e riaggregando alcune scuole.
Tutte le altre proposte presentate nel documento sono a mio avviso interessanti (crowfounding, ruolo dei privati, scuola-lavoro, per esempio), ma marginali rispetto ai due grandi temi delle nuove assunzioni e della valutazione delle scuole. Sono importanti anche perché, se mal progettati, possono far fallire l’intero progetto, che invece punta nella giusta direzione.
Ai redattori del documento del Governo queste mie opinioni non risulteranno nuove perché ho avuto modo di esprimerle più volte nel corso delle riunioni alle quali ho partecipato. Evidentemente nella loro rielaborazione hanno deciso altrimenti. Spero di riuscire ora a convincerli della bontà di queste riflessioni.

09.09.14
Michele Pellizzari
http://www.lavoce.info








Postato il Martedì, 09 settembre 2014 ore 15:03:39 CEST di Salvatore Indelicato
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