"Ruba come un
artista" è il titolo di un libretto pubblicato qualche
mese fa da uno scrittore texano, Austin Kleon, convinto che "copiare
idee serve ad essere più creativi nel lavoro e nella vita". E, ciò che
è peggio, pronto a insegnare a farlo. Follie d'Oltreoceano, si dirà,
non fosse che la brutta abitudine di "confrontarsi" con gli altri ha
preso piede un po' ovunque, e non solo tra i banchi delle elementari,
dove il "copione" viene tradizionalmente punito costringendolo a
scrivere cento volte "Non copierò più, non copierò più...".
Prendete la Spagna. Il 60 per cento degli studenti universitari ammette
di aver copiato almeno una volta durante gli esami. Considerando che
nel Paese iberico, indipendentemente dalla facoltà scientifica o
umanistica, le prove sono praticamente tutte scritte, la percentuale è
veramente troppo alta per non parlare di un fenomeno molto diffuso: una
piaga che preoccupa i professori, ma anche i genitori.
Il problema, infatti, non riguarda solo la validità delle verifiche
sostenute dai ragazzi: in gioco ci sono anche valori come l'onestà, la
dignità dello studio, l'etica professionale (che si inizia a costruire
nelle aule, prima di arrivare nel mondo del lavoro). Valori che tra i
19 e i 25 anni dovrebbero essere ormai più che radicati all'interno
della coscienza individuale. Ecco allora che per risvegliare quei
valori l'Università pubblica della Navarra, piccola comunità autonoma
della Spagna del nord, ha deciso di obbligare i suoi iscritti a firmare
una Dichiarazione di onestà accademica, nella quali i ragazzi
garantiscono che eviteranno strumenti impropri e illegali: "Con la presente - recita il testo - mi
impegno a non utilizzare mezzi fraudolenti per superare gli studi".
L'idea non è originale: la Spagna segue l'esempio degli Stati Uniti.
Nei campus americani le dichiarazioni di onestà è responsabilità con
cui gli studenti assicurano che non plageranno lavori altrui (insieme
all'accettazione di altre regole interne) sono all'ordine del giorno.
La firma dell'autocertificazione di onestà ovviamente non implica
nessuna assicurazione: non è un vaccino contro i "copioni".
Lo scorso anno alla prestigiosa Università Harvard è stata aperta
un'inchiesta su 125 studenti accusati di aver copiato dei test affidati
loro tempo prima. I compiti potevano si essere completati dai ragazzi a
casa, ma ovviamente senza copiare stralci né plagiare interamente testi
rubacchiati su Internet. Quando i docenti hanno corretto le prove, si
sono resi conto che 125 studenti, appunto su 279 avevano scritto
risposte "troppo simili".
Alla fine per 60 di loro è arrivata l'espulsione. Non è stato l'unico
scandalo esploso a Harvard: quattro anni fa uno studente rivelò in un
libro sul prestigioso ateneo che era pratica comune andare in bagno a
copiare (o "confrontare") i risultati degli esami.
Sebbene non sia una panacea, le dichiarazioni di onestà degli alunni
sono considerate dagli esperti uno stimolo a favore dell'etica e della
crescita. Anche negli atenei del Canada sono molto comuni, così come in
Australia, in alcune Università della Gran Bretagna e perfino a Hong
Kong e Singapore. "Non copierò", dichiarano decine di migliaia di
studenti in tutto il mondo.
In Europa, però, questa misura è ancor abbastanza rara e fa notizia. La
Spagna sembra essersi accorta della lacuna e cerca di correre ai
ripari. Come ricorda il quotidiano El Pais, una delle prime università
a imporre una dichiarazione ai suoi iscritti è stata quella della
Cantabria, mentre nella facoltà di medicina dell'Università di Valencia
l'anno scorso furono costretti a installare degli inibitori di
frequenza perché si accorsero che durante gli esami i ragazzi
utilizzavano la rete o i cellulari.
Le nuove tecnologie - assicurano gli esperti - hanno reso molto più
facile il "copia e incolla", banalizzando spesso il lavoro di ricerca e
fomentando fra i giovanissimi l'idea che copiare sia normale o non del
tutto condannabile.
E invece lo è. E il castigo può essere duro.
A Venezia, due anni fa, due studenti laureandi dell'Università Ca'
Foscari vennero sospesi perché avevano copiato l'80 per cento della
loro tesi: si erano scaricati il materiale da Internet, ma un software
anti-plagio (strumento sempre più diffuso tra i professori) li ha
scoperti e smascherati. La dichiarazione che viene richiesta ai ragazzi
a Pamplona, sottolineano fonti dell'ateneo a El Pais, vorrebbe invece
"promuovere una cultura etica e deontologica che è molto presente in
altri Paesi, ma che in Spagna a volte non viene assimilata".
Non sorprende, dunque, che un professore spagnolo - Jaume Sureda,
dell'Università delle Isole Baleari - dedichi da tempo le sue ricerche
al problema. Qualche anno fa il docente pubblicò uno studio sul
cosiddetto "cyber-plagio" e rivelò che circa il 60 per cento degli
universitari spagnoli utenti della piattaforma online Universia
ammetteva di aver copiato dalla Rete alcune parti di lavori altrui,
mescolandone ai propri scritti, mentre quasi il 34 per cento confessava
addirittura di aver confezionato delle tesine senza nessun contributo
personale: copiate dall'inizio alla fine. Un vero e proprio collage,
dunque, nel quale non avevano neppure modificato lo stile né cercato di
omogeneizzare i diversi "ritagli". L'eccesso di permissività viene
criticato.
L'Università di Siviglia, tre anni fa, fu costretta invece ad eliminare
una norma del suo statuto nel quale sembrava ammettere la possibilità
di copiare, visto che l'alunno colto in flagrante avrebbe potuto
terminare il suo esame: dopo un'accesa polemica, l'ateneo modificò
quella regole troppo ambigua. Il fenomeno, però, non riguarda solo gli
studenti. A volte capita che siano i professori i responsabili del
plagio. Nel 2010 un ex docente dell'Università di Pisa è stato
condannato ad un anno e mezzo per aver copiato da un'ex alunna.
Ma se il problema non è solo di prevenzione, correzione e punizione -
come ribadiscono tutti - dietro c'è anche una questione etica e
culturale. Alla decisione dell'Università di Navarra ha reagito
immediatamente l'associazione dei genitori cattolici spagnoli Concapa,
che ha salutato l'iniziativa con entusiasmo. È vero: servono "misure di
prevenzione e sanzionatrici". Ma ben vengano gli strumenti in cui gli
studenti "si impegnano ad evitare l'uso di mezzi fraudolenti negli
studi", come già accade negli Usa.
"Questa dichiarazione di onestà - suggerisce Concapa - dovrebbe
iniziare nelle scuole, fomentando così il senso di responsabilità degli
alunni rispetto a se stessi, alle loro famiglie e alla società, così
come la lealtà verso gli altri compagni". Nella vita il "copia e
incolla" non funziona.
Bice Benvenuti - Noi Avvenire