di MARIO BAUDINO
In quinta elementare la conoscevano abbastanza bene, per quel poco che dovevano sapere, in prima media non ricordano più nulla. In terza media avevano tutta una serie di conoscenza specifiche, al primo anno delle superiori le hanno perse, e bisogna ricominciare da capo. Non è colpa delle estati bollenti, ma di un meccanismo assai complesso che da una parte riguarda sì l’insegnamento, ma dall’altra la motivazione, il grado di fiducia nella scuola e in ciò che si impara da parte degli alunni. È una vecchia storia nella tradizione italiana, forse dovuta all’impronta data alla nostra cultura dalla riforma Gentile, e spesso confermata dalle indagini sull’apprendimento scolastico.
Una riprova è nel rapporto che pubblica oggi l’Invalsi. L’istituto per la valutazione dei risultati scolastici ha condotto un test sugli apprendimenti di italiano e matematica nelle classi seconda e quinta elementare, e nella prima media. I risultati sono più o meno quelli che ci si poteva attendere, perché ovviamente non si discostano molto dai precedenti, e da indagini simili. Quel che colpisce, però, è che italiano e matematica vanno a braccetto, almeno per un po’, e poi si lasciano, forse per sempre, come due partner insoddisfatti. All’inizio, siamo tutti uguali: in seconda elementare ci sono 61 risposte corrette su 100 per l’italiano, e 56,7 per la matematica; poi la forbice si allarga, e la differenza diventa di cinque punti in quinta, di dieci in prima media. È l’effetto-dimenticanza, lo stesso che in parte vale, nel campo dell’italiano, per la grammatica.
Nei giorni scorsi si è letto il rapporto Invalsi sulla prova nazionale effettuata nel quadro degli esami di terza media come la certificazione di una Caporetto proprio della grammatica. In realtà, al di là dei sensazionalismi, la bassa percentuale di risposte esatte indica solo una conoscenza media piuttosto bassa. È evidente che una risposta giusta su tre non significa che uno studente su tre non conosce la grammatica. Lo stesso vale per la matematica. E se si incrociano i dati regione per regione, si vede che la vera forbice è, ancora una volta, tra Nord e Sud. Al Nord le cose vanno molto meglio, e soprattutto i risultati sono più omogenei, mentre al Sud c’è una forte diversità anche all’interno delle singole regioni. C’è anche un caso curioso: la Puglia che è vicina alla media nazionale in italiano, ma non in matematica. Patria di grandi oratori...
Per il resto, come c’era da attendersi, svettano Piemonte e Lombardia, Trentino e Friuli Venezia Giulia, e il Veneto, che però eccelle in italiano. In generale anche i distacchi in positivo dalla media nazionale non sono particolarmente significativi per quanto riguarda la matematica. La domanda s’impone: siamo noi che proprio non la vogliamo studiare, o è la scuola che non riesce a insegnarcela?
Se, come si è visto, nella seconda elementare ci sono regioni che hanno addirittura un ritardo in italiano e un vantaggio in matematica (sempre rispetto alla media nazionale), nella quinta sono solo tre, in prima media zero. Il quadro che dipinge l’Invalsi non è purtroppo molto promettente: fatta eccezione per Abruzzo e Basilicata, alla fine tutte le regioni meridionali hanno risultati significativamente più bassi della media nazionale. E nelle Isole va anche peggio.
Il divario si amplia mano a mano che gli alunni procedono negli studi e diventano grandicelli: le regioni settentrionali partono più avvantaggiate (soprattutto per quanto riguarda l’italiano) e i risultati tendono a migliorare nel corso degli anni; al contrario quelle meridionali perdono progressivamente terreno sia in italiano sia in matematica, dove peraltro già in seconda primaria sono sotto di qualche punto. Si assiste così a quello che sembra un paradosso, ma purtroppo non lo è: proprio nel momento piuttosto cruciale in cui si lasciano le elementari per il nuovo ciclo di studi, le distanze dalla media nazionale di italiano e matematica di una stessa regione tendono a diventare molto più simili. Chi va bene, va sempre meglio, chi va male peggiora irrimediabilmente. Non è che ciò avvenga solo nella scuola: ma certo se avviene nella scuola, può spiegare piuttosto bene come mai il fenomeno si verifichi in modo sempre più evidente nell’intera società italiana, e in tutti campi, non solo in quello del sapere.