Tempo
fa con amici, non ricordo più se per diletto o pietà, son giunto sin
nel lontano e sperduto cimitero di Niscemi, e su una tomba, schiva e
solitaria, lessi un'epigrafe: "Di
noi non resteranno che parole", e un nome: Mario Gori, nato a
Niscemi il 16 settembre 1926 - morto a Catania il 5 dicembre 1970.
Mario Gori, per l'anagrafe Mario Di Pasquale, figlio di Salvatore e
Maria Arca, è stato un importante poeta, scrittore e intellettuale
siciliano. Sin da giovinetto si è nutrito di letture e poesie,
addirittura alcuni suoi professori sostennero che all'esame di maturità
classica avesse svolto il tema di italiano in versi. Dopo aver
terminate le scuole elementari e conseguita la maturità nel celebre
Liceo Classico "Secusio" di Caltagirone a pieni voti, nel 1945 si
iscrisse alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università degli
Studi di Catania prima e in quella di Pisa dopo, ma non frequentò le
lezioni perché si dedicò esclusivamente alla poesia e all'attività
letteraria.
Nel 1944 pubblicò a Caltagirone il volumetto "Germogli",
una raccolta di 39 poesie, apprezzata da amici e professori che
racchiude il meglio dei primi tentativi lirici del giovane studente.
Nel 1946 fu promotore a Catania, insieme ad altri amici e scrittori,
del movimento letterario siciliano denominato "Trinacrismo", per il
rinnovamento della poesia dialettale. La sua attività letteraria
continuò a Pisa dove creò nel 1954 il centro culturale "La Soffitta".
Fu il fondatore e il direttore di molte riviste letterarie, La
Soffitta, Il Banditore, Sud, Sciara. Partecipò a molti convegni e
incontri culturali in Sicilia e nel resto d'Italia. Alcune delle sue
liriche sono state tradotte in cecoslovacco, greco, castigliano,
tedesco, inglese, jugoslavo e spagnolo.
Nel 1955 pubblicò un volumetto
di poesie in lingua siciliana intitolato "Ogni Jornu ca passa", in cui
rievoca ricordi e speranze della lontana infanzia, trasfigurando quegli
anni in mito, in un'età delle meraviglie e dell'innocenza perduta. Poi
è la volta de, "I ragazzi di Butera", una raccolta di 24 novelle dove
descrive molteplici personaggi della realtà contadina niscemese, e dove
impartisce una "lezione" di notevole valore pedagogico, degna di essere
studiata da educatori e insegnanti.
Nel 1957 dà alle stampe un
librettino di poesie in lingua italiana dal nome significativo, "Un
garofano rosso", che raccoglie la produzione più prestigiosa e più
conosciuta del poeta. "È la Sicilia dell'immobile fame dei poveri: fave
cotte, cicoria amara e cardi senza pane; dei morti di lupara nei
calanchi su cui volano i corvi e piange la "civetta tirafiato"; degli
emigranti che partono col "sacco derelitto", dopo avere svenduto case,
sedie, cuore; del ragazzo della zolfara che "mastica silenzio e pane
nero"; dei catoi dove "tossiscono bestie e fanciulli" e le madri sono
"coniglie nere sepolte dai lutti". La Sicilia delle ossa "trapanate"
dalla tramontana e "stoccate da annate di zappa", dei "cenci derelitti"
appresso ad aratri millenari, dei morti di terza classe dentro "quattro
tavole rozze" senza onore di necrologi per la loro "storia superflua"
pari a quella altrettanto "anonima e silenziosa" dei paesi isolani
"rassegnati alle ingiurie della vita" con le strade di fango dove è "un
dolore antico ad ogni porta, un lutto in ogni madre". Il poeta
niscemese incarna l'eterna aspirazione ad una vita più umana e più
dignitosa, i suoi versi sono il simbolo stesso della terra di Sicilia.
Di Mario Gori rimarranno, veramente, "soltanto parole", che segnano la
traccia del suo passaggio in questo "terribile e meraviglioso" mondo, e
che danno un senso alla vita. E la sua Niscemi, per ricordarlo ai
posteri, gli ha dedicato la via principale e la biblioteca comunale.
Angelo
Battiato
angelo.battiato@istruzione.it