Ancora una volta
si fa cassa con le pensioni.
Ancora una volta si interviene sui diritti acquisiti in materia
pensionistica e sul potere d'acquisto delle pensioni medio basse.
Ancora una volta nessuna prospettiva per le pensioni delle generazioni
future.
Ancora una volta sono le donne a pagare il prezzo più alto.
La CGIL e la FLC CGIL avevano chiesto al Governo Monti di non
utilizzare il sistema delle pensioni pubbliche come un salvadanaio col
quale risanare le casse dello Stato. Così purtroppo è stato e al di là
di quelle che potranno essere le correzioni apportate dal dibattito
parlamentare, ciò che pesa è aver considerato ancora una volta le
pensioni pubbliche tra i responsabili del deficit del bilancio dello
Stato, insieme alle altri componenti dello stato sociale, come la
Sanità e l'Istruzione.
In allegato una tabella riassuntiva dei provvedimenti pensionistici
così come riportati nel testo dell'attuale decreto
Monti.
Il blocco dell'adeguamento all'inflazione delle pensioni medio
basse è contrario a ogni principio di equità e non tiene in conto che
quelle pensioni oggi rappresentano anche l'ammortizzatore sociale per i
figli, impossibilitati dalla mancanza di lavoro a costruirsi una vita
autonoma.
L'Ocse ha evidenziato in Italia una forbice di diseguaglianza sociale
molto accentuata, quindi soltanto una patrimoniale e un evidente
segnale di lotta all'evasione fiscale sarebbero stati tra gli strumenti
adeguati per ridimensionare quel gap, indegno di un Paese civile e
democratico.
Nella riforma delle pensioni del Ministro Fornero, non si è tenuta in
nessun conto un'idea di prospettiva per i nostri giovani, spesso
disoccupati o precari, con versamenti contributivi assenti o
discontinui.
Peraltro ritardare il pensionamento in una situazione in cui cresce la
disoccupazione significa rendere più difficile per le nuove generazioni
entrare nel mercato del lavoro.
Come non si è tenuto in nessun conto che in Italia è ancora
considerevole il numero di lavoratori che precocemente si sono avviati
al lavoro e che ora se vogliono andare in pensione, pur avendo un alto numero di anni di
contribuzione, devono subire le penalizzazioni previste dal paletto
dell'età.
Ancora una volta la situazione della donna Italiana nel contesto dello
stato sociale che caratterizza il nostro Paese esce penalizzata da un
intervento sulle pensioni: l'avvio tardivo al lavoro, la discontinuità
dei contributi, spesso dovuta al lavoro di cura, la disparità di
salario con l'uomo, impediscono alla donna di poter concorrere a una
pensione dignitosa, in età dignitosa.
Ancora una volta diciamo al Ministro Monti che operare con equità
significa porsi in discontinuità col precedente governo Berlusconi sul
piano delle politiche del lavoro e dello stato sociale di cui la
previdenza è parte fondamentale
(da Flc-Cgil)
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