Per un momento s’infila veloce anche il chiasso dei bar e le voci di chi passeggia fuori. Poi il silenzio. I nuovi avventori sono assaliti da migliaia di occhi che li seguono dalle scansie, passo dopo passo. «Ma veramente Saba scriveva qui?» – si chiedono gli ospiti guardandosi attorno. Mario Cerne sbuca all’improvviso da una pila di libri: «Proprio qua dietro, guardate, questa era la sua Olivetti». Qualche parola, qualche curiosità e i clienti se ne vanno soddisfatti. Ogni giorno, ogni ora, il solito copione. Vengono, domandano e se ne vanno, senza comprare nulla. Così non si tira avanti. «Dovrei mandarli via? Far pagare il biglietto come in un museo?».
Mario, il librario, è figlio di quel Carletto che con Saba ha fatto la storia della bottega. Ora è sulla soglia dei settanta. È dall’81, dalla morte del padre, che custodisce l’unica viva testimonianza del poeta triestino. Ha mantenuto l’anima, a modo suo ne ha tramandato la memoria. Adesso si arrende. L’età e lo sconforto «per una città disinteressata, mai un aiuto dalle istituzioni». «Vale la pena continuare? – si chiede –. Non ho più la forza, ho perso l’entusiasmo».
Di tanto in tanto si leggono segnalazioni sul quotidiano locale di chi vorrebbe che il negozio non fosse abbandonato a se stesso. L’assessore comunale alla cultura, Massimo Greco, non ci sta e sbotta: «due anni fa, in occasione dei cinquant’anni dalla morte di Saba, avevamo proposto di aiutarlo, ma lui non aveva voluto.
Questa comunque resta un’attività commerciale e non possiamo fare niente. Il locale è in condizioni pietose, tutto ha una fine e Cerne non vede l’ora di vendere e incassare». La fine, dunque. «Allora dopo di me ci mettano pure un McDonald’s» – provoca Cerne. Con l’amaro in bocca Mario ricorda quando, ragazzino, vedeva Saba «seduto in un angolo, se l’umore non era di quelli giusti cacciava i clienti, era scorbutico, nevrotico». Il poeta acquista il negozio nel ’19: «passando una mattina per via San Nicolò vidi per la prima volta quell’antro» – confida: «Pensai: se il mio destino fosse di passare là dentro la mia vita, quale tristezza».
Nel ’33 entra in società Alberto Stock, nipote di Lionello, fondatore della nota ditta di liquori. È il ’38 quando Saba finge di vendere la libreria per eludere le leggi razziali che vietavano agli ebrei di possedere attività commerciali. Saba viaggia alla ricerca dei pezzi più pregiati e la fama del negozio cresce. Da lì passano Stuparich e Svevo, la lista di illustri habituès è ricca. Qualcuno ricorda anche una visita di Mussolini, prima di salire al potere.
Magris ci porta ancora gli amici. Per anni la bottega è per Saba «il rifugio al mio pensiero e agli orrori del tempo». Le commesse stesse sono ispirazione per i suoi versi. L’antro sofferto è storia nella storia che Cerne racconta sfiorando tomi del ’400, un quadro di Carlo Levi e i cataloghi originali della libreria. Mario ha vissuto nell’ombra del nome di uno dei più grandi letterati del Novecento italiano. Adesso è al capolinea.
«Se voglio chiudere?» Non risponde. Si stringe nelle spalle e nasconde il volto. Inutile insistere, la conversazione scorre su binari morti mentre, ormai sera, abbassa le serrande. La libreria antiquaria di Saba a Trieste in una foto d’epoca.
Sopra, il grande poeta