La Suprema Corte di
cassazione, con ordinanza n. 2112 del 28/ 01/2011 ha dichiarato come
non manifestatamente infondate le questioni di incostituzionalità
dell’art. 32 della legge 183/2010( collegato al lavoro). In fatto, l’ordinanza deriva da una
controversia di lavoro con Poste italiane. Ricordiamo che
l’articolo 32 della legge di cui sopra afferma in sintesi che “il licenziamento deve essere impugnato
entro sessanta giorni dalla comunicazione ricevuta in forma scritta ,
ovvero della comunicazione, anch’essa in forma scritta dei motivi ove
non contestuale, con qualsiasi altro scritto anche extragiudiziale
idoneo a render nota la volontà del datore di lavoro anche attraverso
l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il
licenziamento stesso. L’impugnazione è inefficace se non è
seguita entro il termine perentorio di duecentosettanta giorni , dal
deposito del ricorso in cancelleria del tribunale del lavoro o dalla
comunicazione delle controparte della richiesta di tentativo di
conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre
nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso in oggetto.
Qualora la conciliazione o l’arbitrato
richiesti siano rifiutati o non vi sia accordo, il ricorso al giudice
del lavoro deve essere depositato a pena decadenza entro il termine di
sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo” L’art. 32
aveva dunque sostituito l’articolo 6 della legge 604/1966,
ma l’ordinanza di cui in epigrafe, ravvisa ora profili di
incostituzionalità ma anche di violazione soprattutto dell’art. 18
della legge 300/70.
Nella fattispecie, l’art 18 ribadisce
che il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno patito per il
licenziamento in cui sia stata accertata in via giudiziale la non
validità dello stesso; ovvero senza giusta causa o giustificato motivo
e che lo stesso risarcimento non può essere inferiore a cinque
mensilità di retribuzione. Ed essendo quest’ultima una norma
dettata dall’art. 2121 c.c., la legge sopravvenuta n.183/10 non può
contraddirla. In particolare, lo stesso art. 32 risulta violare
altresì la natura sinallagmatica del contratto di lavoro;
l’accordo fra le parti sociali preso nel gennaio 1998 fissava, infatti,
come termine ultimo il 30 aprile dello stesso anno la possibilità di
stipulare contratti a tempo determinato, mentre risulta arbitrario il
prolungamento oltre questo termine fissato del rapporto di lavoro a
tempo determinato. Viene anche rigettato, per difetto di prova, anche
l’aliunde perceptum o percipiendum, sollevato dalla controparte,
ovvero l’onere della rioccupazione del lavoratore .
L’ordinanza inoltre rileva la
violazione degli artt. 3,4, 111, e 117 della Costituzione, quest’ultimo
riguardante l’adeguamento delle normative nazionali sul lavoro alle
norme comunitarie. Sempre quest’ultimo articolo profila
l’inammissibilità dell’introduzione surrettizia da parte delle suddetta
dell’arbitrato nella controversia sul lavoro sottraendo il cittadino al
giudice naturale.
Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it