Il disegno di legge delineerebbe una consistente perdita di
terreno sui diritti del lavoro soprattutto
a danno dei precari, in confronto a cui il decreto Brunetta è uno
scherzo da ragazzi, visto che verrebbe esteso anche al pubblico impiego.
Soprattutto
è l’art.31 del ddl denominato n. 1167-B, a suscitare non poche
perplessità.
Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it
Mentre si aprono discussioni epocali sul decreto Brunetta , magari su
quale parte anatomica anteriore appuntare il famigerato cartellino, si
rischia di essere distratti da ciò che invece sta avvenendo a “tergo”
dei lavoratori. Si tratta di un disegno di legge che è già stato
approvato dalle Camere ma che il Presidente della Repubblica, ai sensi
dell’art. 74 della Costituzione, ha rimandato indietro al Parlamento.
Il fatto stesso che egli non lo abbia promulgato laddove finora ha
firmato tutti gli altri decreti, compreso quello sul legittimo
impedimento, dovrebbe già suscitare un certo allarme.
Il disegno di legge delineerebbe una consistente perdita di terreno sui
diritti del lavoro soprattutto a danno dei precari, in confronto a cui
il decreto Brunetta è uno scherzo da ragazzi, visto che verrebbe esteso
anche al pubblico impiego.
Soprattutto è l’art.31 del ddl denominato n. 1167-B, a suscitare
non poche perplessità. Quest’articolo prevede infatti la possibilità di
ricorrere all’arbitrato, in via stragiudiziale, in casi di contenziosi
sul lavoro. Il lavoratore, cioè, al momento di essere assunto potrebbe
accettare di firmare una clausola compromissoria in cui rinuncia di
adire al giudice del lavoro ricorrendo invece a degli arbitri nominati
dalle parti in caso di contenziosi anche in relazione ad eventuale
licenziamento.
Brevemente bisogna spiegare che l’arbitrato rituale, come disciplinato
dagli artt.804-840 C.P.C ( Codice procedura civile), nasce
dall’autonomia contrattuale delle parti come sancito dall’art. 1322
Codice civile ma nasconde non poche insidie. Innanzitutto è molto
costoso. Ha il vantaggio di essere celere ma bisogna chiedersi se il
gioco vale la candela. Il lodo arbitrale che ha valore di
sentenza viene emesso da arbitri che non sono giudici ordinari ma
spesso noti avvocati che vengono pagati profumatamente per questa loro
attività. E’ chiaro che a fare la parte del leone sarebbe, ovviamente,
chi ha più mezzi economici. Anche la possibilità di scelta appare più
virtuale che reale. Questa scelta , infatti, viene decisa nel momento
in cui il lavoratore è più vulnerabile: al momento dell’assunzione. A
questo punto anche il più mansueto e il più fantozziano dei lavoratori
si troverebbe con le spalle al muro; se non accetta rischia di non
essere assunto, accentando, del resto, si preclude quasi del tutto di
vedere tutelati i propri diritti in modo imparziale anche in caso di
licenziamento senza giusta causa. Ed è proprio questo il punto. Il
divieto del licenziamento senza giusta causa finora garantito dall’art.
18 della Legge 300/70 ( statuto dei lavoratori). Si è cercato in vari
modi di eludere quest’importante articolo anche attraverso mezzi
referendari confidando forse nella prodigiosa capacità del cittadino
medio di mettersi il cappio al collo con le proprie mani. Lo statuto
dei lavoratori ,a tutt’oggi, rappresenta l’unico baluardo per la difesa
dei diritti essenziali sul lavoro, oltre il quale si apre un baratro. E
non parlo per metafora. Ciò dovrebbe interessare anche chi oggi ha un
posto stabile, anche se è dirigente, fosse solo per il futuro da
“elemosina” che si prospetta per i propri figli. Infine si
dovrebbe anche capire che , spesso, la parcellizzazione delle azioni
sindacali vanifica le azioni di lotta per la difesa del lavoro, che è
uno, e che quando lo si attacca su tutti i fronti non si intende per
quale arcano motivo solo una determinata categoria professionale ne
dovrebbe restare indenne.
Il ddl in questione, del resto, rientra nella logica di cronicizzazione
del precariato iniziata dalla legge Biagi. A dire il vero questa
legge che porta il nome del giuslavorista Marco Biagi, non recepì
perfettamente la sua concezione che era più che altro volta nei
termini di una “flexicurity”, ovvero di una ri-occupabilità in un
itinerario di formazione in progresso.
La facoltà di licenziamento, diciamo così, agevolata, era già presente
nel decreto legge 25/6/08 n.112 dichiarato già illegittimo dalla Corte
Costituzionale con sentenza n.214 del 14/7/ 09 per conflitto con l’art.
3 della Costituzione, forse uno dei più importanti della stessa. Anche
se si potrebbero ipotizzare ulteriori violazioni degli artt. 102-24-25
della Costituzione. E adesso viene in pratica riproposta attraverso
l’attuale disegno di legge in discussione in questi giorni al
Parlamento per la seconda volta.
Infine, anche gli artt. 30-32-50 dello stesso ddl prevedono un
indennizzo in caso di licenziamento ma non una tutela reintegratoria.
Inoltre, l’indennizzo sarebbe uguale a 12 mensilità e non oltre per i
lavoratori precari che verrebbero anche lì a trovarsi in una posizione
di evidente svantaggio rispetto agli altri lavoratori ai quali non
viene invece posto un limite al risarcimento, con evidente
violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it