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Umanistiche: Quando Hegel si innamorò di Rossini

Rassegna stampa

   

 
HEGEL
E
ROSSINI

 
«IL CANTAR CHE NELL'ANIMA SI SENTE»
 
   

ritratto di Hegel
Alessandra LAZZERINI BELLI

 
Le riflessioni di Hegel sulla musica di Rossini sembrerebbero a prima vista un tema del tutto secondario nell'estetica hegeliana, invece contengono, in nuce, molto più di quanto una rapida lettura possa rivelare. Se esaminate con accuratezza mostrano, in modo incisivo, la convinzione hegeliana circa la natura dialettica della realtà (in questo caso musicale). Si offrono anche come esempio efficace delle capacità interpretative che l'indagine idealistica mostra di possedere in campo artistico, non in tutti, ma certamente in molti casi. Se da un lato Hegel non ha saputo attribuire il giusto valore a Beethoven, al quale ha riservato solo «un eloquente silenzio» [1], dall'altro ha intuito la grandezza di Rossini con un acume ben più profondo del facile entusiasmo di molti suoi contemporanei. Anzi, si potrebbe dire, con verbo profetico, dal momento che Hegel ha rilevato, dentro l'arabesco musicale rossiniano, che apparentemente rimira compiaciuto solo se stesso, la presenza di una singolare capacità espressiva che, occultata per decenni da scialbe interpretazioni esteriori e di maniera, è diventata oggetto di studio e di rivalutazione solo nel XX secolo.

Nelle parole di Hegel su Rossini viene alla luce anche una sorta di dialogo: quello tra l'uomo Hegel - i suoi gusti, la sua possibilità di vivere piccole e grandi passioni, le sue preferenze musicali - e il teorico Hegel , che è tale proprio perché sa astrarsi da questi gusti e da queste passioni, e sa guardare all'universale. Dialogo, dicevamo, ovvero azioni e reazioni di un elemento sull'altro: il gusto e il piacere che costringono la teoria a esibire tutte le proprie risorse ermeneutiche, e viceversa la teoria che dà al gusto personale un fondamento sul quale poggiare, per non ridursi a evanescente momento soggettivo.

l. Dualismo delle riflessioni di Hegel su Rossini

Questo il giudizio di Hegel sulla musica di Rossini:

    "Gli avversari screditano la musica di Rossini come un vuoto solletico dell'orecchio; ma se ci si familiarizza meglio con le sue melodie, allora questa musica è al contrario estremamente colma di sentimento, ricca di spirito, e capace di penetrare nell'anima e nel cuore, anche se essa non ha niente a che fare col genere del caratteristico, che piace specialmente al forte intelletto musicale tedesco. Infatti anche troppo frequentemente Rossini è infedele al testo e con le sue libere melodie si eleva così in alto che si ha allora la scelta se restare nell'argomento ed essere insoddisfatti della musica che non vi concorda più, oppure rinunciare al contenuto e privi di impedimenti ricrearsi alle libere ispirazioni del compositore e gioire con l'anima dell'anima che esse contengono" [2].

Non si tratta di un giudizio univoco, lineare, privo di problemi, dal momento che vi sono in gioco due possibilità di valutazione, e l'una è opposta all'altra: o la musica di Rossini non è affatto soddisfacente, oppure è quella che può dare all'anima vera soddisfazione. Strana incongruenza, soprattutto se si pensa che tutti gli altri grandi compositori citati nell'Estetica, da Palestrina a Bach, da Mozart a Weber, ricevono giudizi risoluti, a volte decisamente unilaterali, sicuramente non sottoponibili a ripensamenti. Qui invece Hegel appare, a tutta prima, indeciso. In realtà, il passo sopracitato cela la dialettica hegeliana in tutta la sua raffinatezza.

Analizziamo le singole frasi: 1) la musica di Rossini è «estremamente colma di sentimento». Questo enunciato potrebbe essere, senza eccessivo timore di forzature, la tesi.

Sempre pronta a ribaltarsi nel suo contrario, ed ecco infatti l'antitesi: 2) la musica di Rossini «non ha niente a che fare col genere del caratteristico [...] Rossini è infedele al testo», la sua musica «non concorda più con l'argomento» trattato. Tuttavia, proprio per questa infedeltà alle parole, si fa concreta la possibilità di: 3) «ricrearsi alle libere ispirazioni del compositore e gioire con l'anima dell'anima che esse contengono». Quale migliore sintesi? Ciò che la musica di Rossini fa risuonare non sono semplicemente o solamente i sentimenti, che una più intima adesione al testo porterebbe alla massima espressione individualizzante, ma è addirittura l'anima, il 'luogo' in cui i sentimenti vivono purificati dalle contingenze del quotidiano, e dove, abbandonata la pretesa di occupare ciascuno tutto lo spazio emotivo disponibile, ridivengono le qualità sentimentali di una personalità, i momenti di un io che ritrova sempre se stesso. E quest'anima, che si potrebbe definire 'risonante', è capace di entrare in contatto con l'anima 'udente' annullando, nel momento dell'ascolto, ogni rigidezza, ogni barriera oggettiva.

