Soltanto l’Anief ha denunciato nei mesi scorsi la palese discriminazione e violazione della direttiva comunitaria annunciando dei ricorsi al giudici del lavoro per ottenere un trattamento economico e pensionistico più favorevole (grazie al riconoscimento pieno dell’anzianità maturata).
Ancora una conferma, pertanto per l’Anief, organizzazione sindacale che dovrebbe risultare la prima tra i sindacati non rappresentativi alle ultime elezioni RSU, ormai specializzata nello studio della normativa e del diritto interno e comunitario.
Dopo la denuncia d’incostituzionalità sulla trattenuta del 2,5% per il TFR, sul blocco del contratto, sul divieto del trasferimento dei precari da una graduatoria all’altra, il sindacato manda a segno un’altra sua battaglia sul rispetto del diritto comunitario.
Il comunicato esplicativo sulla sentenza
Il diritto dell’Unione osta alla «stabilizzazione» dei lavoratori del settore pubblico in servizio a tempo determinato, effettuata senza tener conto dell’anzianità acquisita
La durata determinata del contratto non costituisce una «ragione oggettiva» idonea a giustificare
l'esclusione dell'anzianità
Varie lavoratrici dipendenti – tra cui la sig.ra Valenza – impiegate presso l’Autorità italiana Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nell'ambito di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione, hanno ottenuto da tale autorità un contratto a tempo indeterminato con collocamento in ruolo.
Tale procedura cosiddetta di «stabilizzazione» dei dipendenti del settore pubblico, prevista da una normativa italiana specifica 1, conferisce lo status di dipendente di ruolo al lavoratore che soddisfi determinati requisiti riguardanti la durata del suo rapporto di lavoro e la procedura di selezione seguita per la sua assunzione. La sua retribuzione iniziale viene fissata senza riconoscimento dell'anzianità acquisita in servizio nell'ambito dei contratti a tempo determinato.
L’AGCM ha negato alle suddette dipendenti il riconoscimento dei periodi di servizio compiuti in precedenza presso questa medesima autorità pubblica nell'ambito dei contratti a tempo determinato. Di conseguenza, le dipendenti hanno contestato tale diniego.
Il Consiglio di Stato (Italia) chiede alla Corte di giustizia se l'accordo quadro europeo sul lavoro a tempo determinato 2 osti alla citata normativa italiana.
Nella sua sentenza pronunciata in data odierna, la Corte ricorda anzitutto che il principio di non discriminazione enunciato dall'accordo quadro stabilisce che i lavoratori a tempo determinato non devono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, per il solo fatto che lavorano a tempo determinato, salvo che ragioni oggettive giustifichino un trattamento differente. Il fatto di aver acquisito lo status di lavoratore a tempo indeterminato non esclude la possibilità di avvalersi di detto principio, il quale è dunque applicabile nel caso di specie.
La Corte procede poi ad un raffronto tra la situazione dei lavoratori a tempo determinato e quella dei lavoratori a tempo indeterminato. Al riguardo, rileva che – secondo i chiarimenti forniti dallo stesso governo italiano – la ragion d'essere della normativa nazionale è appunto quella di valorizzare l'esperienza acquisita presso il datore di lavoro.
La Corte precisa che spetta al giudice che ha effettuato il rinvio alla Corte di giustizia stabilire se le dipendenti, allorché esercitavano le loro funzioni nell'ambito di un contratto a tempo determinato, si trovassero in una situazione comparabile a quella dei dipendenti di ruolo assunti a tempo indeterminato. Infatti, la natura delle funzioni esercitate da dette dipendenti nell'ambito di contratti di lavoro a tempo determinato e la qualità dell'esperienza da esse acquisita a tale titolo costituiscono criteri che consentono di verificare se esse si trovino in una situazione comparabile a quella dei dipendenti di ruolo. Ad ogni modo, il fatto che esse, a
1 Legge del 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007).
2 Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, figurante quale allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU L 175, pag. 43).
differenza dei dipendenti di ruolo, non abbiano superato il concorso pubblico per l'accesso agli impieghi della pubblica amministrazione non implica che esse si trovino in una situazione differente, dal momento che le condizioni fissate dal legislatore nazionale mirano appunto a consentire la stabilizzazione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione può essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo.
