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Il d.lgs 165 e la precedente privatizzazione del pubblico impiego hanno introdotto soprattutto notevoli novità riguardo il piano delle responsabilità contrattuali del dirigente; in quanto individuato come datore di lavoro, in caso di violazioni contrattuali, nonché di norme imperative, di leggi, dell’ordine pubblico e in generale se incorre in tutte quei vizi negoziali, inerenti alle norme pattizie e contrattuali esso risponde nei termini di lesioni di diritti soggettivi più che degli interessi legittimi (D’ANTONA, Contratto collettivo, sindacati e processo del lavoro dopo la seconda privatizzazione del pubblico impiego (osservazioni sui d.lg. n. 396 del 1997, n. 80 del 1998 e n. 387 del 1998).Ricordiamo per inciso , e in modo molto semplificato, che un diritto soggettivo è quella pretesa di godere, anche nei confronti di terzi, di un bene, di un diritto laddove per interesse legittimo s’intende la pretesa di usare il potere discrezionale delle P.A di competenza, ad esempio, per ottenere una licenza o un condono.
In virtù del carattere privatistico del contratto delle P.A, quindi, la sua violazione non è più soggetta al procedimento amministrativo bensì al carattere sanzionatorio tra datore di lavoro e dipendente conseguente all’infrazione della specificità sinallagmatica del contratto di lavoro. Pur rimanendo intatto il criterio della proporzionalità della sanzione riguardo al fatto contestato come nell’art.2106 c.c.., richiamato dall’art.55, comma 2 del D.lgs. n. 165 del 2001.
Va da sé che anche la responsabilità dirigenziale nell’attribuire sanzioni se è vero che è obbligatoria e non può essere omessa ( cosa che invece può succedere nel rapporto privato di lavoro) quando si tratta di violazioni evidenti e di rilevanza civile e penale deve essere calibrata ope legis su situazioni di fatto lesive delle norme pattizie, d’ordine pubblico, delle leggi. Perché, in caso contrario, o di fronte a presunti illeciti non meglio specificati dalla legge, reificati, oggettivi e dimostrabili, il dirigente, come datore di lavoro, risponde in termini risarcitori nonché penali.
La responsabilità civile, invece, ha carattere soprattutto extracontrattuale, di colpa aquiliana quando si produce un danno a terzi per negligenza ( ad esempio , la culpa in vigilando). La responsabilità civile, infatti, a meno che non ci sia un dolo, ha soprattutto un carattere risarcitorio e può non coincidere con la responsabilità penale , così come le responsabilità amministrative.
Queste ultime, ad esempio, riguardo omissione di precisi atti e doveri amministrativi ,ad esempio del DSGA, si configurano quali illeciti contabili , ad esempio danno patrimoniale per mancata ricostruzione di carriera oppure danno per mancata erogazione di una spettanza dovuta, ma possono avere anche risvolti penali; uno dei tanti esempi in tal senso, che si potrebbe fare è quello del caso di corruzione ai sensi dell’art.319 cod. pen. per avvantaggiare economicamente qualcuno nel caso di una collaborazione esterna all’amministrazione. Oppure la responsabilità penale che investe non in caso di collusione ma di reiterata inerzia in illeciti contabili ed atti amministrativi dovuti. In tutti questi casi il reato civile ( danno a terzi ai sensi dell’art. 2043 c.c.) amministrativo( danno all’erario) e quello penale (art.319) si sovrappongono.
La costante giurisprudenza si è pronunciata più volte riguardo alla conseguente devoluzione al giudice ordinario del lavoro le controversie che riguardano i provvedimenti sanzionatori, che investono la specifica dimensione dei diritti soggettivi tra dipendente e datore di lavoro, inerenti al contratto di lavoro, fermo restando che le controversie che invece scaturiscono da presunte violazioni di interessi legittimi, nonché da atti amministrativi, extracontrattuali, rimangono di competenza del tribunale amministrativo.
Tecla Squillaci
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