Anche questa dissezione, tuttavia, non toglie al periodo hegeliano il suo carattere bivalente: la sintesi di cui è capace la musica di Rossini non è affermata come una conquista assoluta, raggiunta una volta per sempre. Le prime due alternative (la tesi e l'antitesi) non appaiono completamente superate (nel senso hegeliano del termine), ma capaci di ripresentarsi con forza. Sembra anzi profilarsi l'idea che la risoluzione del movimento dialettico dipenda dalla scelta dell'ascoltatore. È lui che deve decidere a cosa dare peso: se alla negligenza della musica nei confronti del testo e della situazione drammatica, o se alla possibilità che gli viene offerta di entrare in contatto sentimentale, simpatetico, con l'opera. Rossini avrebbe detto che è una questione di «logica del cuore», non di «logica dei concetto»[3].

2.'Conversione' di Hegel alla musica di Rossini

Per circostanziare il rapporto tra Hegel e la musica di Rossini, è necessario riferirsi a un episodio particolare della vita del filosofo: il viaggio a Vienna dell'autunno del 1824. Hegel lascia Berlino, dove risiede e insegna dal 1818, per trascorrere a Vienna un periodo (anche se di soli sedici giorni) tra i più esaltanti della sua vita, come risulta dal tono entusiastico delle lettere inviate alla moglie: «finché avrò denaro sufficiente per pagare l'opera italiana e il viaggio di ritorno, rimarrò a Vienna! »[4]. È la possibilità di ascoltare l'opera italiana, interpretata da cantanti italiani, che ha attirato Hegel a Vienna. E la scelta non poteva essere più felice, perché la città è letteralmente invasa dall'opera italiana, da quando Rossini ha conquistato nel 1816 il pubblico viennese col Tancredi. Per farsi un'idea dell'italianismo di Vienna all'inizio del secolo XIX è sufficiente ricordare un acre giudizio che circolava all'epoca nei salotti:

    "Mozart e Beethoven sono dei vecchi pedanti, la stupidità dell'epoca precedente ne godeva; soltanto dopo Rossini si sa cos'è la melodia. Fidelio è un'immondizia: non si capisce come ci si dia la pena di andare a sentirlo, per annoiarsi"[5].

Naturalmente non bisogna pensare che tutti i viennesi fossero così 'sordi' nei confronti della musica non italiana, tuttavia quella presuntuosa chiacchiera da salotto è la testimonianza di un clima, di un fervore appassionato, di un 'terremoto' che ha il suo epicentro in Rossini.

Non è un caso se, proprio durante questo soggiorno nella capitale austriaca, Hegel porta a compimento la sua personale 'scoperta' di Rossini. Non si pensi tuttavia a un 'amore a prima vista', quella di Hegel è piuttosto una passione che nasce lentamente, per gradi, che ha tanto più valore se si considera che egli ha già ascoltato opere di Rossini a Berlino, e conosce la professorale 'diagnosi' che è stata emessa dai critici berlinesi su di esse: vuoto interiore. Nonostante ciò, Rossini a Vienna conquista anche Hegel. Ripercorriamo le tappe di questa 'conversione'. Hegel arriva a Vienna carico di pregiudizi nei confronti di Rossini. Il primo impatto con la sua musica avviene tramite l'opera seria, il 23 settembre il filosofo scrive alla moglie di aver già ascoltato l'Otello e la Zelmira: «l'ultima mi ha però, soprattutto nella prima parte, annoiato molto»[6]. Un primo incontro non proprio entusiasmante, nonostante l'eccezionalità dei cantanti, che Hegel rileva, in questa e nelle altre opere alle quali assiste, con competenza e partecipazione: il soprano Joséphine Fodor-Mainvielle, il baritono Donzelli, il tenore Rubini, il basso Lablache, il basso Botticelli, il basso Cintimarra, il soprano Dardanelli.

Il 25 settembre è la volta di Rossini operista buffo: Hegel si reca a teatro per il Barbiere di Siviglia. Nessun accenno esplicito alla musica nelle lettere alla moglie, però a Hegel non devono essere sfuggite né la dinamica, né l'esuberanza dell'orchestra rossiniana. Non ne parla direttamente, ma qualcosa si può dedurre dalle lodi rivolte al basso Lablache:

    "anche se l'intero coro canta con lui e l'orchestra irrompe con un fortissimo, lo si intende nel modo più chiaro, come se cantasse da solo, e tutto senza sforzo, senza gridare o urlare"[7].

Tuttavia Hegel non cambia parere su Rossini; anzi, la parola chiave per definire il rapporto con la sua musica è, ancora una volta, la noia: «i coniugi Parthej hanno aspramente criticato la musica di Rossini che talvolta, come musica, annoia anche me»[8].

Una reazione inconsueta quella di Hegel, fin troppo compassata rispetto al rabbioso diluvio di critiche che piove su Rossini da parte dei suoi detrattori, in genere smodati nel denigrarlo quanto i suoi sostenitori nel lodarlo. Si può dire che Rossini sia stato criticato un po' per tutto: per aver usato l'orchestra in modo assordante, per aver trasformato il ritmo in una frenesia da baccanale, per aver abbandonato i tempi larghi, per aver sostituito alla semplicità antica una commistione di stili, per aver abusato nel citare se stesso, per aver mancato la corrispondenza tra musica e contenuto delle parole, per aver dato voce insomma «allo strepito e al fragore del presente»[9]. Lo stesso Rossini, ironico e compiaciuto al tempo stesso, dirà a Wagner, nel 1860, di aver temuto di morire per mano dell'infuriato pubblico italiano la sera della prima del Barbiere, e di esser stato definito dai francesi «Monsieur Vacarmini» (Signor Baccano)[10]. Rossini insomma suscita sempre grandi passioni, anche in negativo.

