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Umanistiche: TZVETAN TODOROV :''Hanno ucciso la letteratura''

Rassegna stampa

 

"Conoscere gli uomini", la buona causa di scrittori e critici è perduta
TZVETAN TODOROV


Tzvetan Todorov, filosofo del linguaggio e critico letterario, è nato nel ’39 a Sofia, in Bulgaria. Dall’inizio degli Anni Sessanta vive a Parigi dove è stato allievo di Roland Barthes. A Como, nei giorni scorsi, è stato ospite della Fondazione Ratti e ha parlato su “Il potere della letteratura”. Eccovi parte della sua riflessione. Il suo ultimo libro (La letteratura è in pericolo) è edito da Garzanti.

La letteratura non ha un posto d’onore nella nostra società, i candidati presidenti della Repubblica non se ne occupano... Al liceo, gli studenti, appena possono, la mettono da parte: in realtà si applicano alla letteratura soltanto coloro che non padroneggiano la matematica com’è richiesto negli studi scientifici ed economici. La letteratura francese non risplende più nel mondo come nel passato. Certo, sopravvive un gran numero di innamorati dei libri, autori, librai, bibliotecari e soprattutto lettori, i quali però vivono la loro esperienza nell’intimità e la loro voce non si percepisce nel mondo. Salvo per quelli che lo fanno per mestiere, la letteratura occupa lo spazio del piacere piuttosto che quello dell’utile. M.Allo (da La Stampa)

 

Questa è la mia idea. Forse perché sono cresciuto negli anni Cinquanta nella Bulgaria comunista dove si verificava una curiosa inversione di ruolo nei testi che potevamo leggere. I giornali e i libri contemporanei, che avrebbero dovuto raccontare il mondo in cui vivevamo, parlavano in realtà di un mondo immaginario, dove operai felici vivevano accanto a contadini sorridenti, tutti in comunione tra loro nell’amore per il comunismo, per la patria e il grande fratello sovietico. Invece erano i classici - Gogol o Dostoïevski, Balzac o Stendhal, Cervantes o Shakespeare - a raccontarci la verità e non mondi di fantasia come si poteva pensare. Loro non mentivano, non falsificavano, non cercavano di compiacere ai potenti di turno. Sembravano avere altri obbiettivi: capire al meglio la condizione umana, distinguere il bene dal male, arricchire il mondo di senso e di bellezza. La letteratura ci portava a guardare meglio dentro noi stessi e a trasformarci; non era soltanto un divertimento, ci aiutava a vivere.

Si possono trovare molte ragioni per spiegare la perdita di prestigio che ha colpito la letteratura oggi in Francia. Se è caduta così in basso a scuola, la responsabilità non andrebbe addebitata all’influenza dello strutturalismo e della linguistica sugli studi letterari? A meno che - come qualcuno pensa - non si tratti di un oscuro complotto ordito nei corridoi del ministero dell’Istruzione al fine di decerebrare gli studenti per farne una docile manodopera al servizio del grande Capitale. Se la letteratura è in ribasso, non si dovrebbe dare la colpa al «Nouveau Roman» degli anni Cinquanta e Sessanta o ad altre forme di sperimentazione verbale, che hanno stravolto i personaggi, i racconti, addirittura il senso del testo?

Tutte ragioni che hanno forse avuto un ruolo in alcuni casi, ma non ci si può accontentare di questa spiegazione, o altrimenti bisognerebbe capire il perché di questo impatto. Guardando più in profondità, ho l’impressione che una certa concezione della letteratura s’è imposta negli spiriti rendendo la scuola, le case editrici e le redazioni dei giornali sensibili a queste nuove correnti di idee. Per dirlo con una frase: tutto avviene come se tra la letteratura e il mondo esteriore non ci fosse alcun rapporto significativo, come se si fosse consumata una rottura tra la realtà che essa racconta e quella nella quale vivono l’autore e i suoi lettori. Ora, se le cose stanno davvero così - mi immagino che pensi un normale liceale -, non dovendo fare l’insegnante di lettere, perché dovrebbe affaticarsi a leggere questi romanzi?

