Vi sono dei
tempi e degli uomini che contrassegnano talvolta vicende
istituzionali, culturali e politiche di lunga durata e che scandiscono
i ritmi profondi della storicità. In tale prospettiva si colloca senza
alcun dubbio il passaggio dal Liceo Classico "Pellegrino Rossi" di
Massa di taluni personaggi che sono organicamente collegati non
solo alla storia di questa Scuola e della comunità locale, ma anche
alla vita della scuola nazionale ed agli avvenimenti politici e
culturali della società italiana. Tra costoro si trovano certamente,
oltre a Giovanni Pascoli ed Enrica Carpita, Balbino Giuliano e Manara
Valgimigli che più e meglio di altri uomini di scuola realizzano
pienamente la loro intrinseca vocazione pedagogica e teoretica sia
nella loro attività di docenti che nell'intenso lavoro di ricerca
filologica, storiografica e filosofica.
Certo, personalità diverse per stile, interessi e formazione e tuttavia
accomunate, negli anni massesi, dal medesimo senso della responsabilità
didattica, dalla fortissima solidarietà, dal riferimento al movimento
socialista e nazionalista, dal deciso impegno nel sindacalismo
scolastico e dai rapporti intensi con gli illustri intellettuali
Giuseppe Lombardo-Radice, Gaetano Salvemini, Giovanni Gentile, Luigi
Credaro, Enrico Corradini, Ernesto Codignola, ecc. Dopo, nel ventennio
fascista, le loro strade divergeranno irrimediabilmente e sarà la
rottura dolorosa dell'antica fraterna amicizia.
Balbino Giuliano è piemontese. Egli è nato a Fossano (Cuneo) il 4
gennaio 1879, si è laureato nella Università di Torino prima in
Lettere con il grecista Fraccaroli, nel 1901, e poi in Filosofia con il
neohegeliano D'Ercole, nel 1902, e si è formato soprattutto alla scuola
di Arturo Graf, poeta e critico d'indirizzo socialista e materialista,
almeno antecedentemente alla crisi spirituale resa pubblica nel 1905
con lo scritto Per una fede.
In questo periodo il giovane intellettuale
ne subisce l'influenza e non si sottrae perciò al fascino del
socialismo e del materialismo positivista, anche se risente presto
della crisi di tutto il mondo del materialismo e della caduta della sua
mitologia (v. La crisi di un mito, ne
l'Unità del 21 febbraio 1913).
Giuliano intraprende, subito dopo il conseguimento delle due lauree, la
carriera dell'insegnamento medio e si trova a dover lavorare in sedi
minori fino a quando non vince, nel 1910, il concorso per
l'insegnamento della filosofia nei licei, con destinazione prima a
Benevento (1910) e l'anno successivo a Massa
Manara Valgimigli è romagnolo. Egli è nato a S. Piero in Bagno ( un
borgo sull'Appennino tosco-romagnolo allora in provincia di Firenze e
oggi di Forlì-Cesena) il 9 luglio 1876, si è laureato in Lettere
all'Università di Bologna nel 1898 con il Carducci ed è stato anche
allievo di Francesco Acri, il filosofo calabrese traduttore e
divulgatore dei dialoghi di Platone, e di Giovanni Pascoli,
l'amico-professore incaricato di Grammatica greca e latina. Appena
laureato, va ad insegnare in un ginnasio di Messina su invito del
Pascoli, docente di Letteratura latina in quell'Università, e poi in
vari licei della Penisola, dalla Puglia al Veneto, prima di arrivare,
nell'ottobre 1913, al Liceo Classico di Massa. Qui manifesta la sua
altissima vocazione didattica, la grande passione pedagogica e
l'estremo amore per la filologia e la letteratura antica, e soprattutto
la sua speciale sensibilità e competenza per la traduzione e
l'interpretazione dei classici greci. La sua vocazione didattica si
realizza concretamente nella piena capacità di comunicazione dei
risultati dei suoi studi ai suoi allievi, con la freschezza, la
chiarezza, la semplicità e l'entusiasmo di chi scopre la qualità
artistica e contenutistica del testo compreso in tutta la sua portata.