Invece Hegel non si scandalizza, non si stupisce, non si infuria, semplicemente si annoia. La noia è un concentrato di disgusto e di stanchezza che deriva dal percepire qualcosa come monotono, uniforme. Possibile che Rossini, che ha sconvolto tutti, amici e nemici, col suo spirito innovativo, sembri proprio a Hegel antiquato, insipido, incapace di meravigliare? Ma il vocabolario fornisce un'altra accezione della parola noia: essa può essere intesa anche come disappunto, insofferenza, disapprovazione dovuta a circostanze, situazioni, eventi contrari alle proprie attese. Con questo secondo significato forse abbiamo colto nel segno: Rossini è troppo 'nuovo', perché Hegel, che ha formato il suo gusto musicale sostanzialmente su Gluck, Mozart, e gli operisti italiani del Settecento[11], possa apprezzarlo subito.

Due giorni dopo però, nella lettera del 27 settembre, compare il primo indizio del cambiamento che si sta verificando in Hegel. Non è un commento a Rossini, bensì a Mozart, alle Nozze di Figaro, a ciò che finora è stato per Hegel il vertice dell'ideale musicale, il modello dell'equilibrio perfetto tra la forma e il contenuto. Sembra incredibile, eppure, dopo aver ascoltato Rossini, la musica di Mozart appare a Hegel «più trattenuta». E la parola non è usata in senso positivo, non esprime il sollievo di chi può finalmente far riposare le orecchie dopo tutti gli eccessi - nel ritmo, nella dinamica, negli abbellimenti - ascoltati. Esattamente il contrario: in quel «trattenuta» c'è una punta di rammarico, dovuta al fatto che non è possibile gustare, nella musica mozartiana, «i brillanti suoni che era così dolce sentire»[12].

Ed eccolo, Hegel, instancabile, il 29 di settembre, ancora a teatro, questa volta per il Corradino cuor di ferro (cioè la Matilde di Shabran). La metànoia è ormai compiuta: a Hegel ora la musica di Rossini sembra «fatta per il cuore». Il cuore dell'ascoltatore, che deve aprirsi ad essa, e il cuore dell'interprete-cantante, che deve saper compenetrare di sentimento la propria abilità, poiché in questa musica

    "tutto è disposto in funzione non della musica in quanto tale, ma del canto
    per sé; la musica che deve valere soltanto di per sé, può anche essere solo suonata, essere suonata sul piano ecc..., ma la musica di Rossini ha senso solo se viene cantata"[13].

3. L'interpretazione vocale e il valore espressivo della musica di Rossini

Una composizione vocale è tale proprio perché viene musicato un testo, e quindi è soprattutto canto, eseguirla in versione esclusivamente strumentale equivale a snaturarla. Ma questo è solo il significato più evidente della frase sopra citata. Tra le righe di quel passo in realtà c'è qualcosa di più che un'osservazione scontata: la concezione rossiniana del canto, per la quale è impossibile scindere dal risultato espressivo l'esecuzione ineccepibile del cantante, trova qui la sua intelligibilità.
Quando Rossini ha occasione di descrivere ai suoi amici, riuniti a Passy, nel 1858, che cosa egli intenda per adeguata formazione vocale del cantante, si esprime così:

    "si cominci con il lavorare esclusivamente sull'emissione pura e semplice del suono, l'omogeneità dei timbri, l'egualizzazione dei registri, questa sarà la base dell'apprendistato"[14],

sulla quale si innesterà poi l'acquisizione della tecnica. Se l'interprete non ha tali requisiti vocali, in parte naturali, in parte appresi, la musica di Rossini non può esplicare al meglio le proprie potenzialità, dal momento che è scritta proprio con gli accorgimenti necessari a mettere in mostra queste qualità[15]. L'ideale rossiniano è realizzato da un suono sempre naturale e morbido, che non mostri sforzi, né durezze, privo di «ronzii» nelle zone gravi, e di «stridori da capponi sgozzati»[16], in quelle acute. Hegel si trova in perfetta sintonia con Rossini nel definire i canoni della bellezza vocale:

    "Un aspetto fondamentale di questa bellezza è prima di tutto il materiale del suono come suono, il puro metallo, che non deve né inasprirsi in una nuda acutezza e in una vitrea sottigliezza, né deve rimanere sordo o cupo, ma allo stesso tempo, deve dimostrare, in questo suono per così dire tenuto fermo in modo compatto, una vita interna e un tremito del risuonare, senza giungere al tremolo. Inoltre la voce deve essere prima di tutto pura, cioè accanto al suono in sé perfetto non deve farsi sentire alcun ulteriore stridore"[17].

