Nefas. - Certo
che Leopardi è pessimista. Di più: a parere di chi
scrive egli è un pessimista senza redenzione alcuna, un nichilista che
non soltanto nega qualunque postulazione di trascendenza - "superbe
fole" e "pargoleggiar" vari permettendo - ma che descrive come vera
natura del mondo "il solido nulla", tanto per metterci l'anima in pace.
Pensatore che il nichilismo ha robustamente concettualizzato sul
versante linguistico, assiologico ed ontologico, come è agevole
constatare dalla lettura dello Zibaldone. Tuttavia, il guaio dei nostri
tempi consiste nel non attribuire sovente a questo nichilismo - dico in
sede didattica, non solo eminentemente speculativa - tutta la fecondità
delle riflessioni e delle tematiche che lo pregnano e supportano, che
lo arricchiscono e vivificano, che lo rendono dinamico; e al contrario
ridurlo ad una categoria interpretativa schematica e bolsa, data una
volta per tutte e che non necessita di alcuna ricognizione
gnoseologica, etica, e soprattutto filologica. Bizzarro destino per
l'ultimo dei poeti-filologi cui finanche Nietzsche si inchinò
deferente.
"E allora, figliolo, cosa ti hanno fatto leggere di Leopardi agli esami
di Stato?". "Niente professore, mi hanno chiesto il pessimismo storico,
ed appena ho accennato all'Ultimo canto di Saffo, hanno voluto sapere
del pessimismo cosmico". "E il doglio avaro? e il natar tra' nembi? ed
il lubrico piè?", ribatto. "Ma quale lubrico piè prof, non c'era
tempo...". Sono vent'anni che faccio esami di Stato qua e là per lo
Stivale, e conosco il ritornello, come anche le fortunose eccezioni che
lo zittiscono e sanno far parlare anima e cervello; ma sono
sinceramente annoiato da certa approssimazione e mortificazione
estetica, e ancor di più della arroganza con cui le si ignora. Il tempo
si trova, se lo si vuole; e soprattutto si potrebbe trovare la qualità
del tempo, provarci almeno. Insomma, anziché recepire acriticamente
questo dato di fatto, il pessimismo, - che tanto può significare ma
anche niente - sarebbe più confacente sostanziarlo del corredo testuale
da cui promana e che è risorsa imprescindibile per qualunque
ermeneutica che voglia aspirare ad un briciolo di serietà. Cosa che non
sempre o compiutamente avviene - dobbiamo riconoscere con neanche
eccessiva franchezza - sia all'università sia a scuola.
Esattamente laddove, cioè, dovrebbe passare il principio che studiare e
far studiare Leopardi, ma non solo Leopardi, senza esigere una rigorosa
conoscenza testuale, senza vagliare cioè con l'acume necessario
l'oggetto letterario che ne invera il mondo interiore, la pienezza del
sentire, è faccenda ridicola e presuntuosa, di una presunzione
sbarazzina e criminale, giacché ammazza lo spirito del pensiero proprio
quando si è chiamati, il pensiero, a farlo vivere. Diversamente
possiamo arroccarci sul soglio della beatitudine continuando a
sostenere - qualcuno finanche eccitato - che la formula del pessimismo
leopardiano esaurisca, da sola o con qualche striminzito assaggio
antologico, o con una semplice lettura proiettiva, le infinite domande
della sua, nonché della nostra intelligenza; e magari seguitando a non
far caso a questo martellante e avvilente dislagare di facilonerie
cognitive e quizzaiole del nostro "sistema" d'istruzione e di
formazione universitaria, e a tutta l'insipienza culturale che ne
discende.
Come quella che in questi giorni apprendo da uno studente universitario
che nel corso di latino è stato caldamente consigliato dalla docente di
tradurre il celebre nefas di Virgilio in..."nefas" (sic!), giacché a
suo
dire "intraducibile"! Insostenibile e sciocco dirupo di qualsivoglia
intelligenza di studio. A questo siamo, finalmente: il nuovo che avanza
e che consente al "sistema", a questa banale procedura inquisitoria in
cui si sta trasformando l'istruzione, di "rilasciare" i ragazzi al
braccio secolare di una sempre più letale approssimazione. Potremmo
tuttavia, invece che nella realtà, far finta di essere in un altro
mondo e cavalcare anche noi - con molti meno scrupoli e più disinibito
trasporto - le nostre "magnifiche sorti e progressive" (che in Italia
sono puntualmente regressive) regalateci da questa salubre temperie che
innerva istruzione e cultura, tanto per cambiare; magari augurandoci,
come l'austero Marchese di Villabianca si augurava del suo tempo, che
"faccia il Signore dunque perennarci ora quella salvezza che
presentemente si sta godendo". Non fa per me.
Ragion per cui, sarebbe auspicabile che quei docenti tanto sbadati o
tanto supponenti da trascurare o perfino ignorare di un autore la
parola scritta ma al contrario tanto prodighi nell'utilizzo di formule
ermeneutiche standard, tanto briosi cioè a perpetuare significanti
senza significato e contenitori senza contenuto, trovassero di meglio
da fare (lasciamo liberissima scelta) che non deprimere la nostra
repubblica letteraria - "la sola figlia legittima delle due sole vere
tra le antiche", per dirla col Nostro - coi medesimi ragli con cui sono
stati formati laureati e abilitati. E questo affermiamo nella
consapevolezza che è assai arduo che possa cessare l'effetto se
continua a durare la causa. Vale per coloro che dovranno formarsi
professionalmente che per coloro che già allietano e ingrassano, di
vana prosopopea, università e scuola.
F. Martorana, Atlantide,
Circospezioni e fantasticherie al tempo di Facebook