E dopo aver pubblicato La trilogia di
Prometeo (1904) e la Critica
letteraria di Dione Crisostomo (1911), il giovane docente si
accinge, a Massa, a fare la traduzione ed il commento della Poetica di
Aristotele, per la quale il lavoro interpretativo si fa adesso più
stringente e la consapevolezza critica più avvertita: "Ora a me sarebbe
piaciuto far precedere a questa mia interpretazione e traduzione della
Poetica un discorso delle idee
che intorno alla poesia dominarono negli
scritti anteriori ad Aristotele; massimamente perché, da quando io
m'indugio su questi studi, s'è venuta in me formando, e a mano a mano
statuendo e chiarendo la persuasione che la Poetica di Aristotele sia
non già, dico, un'opera polemica nel senso per cui ogni libro che non
compili e accumuli idee altrui è libro polemico, ma un'opera
specificatamente e deliberatamente polemica, opposizione e negazione
radicale e sistematica di tutte quelle correnti di pensiero che,
movendosi tra il puro edonismo platonico e l'edonismo
allegorico-moralistico di coloro che volevano conciliare e salvare
Platone e la poesia, e il sottile razionalismo dei grammatici ed
eruditi i quali giudicavano di poesia in ragione della sua maggiore o
minore logicità volgare, fuorviavano e impedivano la diretta e sicura
intelligenza del fenomeno artistico o mimetico-creativo "M. Valgimigli,
Introduzione alla "Poetica" di
Aristotele, in Poeti e
filosofi di
Grecia, Laterza, Bari 1951, p. 144).
Egli scopre che in Aristotele la poesia è qualcosa di più grave e
di più tragico che la storia e che l'oggetto della mimèsis aristotelica
non è una semplice copia della realtà, bensì un "concepimento" dello
spirito, un'originale produzione artistica, secondo la legge del
verosimile e del necessario: "Se anche è, non vale in quanto è, ma in
quanto è concepito nel suo essere e nel suo divenire" (ibidem, p. 159).
L'intuizione valgimigliana è di estremo interesse in quanto la mimesis
non è più un servile rispecchiamento della realtà, ma una creazione e
una collocazione ordinata nella sfera di una significazione
universale.
Quando arrivano a Massa, Balbino Giuliano e Manara Valgimigli hanno
raggiunto la pienezza della loro maturità intellettuale, non sono degli
illustri sconosciuti e possono far valere la loro personalità in un
ambiente come quello del Liceo-Ginnasio che pure vede la presenza di
eccellenti educatori impegnati nelle innovazioni didattiche,
nell'attività culturale e nella ricerca. Valgimigli è noto per la sua
attività nel sindacalismo scolastico, per le sue pubblicazioni, per la
collaborazione alle varie riviste letterarie e le recensioni importanti
che le sue opere hanno avuto, a cominciare da quella, assai lunga, del
famoso critico siciliano Giuseppe Antonio Borgese a La trilogia di
Prometeo apparsa sulla Critica
di B. Croce nel 1905. Giuliano, a
sua volta, è noto per il saggio su L'idea
religiosa di Marsilio Ficino
(Cerignola 1904), per la sua intensa collaborazione a La Nuova Parola
di A. Cervesato dal 1904 al 1907, a Coenobium
di Giuseppe Rensi dal
1908 al 1911 e per essere stato uno dei fondatori della Biblioteca
Filosofica di Firenze con la sua partecipazione ad un ciclo di
conferenze pubblicato nel volume Per
una concezione spirituale della
vita (Firenze 1908) e soprattutto per essere un dirigente della
Federazione Nazionale Insegnanti Scuola Media. Durante la sua
permanenza al Liceo di Massa egli pubblica i saggi più impegnativi:
Il torto di Hegel (Roma 1912),
Il primato di un popolo: Fichte e
Gioberti (un lavoro apprezzato pure da Gramsci) e Il valore degli
ideali, editi entrambi nel 1916 rispettivamente da Battiato di
Catania
e da Bocca di Torino.