4. La voce e l'interiorità

La bellezza del suono, alla quale il cantante deve sempre mirare, non può però essere ottenuta in modo completo, se la tecnica è disgiunta dalla volontà di farne un'espressione del sentimento. La tesi della qualità espressiva della voce, che è essenziale tanto per Hegel quanto per Rossini, perde in entrambi il suo carattere generico, per assumere le dimensioni di una presa di posizione sulla realtà. Le coordinate del discorso si spostano dalla semplice asserzione "la voce deve esprimere il sentimento", alla domanda, molto più impegnativa, circa la natura della realtà sentimentale che la musica sa rendere presente. In altre parole, o meglio con quelle di Rossini, non basta alla musica esprimere «le più minute e le più concrete particolarità degli affetti», perché essa «si propone un fine più elevato, più ampio, più astratto»[18]. Rossini evita la descrizione psicologica, e riserva alla musica un'oggettività, che è ottenuta dando suono a quelli che potremmo chiamare archetipi del sentimento, universali, rispetto ai quali le particolari situazioni affettive dei singoli individui sono semplicemente parti contenute. Per questo Rossini utilizza spesso strategie compositive che smantellano l'intelligibilità del testo, i cui dettagli diventano secondari; per questo a volte non si cura di interrompere lo svolgimento del dramma, creando isole musicali che vivono di una temporalità propria, quasi ferma, distaccata dal normale scorrere. L'attenzione a questi 'trascendentali' del sentimento forse spiega, con maggior profondità di quanto non faccia la supina adesione a un retaggio storico, anche l'uso di Rossini di riportare, nell'opera che va scrivendo, brani tratti da sue opere precedenti, che tanto scandalizza i suoi avversari, e banali giustificazioni trova troppo spesso nei suoi amici.

Per capire il legame tra la filosofia hegeliana e questo singolare modo di avocare alla musica il potere espressivo, bisogna partire da una premessa, che è solo apparentemente molto lontana, ovvero dal rapporto che Hegel ritiene unisca l'anima al corpo. Non si tratta di una relazione tra due sostanze «assolutamente indipendenti tra loro»[19]. Anima e corpo sono ovviamente due gradi di spiritualità diversi, ma sono una sostanza unica, costituita dal concetto nel suo essere altro (il corpo), e nel suo essere per sé (l'anima). Ciononostante la vita del corpo, fino a quando è limitata alla capacità di nutrirsi e di muoversi autonomamente, tiene occultata questa unità, non dà all'anima adeguata possibilità di manifestarsi. E solo tramite la voce che l'anima può emergere da questo suo essere sprofondata dentro la corporeità. Nella voce si produce:

    "una corporeità ideale - per così dire - incorporea, qualcosa di materiale in cui l'interiorità del soggetto mantiene completamente il carattere di interiorità - l'idealità che è per sé dell'anima riceve una realtà esteriore che le corrisponde perfettamente, una realtà che viene superata al suo stesso apparire, poiché la diffusione del suono è al tempo stesso la sua scomparsa"[20].

La voce ha una corporeità incorporea, perché il suono è il risultato di «un tremito interno del corpo stesso»[21]. Il tremare non è un cambiamento di luogo, ma un movimento interiore, una tensione interna a ciò che vibra. La voce che emerge da questo tremito non vive nello spazio come i corpi, ma nel tempo, e quindi non si erge di fronte all'anima come qualcosa di contrapposto, non la aliena in un esser-altro. La corporeità della voce è oltremodo effimera, ma proprio perché la sua esistenza è fugace, tutta racchiusa in un apparire che è subito anche uno scomparire, essa rimanda a qualcosa attraverso cui è posta, ovvero a quella soggettività di cui la voce è «rappresentazione»[22], e di cui ha bisogno, come udito, come memoria, come senso intemo, per esistere.

