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Costume e società: Multiculturalismo e Islam: la Sharia contro le costituzioni europee

Rassegna stampa

dal sito AsiaNews.it

di Samir Khalil Samir, sj
I problemi in Olanda e Danimarca. L’esempio della Gran Bretagna: decenni di multiculturalismo hanno portato a ghetti, chiusure e radicalismo delle comunità islamiche. Sempre penalizzate le donne. Essere cittadini europei implica avere dei doveri di integrazione. Terzo articolo di una serie.

Beirut (AsiaNews) –
Nel lasciare spazio alla Sharia c’è il rischio di un conflitto con le costituzioni europee. Un fatto interessante avviene in Danimarca, un paese all’avanguardia nella multiculturalità. Qui è nato un nuovo partito, il Siad, che fa questa proposta: chi cita versetti coranici contrari alla costituzione danese, deve essere punito perchè la costituzione è superiore a tutte le altre leggi.

E citano l’art. 67-69 della Costituzione danese che dice: “Autorizziamo la libertà di culto, purché esercitata dentro il quadro delle leggi danesi senza disturbare l’ordine pubblico”.

Tutto questo è un chiaro segno che si comincia a riflettere sul possibile contrasto che esiste tra le costituzioni dei Paesi europei e alcune leggi del Corano. Anche in Danimarca, sull’argomento esistono due tendenze: quella “di sinistra”, o dei buonisti, che vuole rispettare la cultura degli altri dicendo che la nostra non è assoluta, o suggerendo che dobbiamo tollerare e dare un po’ di tempo affinché i musulmani siano in grado con il tempo di fare questo passo; quella che non ammette deroghe, per cui chi non è capace di integrarsi, è meglio che vada a vivere altrove.

Ma il caso più significativo e problematico è quello della Gran Bretagna: qui, dopo decenni di multiculturalismo, le comunità islamiche, invece di integrarsi e di convivere, si stanno sempre più rinchiudendo in un ghetto, e stanno emergendo atteggiamenti fondamentalisti, pericolosi per tutta la società.

Scuola statale e morale islamica

L’associazione più rappresentativa dei musulmani britannici, il Consiglio musulmano di Gran Bretagna, ha chiesto che sia riconosciuto il diritto dei musulmani di applicare nella scuola statale la morale islamica. Il testo – un documento di 72 pagine – è stato presentato al governo e reso pubblico il 21 febbraio scorso, a nome di 400mila giovani musulmani che frequentano le scuole pubbliche nel Paese. Essi chiedono che il governo accetti le rivendicazioni di genitori e bambini musulmani in nome di una preoccupazione per la fede.

I musulmani partono dal loro concetto di pudore e dicono:

a) le studentesse hanno diritto di portare il velo o il hijab [non parlano però del niqab];

b) hanno diritto di non partecipare alle lezioni di educazione fisica, perché l’islam vieta il contatto tra i sessi in pubblico, perché si rischia di esporre anche in parte qualche nudità delle donne, vietata dalla sharia.

Essi esigono anche la separazione dei sessi nella scuola; il rifiuto della danza; l’educazione sessuale (che è affare della famiglia e non della scuola); disegni e libri di anatomia non devono rappresentare gli organi genitali. Per quanto riguarda poi la fede e la storia, chiedono una revisione di tutto il sistema d’insegnamento in nome della morale islamica.

Il ministero dell’educazione non ha ancora risposto in modo ufficiale, ma ha già detto che questa lista di richieste provocherà un passo indietro riguardo alla tolleranza che c’era.

Britannici o musulmani

La tendenza alla chiusura – frutto del multiculturalismo! – si manifesta anche ad un altro livello. Il 19 febbraio scorso, un sondaggio pubblicato sul Sunday Telegraph, mostra che il 40 % dei musulmani britannici è favorevole all’introduzione della sharia. Ciò manifesta la radicalizzazione di una folta parte della comunità islamica nel Paese. Il 60 % si sente estraneo alla società britannica e reputa necessario e normale condurre un modo di vita retto dall’etica islamica più radicale.

Un altro elemento che emerge è la distanza di queste persone dalla società britannica. Alla domanda “Cosa sentite rispetto alle vittime dei conflitti nel mondo?” la risposta è stata “compassione”, “solidarietà” e anche “ira” di fronte ai conflitti che toccano il Kashmir, la Palestina, l’Iraq, l’Afghanistan. In pratica: essi si sentono vicini più ai musulmani che alla Gran Bretagna, la quale in alcuni di questi paesi è protagonista dei conflitti.

