Domanda
In merito alla consulenza da Lei fornita (e più volte ribadita) in materia di "classi divise" ed obbligo di sorveglianza di alunni di altre classi, mi sono permessa di chiedere la parola (in coda all'ordine del giorno), durante l'ultimo Collegio dei Docenti, per informare i colleghi che l'ordine di servizio loro proposto come obbligo ed impartito come tale dal dirigente (in più occasioni ed in ben 2 anni scolastici differenti), costituisce un illecito, mette a repentaglio la sicurezza della scolaresca ed espone i docenti stessi a oneri civili, se non penali. Intuito l'argomento del mio intervento, il dirigente mi ha impedito di parlare al Collegio, sostenendo che l'argomento non fosse all'ordine del giorno (quindi non trattabile) e che trattandosi di contenzioso "personale fra di noi" (sic), visto l'atto di rimostranza scritto che gli ho inoltrato, il Collegio non fosse la sede adatta per discuterne. Ignorando le mie rimostranze per essere stata ostracizzata, passava la parola ad altra collega e dichiarava chiusa la seduta. L'Rsu (Rappresentanze sindacali unitarie) presente, non è intervenuta in favore della mia libertà di espressione in capo al Collegio. Tornata a casa, ho consultato il Testo Unico del '94 e sembra perorare la mia causa (art.7 lettera r). E' possibile che, vista la qualità del mio intervento ed anche se lo stesso non era preventivato nell'ordine del giorno, il dirigente impedisca ad una docente di prendere la parola su un argomento che interessa il corpo docente per intero?
Risposta
Il comportamento del dirigente sembrerebbe illegittimo. La prassi dell'inserimento della voce "varie ed eventuali" quale punto conclusivo dell'ordine del giorno dei lavori degli organi collegiali dell'amministrazione, vale proprio a consentire ai membri del collegio di intervenire con comunicazioni utili allo svolgimento delle funzioni assegnate all'organo stesso, con l'unico limite della impossibilità di deliberare sugli argomenti esplicitati nelle comunicazioni.
da treccani.it