La voce è rappresentazione del soggetto a due livelli: in primo luogo della struttura temporale della soggettività, e poi anche delle sue sensazioni. Per individuare il primo livello di tale capacità rappresentativa bisogna ricordare che per Hegel il soggetto, come il tempo, «mentre è, non è, e mentre non è, è »[23]. L'io non è che questo «vuoto movimento»[24]: nega se stesso per identificarsi con un pensiero, un desiderio, una volizione ecc., (mentre è quel pensiero, quel desiderio, quella volizione, non è io), e poi nega queste differenziazioni, per riconoscersi uguale a se stesso (mentre non è quel pensiero, quel desiderio, quella volizione, è io)[25]. Si tratta di una doppia negazione analoga a quella che dà origine al suono: il corpo che trema nega lo spazio (inteso come insieme di particelle situate esteriormente una all'altra, in posizione di quiete), e nega la prima negazione, tornando a ricomporsi in quiete, ma solo per un attimo, poi il gioco delle continue negazioni riprende nuovamente[26]. Ecco perché, considerata semplicemente come suono, la voce è manifestazione dell'io puro, dell'essenza temporale dell'io. Ma il riconoscimento di sé che la voce può offrire al soggetto va ancora oltre, a un secondo livello, poiché essa è espressione anche degli stati mutevoli dell'io. La voce non è un suono qualunque: essa è «espressione della sensazione, dell'autopercezione»[27], comunica il nostro dolore, la nostra sorpresa, la nostra gioia... Tuttavia, se ci si ferma a questo stadio, la voce è solamente grido, gemito, sussulto, riso, si limita alle «interiezioni[...] all'ah! e all'oh! dell'animo»[28], che sono le manifestazioni «di un'anima ancora rozza» [29 ] schiava delle passioni, vittima di esse in modo esclusivo e totale, senza altra volontà che la soddisfazione del proprio desiderio. Quando invece il suono della voce diventa canto, supera la semplice sensazione. Il canto nasce da una strutturazione operata sugli accenti emozionali della voce, in base al ritmo, alla melodia e all'armonia, i mezzi musicali che l'uomo ha costruito elaborando i dati naturali. Per questo nel canto il soggetto può riconoscersi come essere senziente, ma svincolato dal suo asservimento al sentire come istinto naturale, liberato dalla sua animalità, e aperto a un sentire tipicamente umano, che si orienta verso il pensare, e che dal pensiero è arricchito e potenziato, un sentire che sa elevarsi dalla schiavitù delle passioni, e sa contemplarne l'essenza. Anche Hegel, come Rossini, nega valore alla mimesi psicologica, se è intesa come compito precipuo del musicale, ed è piuttosto a favore della costituzione di un sentimento riscattato dalle contingenze del quotidiano, reso puro, ridato alla sua originaria incontaminatezza. Naturalmente questa liberazione dell'interiorità da ciò che la incatena e la svilisce è capacità della musica intesa in senso complessivo, tuttavia la libertà cui può condurre il canto vero e proprio è maggiore, perché la voce non dipende da un materiale estemo al corpo, «nel canto l'anima risuona dal suo corpo proprio»[30].

    "Il corpo è realizzazione dell'anima, non è puramente strumento di cui l'anima si serve per la propria realizzazione. E quindi a sua volta la voce non è uno strumento che l'anima ha, ma ne è il corpo vero, la sua realizzazione"[31].

Per questa ragione la voce assume nell'estetica hegeliana il valore di modello del suono. Rispetto agli strumenti musicali essa è il vertice ideale, contiene «la totalità ideale dei suoni che negli altri strumenti si scompone solo nelle loro differenze particolari»[32]. La totalità di cui Hegel parla è ideale, non reale, e consiste nella possibilità di annullare la meccanicità del suono prodotto da strumenti[33]. In occasione di una lettera inviata al professar Ferrucci nel 1852, Rossini scrive che l'uso invalso di spingere il soprano, «la prima donna assoluta fino alla luna e il basso profondo nel pozzo», non è altro che «far vedere la luna nel pozzo»[34]. Non dice proprio, nel suo modo icastico e un po' canzonatorio, che non è necessario che tutti i suoni possibili siano realmente uditi, perché la voce mostri se stessa come luogo ideale del suono?

5. Il canto come simbolo dell'interiorità

Il procedimento che, nell'estetica hegeliana, conduce dalle interiezioni dell'animo al canto si chiarisce ulteriormente, se paragonato a quello che invece trasforma le stesse interiezioni in linguaggio. Tale approfondimento mette in luce la convinzione che Hegel e Rossini condividono sull'autonoma capacità di significazione della musica.

Il canto, per Hegel, è un simbolo del monosillabo passionale, ovvero dà a quest'ultimo una forma, grazie alla quale il soggetto coglie se stesso come capace di dar forma al proprio sentire. Solo nel canto «si ha la soggettività e indipendenza della forma»[35]. Ma questa forma non è, rispetto a ciò che plasma, qualcosa di totalmente estemo. Il simbolo infatti è interiormente legato a ciò che simboleggia. La ragione per cui una cosa è simbolo di un'altra sta nella natura di entrambe: esse hanno per lo meno un aspetto in comune[36]. Quindi il legame tra simbolo e simbolizzato non è posto in modo esclusivo dall'intelligenza umana, piuttosto è da essa scoperto e valorizzato. Altra è la via che conduce dalla voce, e dai suoi accenti, alla parola, ed è quella che elabora non il simbolo, ma il segno. Facendo del suono un segno l'uomo crea un'entità oggettiva, ben distaccata da sé. Quando è manifestata dalla parola, l'idea viene contemporaneamente svincolata dalla sua particolarità, dalla situazione immediata in cui è sorta, per assumere un valore universale, che la rende conservabile e comunicabile. Il segno è infatti convenzionale, esterno e indifferente a ciò che indica[37]. Non si deve pensare, tuttavia, che, essendo il canto simbolo dell'interno umano, il suo senso stia in qualcosa che lo precede - l'interiorità appunto, che i suoni si assumerebbero il compito di imitare - perché, invece, questo senso nasce col canto, con l'elaborazione sonora che il canto dà all'anima[38]. Se la parola e il discorso danno al suono una seconda esistenza «nell'universale»[39], il canto da parte sua fornisce all'interiorità l'occasione di rinascere dentro una forma, quella musicale, che la esalta, e al tempo stesso la modifica, arginandone gli aspetti incontrollati e gli eccessi individualistici e unilaterali. Questo non significa che l'interiorità venga ridotta dal canto a qualcosa di ragionevole, piuttosto esso la libera dal giogo di una passione limitante, per ridarla alla pienezza di un io colmo di sentimento.