Dal punto di vista sociologico si deve dire che essi provengono da Pakistan, Bangladesh e India, appartengono a famiglie tradizionali, ma occorre sottolineare anche che essi sono in Gran Bretagna da almeno due generazioni. Mi sembra ovvio che le reazioni al 9/11, anziché creare più solidarietà mondiale attorno all’idea di lotta al terrorismo, ha invece radicalizzato i musulmani che si sono solidarizzati fra loro per difendere i correligionari.

L’11 settembre ha creato o rafforzato, in tutto il mondo islamico, una crisi d’identità : l’islam e i musulmani sono messi in questione. Di fronte a questa situazione, c’è chi riflette per discernere ciò che deve essere rivisto nell’insegnamento e nell’atteggiamento islamico, e c’è chi reagisce con chiusura e aggressività per affermare con più forza la radicale diversità dell’islam di fronte alla cultura circostante. Questo secondo atteggiamento è tipico di molti giovani della seconda o terza generazione, che non si riconoscono totalmente né nella tradizione islamica né in quella occidentale (pur avendola perfettamente assimilata).

Ad ogni modo, questa inchiesta e le richieste sulla scuola mostrano che in Gran Bretagna i musulmani si identificano sempre più con la loro religione, più che con la società e la cultura del luogo.

Il pudore per i maschi e la cittadinanza

I problemi sollevati dai musulmani, per esempio quelli di Gran Bretagna, sono reali. Esiste un problema di etica nella società, e dunque nella scuola. Un liberalismo esagerato, che consente ai giovani tutto, in particolare sul piano sessuale, col motivo che devono imparare a fare le loro scelte, non è certo accettabile né per la comunità musulmana, né per la comunità cristiana, né per la comunità umana tout court. Da qui ad impedire i contatti tra ragazzi e ragazze, o a impedire l’insegnamento di tutto ciò che è legato alla sessualità, c’è molta differenza. Qui non si tratta più di etica, ma di costumi e tradizioni, e questo non è più accettabile. In ogni paese vanno osservate le norme di quel paese, non quelle dei paesi di alcuni genitori !

Inoltre, ci si domanda perché, trattandosi di rapporti tra i sessi, è sempre la donna che deve essere nascosta o “osservare il pudore” come si dice ancora. Il pudore, se è una virtù – è lo è di fatto –, vale per il maschio come per la femmina. E siccome il pudore sembra essere più spontaneo nelle femmine, si dovrebbe piuttosto imporlo ai maschi ! In altri termini, pur con le migliore intenzioni, i musulmani tendono a confondere le usanze con l’etica. Le usanze sono legate a determinati gruppi (etnici, geografici, religiosi ...) e non valgono per la società civile nazionale. L’etica detta dei principi validi per ogni persona umana, indipendenti dal sesso e dalla religione, e perciò merita di essere difesa e si lotta per difenderla. É ora che tutti impariamo a difendere un’etica rispettosa della persona umana, cominciando ad insegnarla e praticarla a scuola, per tutti. Quanto a provvedere un trattamento particolare per un determinato gruppo, in nome della loro diversa cultura, questa è una deformazione di ciò che dovrebbe essere “l’autentico multiculturalismo”, che impara a valutare le culture altrui e a migliorare la propria grazie a questo confronto.

Dietro a questo problema c’è la domanda: che significa la cittadinanza ? E’ una carta, comoda da acquistare perché da dei vantaggi e pochi obblighi ? Oppure è una realtà profonda, frutto di una scelta ragionata, che può esigere anche grossi sacrifici culturali ?

Ancora : qual è l’identità di un cittadino italiano di origine egiziana o marocchina o cinese o albanese ? Se è egiziana, marocchina, cinese, albanese, allora mi domando che senso ha aver richiesto ed ottenuto la cittadinanza? Non è forse per approfittare dei vantaggi che offre il nuovo Paese, e poi tornare a vivere nel Paese di nascita o dei genitori? In questo caso io sono solo uno sfruttatore. Ma se significa una scelta cosciente, che implica dei cambiamenti d’atteggiamento, col desiderio di costruire con gli altri concittadini una società più giusta ecc., allora sì merito la cittadinanza. Penso che la società debba aiutare ognuno a fare queste scelte ponderate, aiutando e facilitando questo sforzo d’integrazione.









Postato il Venerdì, 23 marzo 2007 ore 15:30:28 CET di Salvatore Indelicato
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