Nell'ipotesi in cui le funzioni esercitate presso l’AGCM nell'ambito di contratti a tempo determinato corrispondessero quelle di un dipendente di ruolo della categoria corrispondente, occorre allora verificare se esista una ragione oggettiva che giustifichi il difetto assoluto di considerazione dell'anzianità acquisita nell'ambito dei contratti a tempo determinato.
Dunque, la Corte ricorda che può esistere una ragione oggettiva che giustifica una differenza di trattamento, in un contesto particolare e in presenza di elementi precisi e concreti, risultanti dalla natura particolare delle mansioni. La disparità di trattamento deve fondarsi su criteri oggettivi e trasparenti, i quali consentano di verificare che essa risponde ad un reale bisogno ed è idonea e necessaria al conseguimento dell'obiettivo perseguito. Ad ogni modo, il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto periodi di servizio sul fondamento di un contratto a tempo determinato non configura una ragione oggettiva siffatta. Infatti, ammettere che la semplice natura temporanea di un rapporto di lavoro sia sufficiente per giustificare una differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato priverebbe della loro sostanza gli obiettivi del diritto dell’Unione e finirebbe per perpetuare il mantenimento di una situazione sfavorevole per i lavoratori a tempo determinato.
La Corte riconosce che gli Stati membri godono di un margine di discrezionalità nell'organizzazione delle loro amministrazioni e nella disciplina delle condizioni di accesso al pubblico impiego. Tuttavia, l'applicazione dei criteri stabiliti dagli Stati membri deve essere effettuata in modo trasparente e deve poter essere controllata, al fine di impedire qualsiasi trattamento sfavorevole dei lavoratori a tempo determinato, sulla sola base della durata dei contratti di lavoro che giustificano la loro anzianità e la loro esperienza professionale. Pertanto, talune differenze relative all'assunzione dei lavoratori impiegati a tempo determinato nell'ambito di procedure di «stabilizzazione» rispetto ai dipendenti di ruolo assunti al termine di un concorso pubblico, nonché attinenti alle qualifiche richieste e alla natura delle mansioni di cui essi devono assumersi la responsabilità, potrebbero in linea di principio giustificare una differenza di trattamento quanto alle loro condizioni di lavoro. Potrebbe dunque essere giustificato un trattamento differenziato che tenga conto delle esigenze oggettive attinenti all'impiego che la procedura di assunzione mira a ricoprire e che sono estranee alla durata determinata del rapporto di lavoro.
L'obiettivo, fatto valere dal governo italiano, di evitare discriminazioni alla rovescia nei confronti dei dipendenti di ruolo assunti mediante concorso pubblico potrebbe costituire una «ragione oggettiva».
Per contro, la Corte giudica che la normativa italiana è sproporzionata nella misura in cui esclude totalmente la presa in considerazione di tutti i periodi di servizio compiuti nell'ambito di contratti a tempo determinato al fine di determinare l'anzianità al momento dell'assunzione a tempo indeterminato e, dunque, la retribuzione. Infatti, una simile esclusione totale e assoluta si fonda sull'idea erronea che la durata indeterminata del rapporto di lavoro di taluni agenti pubblici giustifichi di per sé una differenza di trattamento rispetto agli agenti pubblici assunti a tempo determinato, svuotando così della loro sostanza gli obiettivi della direttiva e dell'accordo quadro.
Spetta al giudice del rinvio verificare se sussistano «ragioni oggettive» che giustificano tale differenza di trattamento.
IMPORTANTE: Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell'ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionalerisolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.