In tutto il percorso concettuale fin qui compiuto non abbiamo incontrato alcun riferimento al testo verbale che viene musicato. La potenza espressiva del canto è considerata da Hegel un dato originario, solo successivamente va sollevato il problema della sua unione con le parole, e con l'orientamento che esse le conferiscono. D'altronde la distinzione simbolo/segno, usata per evidenziare le caratteristiche del canto e del discorso, mostra la loro diversità sostanziale in quanto a capacità espressive. Diversità che si manifesta anche quando musica e parole si associano per quelle forme o generi in cui alla musica è richiesta un'eloquenza simile a quella discorsiva. Questo succede, per esempio, quando il brano musicale deve esprimere oggetti, situazioni, eventi che vanno messi direttamente di fronte all'ascoltatore, che vanno fatti accadere, senza alcuna mediazione del sentimento soggettivo, perché possano presentare la loro intrinseca profondità, com'è il caso, afferma Hegel, di un Crucifixus. Anche in tali circostanze la musica comunica all'interiorità dell'ascoltatore solo la parte interiore dell'oggetto in questione, non la sua realtà esterna di fenomeno, ma il «suo significato ideale»[40]. Ne deriva che il legame posto tra la voce - e ancor di più il canto -, e la «regione» [41 ]dell'interiorità è antecedente a qualsiasi problema di interpretazione testuale, di necessità drammaturgica, di unità psicologica del personaggio, e può essere considerato la descrizione più adeguata possibile, e allo stesso tempo l'interpretazione più acuta, di un certo tipo di canto, quello che Rossini avrebbe definito «il cantar che nell'anima si sente»[42], ovvero il belcanto, che ha in Rossini il suo ultimo grande rappresentante.

A questo punto risulta chiaramente quale valore abbiano per Hegel la cantabilità della musica rossiniana, e l'attenzione che Rossini, cantante/compositore, riserva al canto, rendendolo significativo prima e, a volte, al di là di ciò che significano le parole che vengono cantate. Rossini è convinto che la musica sia in grado di 'dire' qualcosa di più e di diverso da ciò che il testo poetico dell'opera riesce a dire, essa è:

    "l'atmosfera morale che riempie il luogo, in cui i personaggi del dramma rappresentano l'azione. Essa esprime il destino che li persegue, la speranza che li anima, l'allegrezza che li circonda, la felicità che li attende, l'abisso in cui sono per cadere; e tutto ciò in un modo indefinito, ma così attraente e penetrante, che non possono rendere né gli atti, né le parole"[43].

 

6. Hegel e gli interpreti rossiniani

Dalla disamiina delle lettere da Vienna, successive alla 'conversione', emerge un altro dato interessante: Hegel, ormai giunto ad intendere nel modo giusto il primato della voce nella musica di Rossini, dispone ora di un criterio preciso per valutare le diverse interpretazioni che ha la possibilità di ascoltare:

    "ora comprendo perfettamente il motivo per cui la musica di Rossini in Germania, e soprattutto a Berlino, venga bistrattata: come il raso è fatto soltanto per le dame, infatti, il pasticcio di fegato d'oca soltanto per palati educati, così essa è fatta solo per gole italiane[...]Se David e la graziosa Dardanelli cantano insieme in tal modo, è difficile che venga qualcuno a muovere obiezioni alla composizione."[44].

Il discorso, per noi un po' curioso, aderisce perfettamente all'uso dell'epoca: in Italia i compositori scrivevano per cantanti già scelti in precedenza e componevano arie sulle loro possibilità vocali. Niente di strano quindi se l'esportazione di un'opera andava incontro ad interpretazioni non sempre adeguate[45]. Hegel diventa addirittura esigente per quanto riguarda l'interpretazione di Rossini, e questa nuova coscienza musicale, acquisita a Vienna, rimane il segno dominante anche del soggiomo a Parigi del 1827. Qui egli ammira in particolare due grandi interpreti rossiniane: Marie Felicitas Malibran, figlia del tenore Manuel Garcia, specialista delle parti di contralto rossiniano, e Benedetta Rosmunda Pisaroni, anch'ella interprete delle parti di contralto di Rossini. Quando Hegel ha occasione di ascoltare la Semiramide, interpretata dalla Pisaroni, registra per la moglie: «l'opera era eccellente sotto ogni rispetto: un'ottima esecuzione e una musica stupenda»[46], la prima dà valore alla seconda.

Aiutato dalle esperienze fatte nei due viaggi 'musicali' compiuti a Vienna e a Parigi, Hegel perviene anche a orientare il proprio personale discernimento tra le opere di Rossini. A Berlino, per esempio, secondo Hegel, non si fa giustizia al compositore italiano, perché ci si limita all'esecuzione dell'Italiana in Algeri, ed è ingiusto che «si giudichi la musica rossiniana in relazione a quest'opera, perché in tal modo non la si può certo apprezzare»[47]. Hegel e Stendhal percorrono, più o meno negli stessi anni, strade opposte per quanto riguarda la stima nei confronti della musica rossiniana. Stendhal si appassiona all'esordiente Rossini, poi il suo entusiasmo viene meno in seguito a quella che egli ritiene la seconda maniera dell'operista[48]. Hegel, al contrario, apprezza sempre di più Rossini, e le opere degli anni venti destano la sua ammirazione più delle prime.

