Abbiamo
celebrato in questi giorni, in tutte le piazze d'Italia, con la
fanfara al seguito, o più semplicemente con gli stendardi comunali e i
sindaci compiaciuti con la fascia tricolore, e con la festosa
partecipazione dei ragazzi delle nostre scuole, il Centenario della
fine della Prima Guerra Mondiale. Ed abbiamo assistito pure ai
"sermoni" di autorità civili e militari che c'hanno ricordato la
"stupidità e l'inutilità della guerra" (ma già nel 1914 papa Benedetto
XV lo disse ai capi delle potenze belligeranti, allorché si
apprestavano a mandare i loro eserciti al fronte). Veramente la Grande
Guerra è stata un'immane e inutile tragedia con oltre 16 milioni di
morti, tra militari e civili, senza contare oltre 20 milioni, tra
feriti e mutilati; tra i più terribili conflitti della storia
dell'umanità, peraltro senza aver risolto nulla (le guerra non
risolvono mai nulla!), e avviando l'inizio del "suicidio" del
continente europeo. Praticamente un carnaio, una vera macelleria umana!
Un'immensa catastrofe, costellata da errori e orrori, dall'inizio alla
fine, dall'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al
trono d'Austria-Ungheria, alle "radiose giornate di maggio" di
dannunziana memoria; dal massacro di Verdun, 351.000 tra morti e feriti
francesi, 281.000 tra morti e feriti tedeschi, alla disfatta di
Caporetto; dall'armistizio di Compiégne a Vittorio Veneto, fino alla
"vittoria mutilata" e alla "pugnalata alle spalle" che scateneranno ben
altri odi e altre sventure! Perché è chiaro, come ormai sostengono
molti storici, che la Grande Guerra è stata solo la "prima parte" del
più ampio conflitto europeo che sarà ripreso nel 1939, con la Seconda
Guerra Mondiale, e che porterà al definitivo suicidio
politico-sociale-economico-militare dell'Europa.
E grande è stata la responsabilità delle élite dei paesi vincitori con
la Conferenza di Pace di Parigi e il Trattato di Versailles, che invece
di appianare e risolvere i contrasti, alimentarono nuove tensioni,
maggiore instabilità, ma soprattutto, odio, rancore e desiderio di
rivincita, tra le nazioni "sconfitte", che scateneranno l'inferno della
Seconda Guerra Mondiale. Ma come capire le sofferenze e i patimenti di
quei ragazzi mandati al macello a soli vent'anni!? Come immaginare le
notti dei ragazzi del '99, e delle loro famiglie!? Credo che per noi
risulta veramente difficile comprendere quei cinque anni di guerra,
vissuti da milioni di giovani europei, rinchiusi in un groviglio di
trincee, tra freddo, paura e orrore della morte, con il nemico a un
tiro di schioppo e il plotone d'esecuzione sempre in agguato, per
insubordinazione o diserzione. Risulta complicato capire fino in fondo
le infinite ore d'attesa e di terrore, di difesa e d'assalto, tra la
gavetta e la baionetta.
Bisogna scendere nei "meandri" del pensiero, della cultura, dei
convincimenti, dei valori condivisi della generazione dei nostri nonni
per capire ciò che per noi è incomprensibile, inimmaginabile, quasi
inaccettabile: morire a soli vent'anni per la patria. La storia non è
solamente un elenco indefinito di date e di cifre, non è solamente
"cronaca", come affermava Benedetto Croce. Per capire la Prima Guerra
Mondiale credo che bisogna studiare la psicologia, la sociologia, la
cultura del primo Novecento. Nella società d'allora predominante era
l'idea di Patria, di Nazione, l'amore e l'attaccamento allo Stato. E di
conseguenza la difesa dei sacri confini della Nazione, la condivisione
dei valori comuni, il dovere di servire la patria, "fino alle estreme
conseguenze". Inoltre, erano radicati i valori del dovere, delle
regole, del servizio, dell'obbedienza, dell'onore, della fatica, della
sopportazione, del rispetto assoluto per le gerarchie e per la legge.
Queste le idee, i convincimenti e i condizionamenti portanti di quella
generazione.
E con questo bagaglio culturale i giovani d'allora partirono al fronte,
pronti a combattere e a morire per la Patria. Quindi, se vogliamo
pienamente comprendere la Prima Guerra Mondiale, oltre ai dati e alle
date, occorre un approccio multidisciplinare, come ci insegnano gli
storici dell'École des Annales. E credo che faremmo ancora fatica a
capire, noi che abbiamo smarrito il senso del sacrificio, noi che
abbiamo messo sotto chiave le regole e il senso del dovere, noi che
abbiamo messo in bella mostra al museo delle cere le parole Patria e
Nazione. Ma loro c'hanno creduto! E sono morti da eroi! Spero che un
giorno ci crederemo anche noi!
Angelo Battiato