Ormai sappiamo
come vengono usate dal Miur le prove Invalsi. La superficialità ed il
nozionismo di origine anglo-
sassone, l'inadeguatezza dei test ai programmi ed alla metodologia
italiana, l'unificazione dei risultati con quelli delle
scuole private (che, da sole, ci fanno perdere venti posti nelle
comparazioni con l'estero), tutto ciò serve a dimostrare il
presunto "sfascio" della scuola pubblica. La propaganda di qualche
editorialista "laudator temporis acti", spiana la
strada al sistema de-meritocratico che volevano la Gelmini e Brunetta,
per imporre valutazioni burocratiche atte ad
incidere sulla busta paga dei docenti.
Con la macchina ispettiva (peraltro oggi completamente latitante) ed il
"bipartizan" Indire, l'Invalsi è uno dei tre pilastri
pensati per "disciplinare" la scuola e traghettarla verso il sistema
retributivo "a fasce". Per la casta burocratica (e
sindacal-concertativa), non tener conto dello specifico delle scuole e
dei quartieri, imporre prove identiche anche per i
diversamente abili servirebbe a stabilire la ‘qualità’ dei docenti, per
identificare chi pagare di meno ancora del, già
imposto, più basso salario europeo e mettere alla gogna su internet.
Prove siffatte dovrebbero fornire parvenza di "oggettività" ad
un'omologazione dall'alto, quando studiosi del calibro di
Giorgio Israel (che ha collaborato sia con Fioroni che con la Gelmini
nel Comitato tecnico-Scientifico "per
l'elaborazione delle linee strategiche relative alla costruzione di un
sistema nazionale di valutazione") ne dichiarano
apertamente l'inapplicabilità.
Il metodo stesso di rilevazione, copiato dagli standard formativi
dismessi da USA e Canada, perché responsabili di
un'omologazione in basso delle competenze degli alunni, è giudicato
improprio: "Il processo di valutazione deve essere
inteso come un processo culturale e non come un processo manageriale
... esso è totalmente inadeguato in un sistema i
cui contenuti sono culturali, non misurabili, non passibili di una
definizione oggettiva affidabile alla gestione di 'esperti'
esterni" (G. Israel). Tutto ciò deriva dalla vulgata della logica
privatistica come panacea di tutti i mali, da quando venne
imposta una "carta dei servizi" che definiva lo studente quale
"cliente". Per Israel non è che il residuo "di un'idea
banalmente sbagliata e cioè che la scuola sia un'azienda fornitrice di
beni e servizi e che studenti e famiglie siano
l'utenza".
Le prove Invalsi sono anche centralistiche. A fronte di un'incongrua
regionalizzazione, che si vorrebbe utilizzare per
imporre l'uso del dialetto "lumbard" e costruire avamposti della
delirante "scuola nazionale padana", i test non tengono
nel minimo conto i differenti POF della scuola dell'autonomia e sono
addirittura uguali da Canicattì a Bolzano!
Il carrozzone Invalsi (l'ex Cede di quel Vertecchi che scrisse i quiz
per il concorsone di Berlinguer), spesso passato in
termini consociativi da una mano all’altra, gode di cospicui
finanziamenti, una parte dei quali erogati anche in funzione
della somministrazione e della correzione delle schede. Un carico
aggiuntivo gratis et amore dei che si cerca d'imporre
ai docenti senza che ve ne sia traccia nel contratto nazionale e quando
persino gli inventori delle prove (peraltro le più
facilmente copiabili in assoluto) sostengono da anni che non solo non
dovrebbero coinvolgere il team di classe, ma
neppure alcun docente dell'istituto al quale sono proposte. Il metodo
Invalsi nasce dall'assoluta sfiducia del "Palazzo" e
di certa "Accademia" - che, visto come si colloca a livello
internazionale, farebbe meglio a guardare in casa propria -
nelle capacità valutative degli insegnanti italiani. Ma si contrappone
con arroganza persino al sistema di rilevazione
adottato da decenni dall'OCSE, mirato, invece che al nozionismo, alla
verifica delle competenze, e che colloca ad
esempio la scuola Primaria italiana, da trent'anni, fra il primo ed il
sesto posto nel mondo. Farebbero tutti meglio a
rileggersi l'art. 33 della Costituzione sulla libertà d'insegnamento,
nonché le attribuzioni dei Collegi Docenti, unici ad
aver titolo a decidere in materia di didattica e valutazione. Le tante
delibere approvate nelle scuole contro le prove
Invalsi dovrebbero venire considerate cogenti dal Ministero e dai
dirigenti scolastici.
Ma la battaglia è sentita e combattuta anche dagli studenti e dalle
famiglie, col netto rifiuto della vergognosa scheda
sugli alunni che, se spinge a giudizi sommari e discriminatori su
attitudini e personalità, attua persino una rilevazione di
censo, istituendo così una sorta di inaccettabile schedatura. Non è
altro che la riedizione sotto mentite spoglie del
tristemente famoso portfolio di morattiana memoria (insieme al tutor, a
suo tempo già rispedito al mittente dai Collegi
dei Docenti), preteso dalla parte più retriva del padronato italiano.
Un documento che doveva seguire l'individuo per
tutta la vita, segnalandone ovviamente le eventuali, "pericolose"
propensioni critiche. Oggi siamo alle valutazioni a quiz
in stile televisivo che registrano prevalentemente attitudini meramente
esecutive e monoprofessionalistiche. I test
Invalsi sono il completamento della scuola minimalista prodotta dalla
controriforma Gelmini. Valutazioni che ben si
addicono, ad esempio, ad un Liceo Scientifico senza il latino, il
quale, a proposito di destra e sinistra, starà facendo
rigirare nella tomba persino Gentile.
Stefano d'Errico - Segretario
nazionale Unicobas Scuola
unicobas.rm@tiscali.it