7. Il rapporto musica-testo

Hegel si è ormai trasformato in un accanito sostenitore di Rossini, ma a noi serve ora tornare alle lettere viennesi, per ricordarne una che consente di aggiungere un ultimo pezzo al mosaico che stiamo costruendo. Ecco di nuovo Hegel a teatro, per il Barbiere di Siviglia (è già la seconda volta da quando è a Vienna), e questo è lo stupefacente commento:

    "Ho ormai viziato a tal punto il mio gusto che questo Figaro di Rossini mi piace infinitamente di più delle Nozze di Mozart, così come i cantanti suonano e cantano infinitamente più con amore[in italiano nel testo]- cosa stupenda, irresistibile, per cui non si può venir via da Vienna"[49].

Ancora una volta, come già nel primo passo dell'Estetica che abbiamo citato, ci troviamo di fronte a un'ambiguità di fondo. A Hegel Rossini piace, gli piace infinitamente più di Mozart, eppure tutto questo entusiasmo è allo stesso tempo il sintomo di un gusto viziato, corrotto. C'è un residuo di titubanza nel giudizio di Hegel su Rossini. Un'esitazione, che distoglie Hegel dal rompere ogni indugio, e dal farlo esclamare, come invece Schopenhauer: «datemi la musica di Rossini che parla senza parole»[50]. Non l'Epistolario, ma ancora una volta l'Estetica può illuminarci su questo punto: è il modo di intendere la relazione music/testo a rivelarsi un vero e proprio nodo gordiano. Prima di tutto non bisogna pensare che la questione di tale rapporto sia affrontata da Hegel in termini tipicarnente settecenteschi, ovvero basandosi sull'ipotesi astorica che una delle due arti (musica o poesia) debba prevalere sull'altra. Tale impostazione non tiene conto del fatto che il contenuto della composizione vocale non è mai uguale a quello del testo preso isolatamente di per sé, e questo sia nel caso di un equilibrio tra i due elementi, poesia e musica, sia nel caso di una loro divaricazione, nel senso del dominio di una sull'altra. Le parole, l'abbiamo visto, sono segni, dunque veicolano sempre rappresentazioni, che, per quanto appartenenti al mondo interno dell'uomo, sono vissute come un qualcosa di oggettivo, di contrapposto al soggetto; al contrario la musica è capace di riportare queste rappresentazioni nell'interiorità sentimentale, dando al contenuto del testo una qualità nuova, una rinascita dall'interno, che è impossibile alla sola parola. La musica implica «il mondo intemo delle sue rappresentazioni in quanto pervaso dalla concentrazione interiore del sentimento»[51].

Se questa possibilità della musica rimarca la sua distanza dalla concettualità del discorso, non giustifica tuttavia l'elaborazione teorica della sua superiorità sulla ragione e sulla parola, che di questa è l'espressione diretta. Hegel non condivide la Weltanschauung romantica secondo la quale la musica è la via d'accesso privilegiata all'ineffabile, al mistero che la ragione non sa cogliere. Per Hegel la conciliazione piena tra l'umano e il divino non si attua nell'arte, ma nella comprensione razionale. Sicché quando la musica vocale «fraternizza» [52 ] con le parole, - non si sottomette, ma nemmeno si sostituisce ad esse - resta nei confini che Hegel ha consegnato al mondo artistico. La musica vocale ha un solo modo per permettersi di trascurare le parole, senza disperdere il contenuto sostanziale che deve, secondo Hegel, caratterizzare l'arte: quello usato da Rossini. Ma, come vedremo, esso richiede ascoltatori capaci di non fermarsi alla superficie[53].

8. Il melodico e il caratteristico

Cominciamo con l'analizzare i modi in cui può diventare realtà musicale il sopracitato ideale di fratellanza tra suoni e parole. Nell' Estetica Hegel individua per la musica vocale due categorie: il melodico e il caratteristico, entrambe protagoniste di grandi forme d'arte, ma anche capaci di travalicare l'ideale artistico, esponendosi a dissoluzioni e scadimenti.

Il melodico è l'aspetto della musica che, in senso pregnante, è in grado di superare la naturalità del sentimento, per offrire all'anima il godimento di se stessa, della sua interiorità. Dice infatti Hegel: col melodico

    "il cuore non è sprofondato in altro, nel determinato, ma nella percezione di se stesso e così, come la pura luce che contempla se stessa, esso dà la più alta rappresentazione di una beata intimità e conciliazione"[54].

La melodia fa nascere il sentimento, lo rende vivido, e, allo stesso tempo, lo allontana, lo tiene a distanza. Carl Dahlhaus ci ricorda che

    "questa dialettica tra passione e interiorià, momento centrale nell'estetica musicale di Hegel, non si libra, come pensano i detrattori della filosofia musicale, nell'aria inconsistente dell'astrazione, ma si allaccia a un contesto musicale preciso"[55].