La tesi sostenuta in quest'ultimo saggio, forse il migliore di tutta la
sua vasta produzione, è che la famosa identità hegeliana di reale e
razionale non regge e perciò al di sopra dei due momenti vi è un
Assoluto che trascende sia l'uno che l'altro e che rimane
inconoscibile nella sua assolutezza ed irrealizzato nell'espressione
dei suoi valor. Egli è ormai un riconosciuto protagonista della cultura
nazionale e può vantare importanti recensioni dei suoi scritti persino
sulla Critica di B. Croce e
può collaborare con L'Unità di
Gaetano
Salvemini e L'idea nazionale
di Enrico Corradini.
Appena arriva al Liceo Classico di Massa, a Giuliano viene assegnato
l'incarico di segretario del collegio dei professori ed egli svolge
tale funzione ininterrottamente dall'ottobre 1911 al luglio 1916,
saltando solo qualche seduta. Scrittore elegante e non privo di ironia
e acutezza, Giuliano verbalizza con eleganza, ed i suoi
verbali sono dei veri capolavori nel loro genere e costituiscono atti
insostituibili e documenti preziosi. I suoi verbali non sono importanti
solo per la storia del Liceo, ma anche per quella della scuola
nazionale, e si fanno apprezzare per il realismo delle annotazioni, la
grande immediata penetrazione concettuale del dibattito collegiale e la
puntuale e lucida precisione ed il rigore nella rappresentazione di
tutte le opinioni, sia pure nella forma necessariamente veloce della
scrittura tecnico-giuridica. Questi verbali raccontano in presa diretta
la vicenda didattica di grandi intellettuali e la stessa vita culturale
e istituzionale nel suo scomporsi e ricomporsi, nella sua forte
tensione etico-politica. Finora essi rimangono delle testimonianze
inedite, ma dovrebbero uscire dall'oscura clandestinità ed essere
pubblicati al più presto nella loro completezza per il loro altissimo
valore pedagogico e storiografico e la bellezza della scrittura e
l'importanza del soggetto verbalizzante. Nel mio saggio su Balbino
Giuliano e Manara Valgimigli a
Massa ho pubblicato un gruppo di verbali
più significativi sistemandoli cronologicamente nei momenti
salienti del dibattito collegiale man mano che essi si vanno
dispiegando nel racconto vivo dell'insigne estensore, che è un cronista
di elevatissime capacità: "Il giorno 18 ottobre 1911 si è riunito il
Collegio degli insegnanti del R. Liceo-Ginnasio in seduta ordinaria per
la scelta dei libri di testo e per le disposizioni preliminari
all'apertura dell'anno scolastico. Presiede il Preside Prof.
Piovano:Sono presenti [...] Riguardo ai libri di testo si propongono
questi cambiamenti: il Prof. di Italiano propone come libro di lettura
le Prose scelte di Gabriele
D'annunzio edite da Treves. Non si nasconde
che una tale scelta possa sembrare audacia nuova! Ma egli non crede che
solo perché il D'Annunzio non è ancora passato alla Storia non si debba
far conoscere la sua prosa che oltre ad avere tutta la vivacità di una
gagliarda giovinezza è veramente, come dice il Bacci, una grande prosa
nutritiva di un tesoro raggiante di pensieri e di fantasmi che vivono e
vivranno eternamente nelle belle parole" (in S. Ragonesi, Balbino
Giuliano e Manara Valgimigli a Massa, "Le Apuane", anno XXVI,
novembre
2006, p. 87).
L'arrivo di Valgimigli a Massa è segnalato dal verbale stilato da
Giuliano il 7 novembre 1913: "Si dà lettura dei programmi didattici dei
Proff. Galgani, Mondaini e Valgimigli, che risultano approvati dopo
matura discussione" (ibidem, p. 89). Nell'ottobre 1913 prende dunque
servizio nel glorioso Liceo il Valgimigli, che adesso ha trentasette
anni ed è nella pienezza delle sue energie intellettuali, nonostante la
fatica dei continui trasferimenti scolastici per la Penisola e il
dolore per la morte della giovane moglie Sandrina il 9 luglio 1904.
Egli partecipa alla prima adunanza collegiale del nuovo anno scolastico
nella quale vengono affrontati i temi assai delicati dell'orario,
dell'uso della biblioteca, della programmazione didattica e della
ripartizione dei fondi. Sono discussioni cariche di passione didattica
e pedagogica,che Giuliano riesce a sintetizzare con puntualità e
precisione.