Si può trovare un indizio tra gli altri di questa rottura tra la letteratura e la vita quotidiana di autori e lettori nello spazio crescente che si sta affermando di quella che potremmo chiamare la corrente letteraria nihilista. E con questa definizione intendo quelle opere che ci presentano il mondo in balia di sole forze distruttive, di violenza e crudeltà; un mondo abominevole, un’esistenza orribile, degli esseri umani esclusivamente dediti alla barbarie.

Ciò che mi fa effetto in questa produzione letteraria non è tanto che esista: riesco ad immaginare che una tale individuo possa sentirsi disgustato dalla vita e non vederne che gli aspetti più sinistri. Ciò che trovo invece sorprendente è l’accoglienza favorevole che riservano a questa concezione del mondo coloro che dovrebbero orientare i lettori nelle scelte e nei giudizi: i critici di giornali e periodici. Ne apro uno a caso. Un primo autore è lodato per saper «scorticare il genere umano in tutta la sua decadenza», è di «sconvolgente crudeltà», giubila la critica che si rallegra di vedere come «l’autore si tuffa nell’immondo». In quelle stesse pagine, un secondo autore viene acclamato per aver finalmente indirizzato all’umanità un messaggio di verità per aver guardato la realtà dal punto di vista «degli inganni dell’amore, della viltà delle coppie o della violenza castratrice delle madri». E così via, pagina dopo pagina, settimana dopo settimana... Bisogna concluderne che lettori e autori nella loro vita devono rinunciare a questi «vili rimedi», amore passionale, coniugale, paterno o materno? O invece che sono esattamente questi valori a garantirci una buona vita mentre è la loro negazione ad assicurare una buona letteratura?

Ora, reale e immaginario non sono separati da compartimenti stagni, non più che «io» e «gli altri». Essendo l’oggetto della letteratura l’esistenza ordinaria di uomini e donne, chi la legge e la capisce potrà diventare non un critico letterario, ma un conoscitore dell’essere umano. E chi di noi non ha bisogno di saperne un po’ di più su questo argomento?

Tzvetan Todorov è nato a Sofia nel 1939. Dopo il diploma, nel 1963, si trasferisce a Parigi, dove studia filosofia del linguaggio con Roland Barthes. Insegna all'Ecole pratique des hautes études e alla Yale University e diventa direttore del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica di Parigi (CNRS). Attualmente è direttore del Centre de recherche sur les arts et le language di Parigi.

Dopo i primi lavori di critica letteraria dedicati alla poetica dei formalisti russi, l'interesse di Todorov si allarga alla filosofia del linguaggio, disciplina che egli concepisce come parte della semeiotica o scienza del segno in generale. Dagli anni Ottanta, i temi già affrontati in letteratura della diversità e dell'alterità, lo portano a ricerche di tipo filosofico antropologico come La conquista dell'America (1984) e Noi e gli altri (1989).

Da qui la strada verso un ripensamento critico del ruolo del soggetto nella storia e del peso della memoria nella vita quotidiana dei singoli e dei popoli. Pubblica Le morali della storia (1991), Di fronte all'estremo (1992) una riflessione intensa sulle vittime dei lager e dei gulag, e Una tragedia vissuta (1995) che lo spinge a riflettere sul ruolo del singolo e sulla sua responsabilità nella storia.

Todorov diventa in questi anni un punto di riferimento per la nuova cultura occidentale. Il suo lavoro infaticabile lo spinge a completare un'altra ricerca sulle radici e ragioni della socialità dell'uomo con La vita comune (1995), Le jardin imparfait (1998) e l'ultimo saggio magistrale sui totalitarismi Memoria del bene, tentazione del male (2000).









Postato il Domenica, 27 aprile 2008 ore 16:20:01 CEST di Maria Allo
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