Hanno dai
venticinque ai quarant’anni. Bene come il loro mestiere conoscono la
strada che le porta sul posto di lavoro e la fatica di andarci: sveglia
alle tre, quattro ore di treno o bus all’andata, altrettante al
ritorno. Hanno tanta tenacia e tanta speranza, vite stanche, famiglie
che le attendono, rimorsi, paura di non farcela più e un sogno: poter
fare, un giorno, il lavoro di insegnante nella loro regione,
laCampania. Intanto per accumulare punteggio fanno le pendolari verso
Roma, dove la necessità di supplenti c’è e una giornata di lavoro forse
si raccatta «anche coi tagli di quest’anno che hanno fatto crollare le
chiamate ». Loro non demordono, di notte saltano su un treno o un bus
che le porta nella Capitale da Napoli, Caserta, Salerno e dintorni. «Se
vai alla stazione di Caserta alle tre di notte ci trovi quasi solo
insegnanti di ogni ordine e grado, soprattutto s c u o l a e l e m e n
t a r e e dell’infanzia…», racconta una di loro.
INCARICO Questo è il periodo migliore per le supplenti- di un
giorno-pendolari, quello in cui ci sono più assenze per malattia da
coprire. Le più fortunate hanno un incarico da prima, magari per due o
tre giorni a settimana, forse lungo qualche mese. Le altre, numerose,
fremono col cellulare in mano sperando che il viaggio della speranza
sia proficuo. L’attesa chiamata in genere arriva alle 7.30. «Mentre
siamo quasi arrivate a Tiburtina, su un bus nel budello della
tangenziale est o mentre siamo a Termini, appena scese da un treno»,
racconta Enza, 45 anni, un incarico da tre giorni a settimana in una
scuola dell’infanzia, due figli e un marito a Cava dei Tirreni. Doppia
abilitazione, precaria da 10 anni. Oggi è una privilegiata: parte e sa
che lavorerà. Enza ricorda bene l’anno dei viaggi della speranza in
attesa trepidante della chiamata di lavoro: «Venivo a Roma quasi ogni
giorno e non mi chiamavano quasi mai: ero una novizia, non avevo punti.
In un anno ho lavorato 14 giorni. Ci ho rimesso, si, ma era l’unico
modo per iniziare. In Campania non si lavora nemmeno col privato,
ormai. Col pubblico poi, coi tagli, è impossibile: quest’anno, a
Salerno, hanno immesso in ruolo solo tre persone…». Anita, la sua
amica, ha fatto la pendolare per anni. Ora è a Roma, lontana da casa,
ma almeno ha un posto da supplente. Domani va in piazza al C-day:
«Tagliano, ci denigrano. Non hanno idee di quanta tenacia e passione
abbiamo», dice. Una fermezza che si portano anche sul bus del ritorno,
«uno di quelli dove spesso si fanno brutti incontri », racconta Enza.
Si parte da Anagnina o Tiburtina, sopra è il solito chiacchiericcio di
problemi e paure legati all’assenza dalla famiglia: «Quando mio figlio
di otto anni mi dice“mammaperché vai a lavoro?” è una coltellata perché
ha ragione lui: sono tanto assente». A casa si sta alle 20. Quel che
resta della vita sono poche ore di pranzi da preparare e faccende da
sbrigare, giusto il tempo di alleviare il senso di colpa che si sono
fatte le 3 di notte e la sveglia, di nuovo, suona. (da l'Unità di Gioia
Salvatori)
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