Una bella pagina di ordinaria vita scolastica è descritta nel verbale
redatto da Giuliano il 16 gennaio 1914, dedicata ufficialmente
all'applicazione di una circolare ministeriale sul "sovraccarico" di
lavoro imposto dai professori. Il ministro è ancora il
pedagogista Luigi Credaro, che ha tra i suoi meriti quello di avere
migliorato le condizioni economiche e la qualità culturale e
professionale di maestri e professori e di aver fatto dell'insegnante
un protagonista della vita sociale e politica della nazione. Il suo
nome rimane legato ad una serie di provvedimenti favorevoli alla
partecipazione del mondo della scuola allo sviluppo cultuale della
nazione, oltre che all'avocazione della scuola elementare allo Stato e
quindi alla realizzazione più concreta dell'obbligo scolastico
sottratto alle deboli possibilità finanziarie dei Comuni. Il
collegio dei professori del Liceo di Massa si rivolge a lui in
particolare per fargli presenti le condizioni disperate in cui si
trovano le strutture scolastiche: "Il Collegio dei professori ricorda i
pavimenti polverosi di vetusti mattoni, resi dal tempo friabili; la
cattiva condizione degli scaffali per materiale scolastico,delle
ritirate; l'assenza di qualunque mezzo di riscaldamento per cui non è
possibile esigere dagli allievi la debita concentrazione durante le
giornate invernali assai spesso rigide e piovose; il bisogno di
restauri esterni;la infiltrazione di umidità in alcune pareti del
locale" (ibidem, p. 91)
Un'annotazione di particolare rilievo didattico si coglie ancora nel
verbale del 18 novembre 1914 e riguarda proprio Valgimigli e Giuliano
accomunati nell'aperta dichiarazione di insoddisfazione di fronte ai
programmi precedentemente presentati e dal bisogno di dovervi
introdurre integrazioni e taluni aggiornamenti per renderli più
adeguati alla loro concezione pedagogica e all'intelligenza dei
giovani. Con le modifiche proposte le loro programmazioni vengono
approvate. Il resto del verbale racconta, con il solito gusto
letterario e l'immancabile finissima ironia, episodi di ordinaria
schermaglia scolastica: "Il Prof. Valgimigli desidererebbe che fosse
applicato il campanello elettrico in fondo al cortile per chiamare i
giovani all'inizio delle lezioni. Il Preside dice che procurerà di
contentarlo ed anche di applicare un campanello nella sala dei
Professori per il medesimo ufficio" (ibidem, p. 92)). Quante volte
nella calorosa disputa collegiale sentiremo queste battute!Ma mai una
sbavatura, un'incertezza linguistica, un'enfatizzazione di avvenimenti
interni ed esternnessun segretario verbalizzante provvederà ad
annotarle come sa fare Giuliano con indiscutibile capacità di cronista.
Nella primavera del 1915 la società italiana è attraversata da tensioni
nazionaliste e spinte interventiste. Anche per Valgimigli e Giuliano la
partecipazione dell'Italia alla guerra rappresenta un dovere di tutti e
il coronamento etico dell'edificio incompleto dell'indipendenza
nazionale e della integrità territoriale. Nell'adunanza del 22 maggio
1915, che si svolge ufficialmente per discutere dei libri di testo da
adottare per l'anno successivo,il preside prof. Pitoni apre la seduta
in modo inusuale e cioè "con un affettuoso saluto dapprima ai colleghi
che hanno dei figli sotto le armi e sulla linea del fuoco, poi a
coloro, e sono la quasi totalità, che vi hanno fratelli e congiunti".
Egli solleva l'entusiasmo generale quando pronunzia le parole evocative
che Giuliano gli mette in bocca: "Dal vivido entusiasmo col quale ogni
cittadino corre a soddisfare il supremo dovere dell'esistenza,
entusiasmo che bene si manifesta in questa plaga ritenuta a torto
centro di teorie sovversive, è dolce augurare del felice risultato
della lotta intrapresa per la nostra indipendenza e per i princìpi
della libertà degli uomini e delle nazioni" (ibidem, p. 94). Nella
forte emotività del momento concitato lo scrupoloso verbalizzante
commette l'errore tecnico-giuridico di scambiare il collegio per il
consiglio e scrive: "Il Consiglio si associa fervorosamente alle parole
del Preside" (ivi). La scrittura ora si fa più nervosa e veloce e le
operazioni delle adozioni dei libri di testo si concludono in fretta:
"Seduta stante vengono compilati in duplice copia senza correzioni gli
elenchi dei libri di testo per le varie classi del Ginnasio e del Liceo
e sono subito firmati dal Preside e controfirmati dal Segretario del
Collegio dei Professori prof. Giuliano Balbino" (ivi).
La posizione di Valgimigli e Giuliano di fronte alla necessità
dell'intervento in guerra può chiarire alle radici il comportamento di
molti intellettuali di varia estrazione politica che sono uniti nel
clima euforico dell'interventismo. Pure Gaetano Salvemini vuole
l'intervento in guerra. Solo Benedetto Croce,nell'ora tremenda,assume
una posizione neutralista e non si lascia trasportare dalle tumultuose
manifestazioni di piazza. Nel Liceo massese cresce l'entusiasmo per la
guerra ed anche il preside Pitoni,pacato uomo di scienza,diventa un
militante interventista e nell'adunanza finale del 22 giugno 1915
rivolge "parole commosse ai nostri fratelli che combattono per
assicurare all'Italia le frontiere a cui ha diritto,ed agli Italiani un
maggiore posto nell'esistenza dei popoli"(ivi). Giuliano poi aggiunge:
"Il Consiglio, interpretando il pensiero del Preside, vota con applausi
un indirizzo al primo ministro d'Italia, a cui invia il telegramma
seguente compilato dal Prof. Valgimigli: A S. Eccellenza Antonio
Salandra-Roma. Professori Liceo-Ginnasio Massa riuniti annua finale
seduta plaudono Eccellenza Vostra, che affermando superiori diritti
civiltà e nazionalità conduce Italia suoi nuovi maggiori destini"
(ibidem, p. 95).
L'ultima adunanza cui partecipano Giuliano e Valgimigli nel Liceo
massese è quella del 4 luglio 1916, dopo di che i loro nomi riappaiono
quando il preside nella prima seduta del nuovo anno scolastico 1916-17
ricorda "gli insegnanti partiti" e dice che i professori Giuliano e
Valgimigli "hanno scritto inviando il loro saluto a Preside e
colleghi". Giuliano è trasferito al Liceo di Cuneo e quindi al
Liceo-Ginnasio "Gioberti" di Torino (dove è docente molto apprezzato da
Piero Gobetti), e Valgimigli al Liceo di La Spezia. Le loro strade per
il momento divergono geograficamente, nel dopoguerra e nel ventennio
fascista divergeranno pure ideologicamente. Entrambi approderanno
all'insegnamento universitario e saranno elementi di punta l'uno del
fascismo (e sarà Ministro dell'Educazione Nazionale dal 1929 al 1931 e
Senatore)e l'altro dell'antifascismo(e sarà collega, amico e
collaboratore di Concetto Marchesi a Padova). Nel secondo dopoguerra,
dopo l'umiliazione per il deferimento all'Alta Corte di
Giustizia, Giuliano tornerà agli studi abbandonati e ritroverà l'antica
via della sincerità teoretica. Gli saranno d'aiuto le Lettere a Lucilio
di Lucio Anneo Seneca, che traduce brillantemente per Zanichelli in tre
volumi nel 1954-55, con una commossa dedica alla moglie Silvia
Marincola. Egli morirà a Roma il 13 giugno 1958; e Valgimigli a
Vilminore di Scalve in provincia di Bergamo il 27 agosto 1965,non
avendo mai smarrito,a modo suo, la strada dell'antico socialismo
mazziniano e democratico. Le sue parole più autentiche rimangono però
scritte nella finezza esegetica e nel gusto artistico delle traduzioni
di Saffo e Platone.
prof. Salvatore Ragonesi
salvatoreragonesi@hotmail.com