Il contesto tecnico, cui Dahlhaus allude, è il rapporto tra la melodia e la sua struttura ritmico-armonica, che in Hegel diventa il rapporto tra la necessità e la libertà. Il ritmo e l'armonia sono necessari alla melodia, senza che per questo essa divenga meno libera. Grazie ad essi la melodia «soddisfa la propria natura»[56], al punto che se facesse a meno di ritmo e armonia cadrebbe fuori da se stessa, nell'arbitrio, nella confusione dovuta all'assenza di una struttura. Del duplice carattere sentimentale, «enfatico e distanziato», del melodico Hegel vede un riscontro oggettivo «nel semplice fatto che ogni suono di una melodia si lascia determinare o spiegare, ma non dedurre da regole o prevedere»[57]. Le possibili derive del melodico sono la «trivialità» e la «vuotezza»[58], che sopraggiungono quando la divaricazione della melodia dal contenuto delle parole, e in genere da ogni contenuto, diventa totale.

La categoria del caratteristico risponde alla necessità di portare a espressione «il contenuto determinato, i rapporti e le situazioni particolari in cui l'animo si è immedesimato»[59]. Il caratteristico si immerge nella profondità del particolare, dando soddisfazione a un'esigenza dell'animo, che è naturale quanto quella insita nel 'raccoglimento' del melodico, e che sorge quando, di fronte a un sentimento suscitato, pretendiamo dettagli. In presenza di un lamento, per esempio,

    "la domanda immediata è: cos'è stato perduto? La vita con la ricchezza dei suoi interessi? La giovinezza, la felicità, la moglie, la persona amata, i figli, i genitori, gli amici?" [60].

La deriva del caratteristico consiste nella possibilità di avvicinarsi alla struttura sintattica e al ritmo del discorso, al punto da formalizzarsi in segno[61], e disperdere così le caratteristiche musicali. Le forme in cui le due categorie divengono realtà musicale sono facilmente intuibili. Il melodico domina in quelle composizioni in cui la musica non segue i dettagli particolari del testo, ma fa semplicemente risuonare la sua qualità fondamentale: caso esemplare è il Lied a strofe[62]. Paradigma del caratteristico è invece il recitativo. In esso il contenuto delle parole, «si imprime nei suoni con tutta la sua particolarità», la musica diventa «una declamazione»[63].

9. Il dominio del melodico

Da queste prime due emerge un'ulteriore necessità della musica: quella della mediazione [64] tra il melodico e il caratteristico/declamatorio, poiché col solo melodico i sentimenti particolari non emergono, col solo caratteristico la sfera propriamente musicale è posta in secondo piano dall'eccessiva vicinanza al discorso. Quest'area della mediazione è definita da Hegel il regno dell'«espressione concreta»[65], l'ambito nel quale è possibile inserire la produzione musicale che si fa carico del contrasto tra recitativo e melodia, che lo assume in sé proprio come contrasto, per poi scioglierlo, non tanto con soluzioni intermedie - come arioso o recitativo accompagnato -, ma assegnando sempre «la vittoria al melodico»[66]. La declamazione musicale ha diritto di esistere, e anzi deve esserci, ma solo come momento antitetico, che va necessariamente superato, e sul quale non è lecito indulgere eccessivamente. Se invece si giunge alla fissazione estrema dei tratti caratteristici, si «interrompe in modo dannoso il flusso e l'unità» [67]dello svolgimento musicale, e ci si pone contro «l'armonia della bellezza»[68]. La musica di Weber è, secondo Hegel, esempio sintomatico di tale regressione:

    "riso e pianto possono tuttavia disgregarsi in modo astratto ed erroneamente sono pure diventati in quest'astrazione un motivo d'arte, per es. il coro del riso nel Freischütz di Weber. Ridere è in generale l'esplosione di uno scoppio, che tuttavia non può rimanere privo di contegno, se l'ideale non deve andar perso[...] né d'altra parte deve entrare nell'opera d'arte ideale il pianto come strazio senza controllo; per esempio tale astratta inconsolabilità può essere ascoltata ancora una volta nel Freischütz"[69].

Ora risulta chiaramente che la frase del brano dell'Estetica citato all'inizio, in cui Hegel afferma che il caratteristico è il genere preferito dal «forte intelletto musicale tedesco», ha, come rileva Dahlhaus[70], natura ironica, e richiama alla mente la Fenomenologia dello Spirito e i limiti dell'intelletto che lì vi sono descritti.

Da quanto detto fin qui l'adesione di Hegel a Rossini appare scontata. Nessuno può negare a Rossini il primato della melodia, nemmeno i suoi avversari, ed è altrettanto manifesta la sua ostilità all'eccessivo uso del «declamato», che Rossini preterisce chiamare «abbaiato e stonato»[71]. Non a caso Hegel non distingue tra Rossini comico e Rossini serio, a differenza di molti suoi contemporanei, che sono disposti a dar credito all'uno e non all'altro, o viceversa, poiché ritiene che comicità e tragicità siano solo momenti che vengono superati dalla capacità del compositore di ricondurre tutto al principio melodico. Abilità che non consiste certo nel saper alternare le arie ai recitativi, quanto nell'evitare che la melodia sia dominata da fattori non dettati dalla logica interna al materiale musicale. Se Hegel fosse vissuto abbastanza da ascoltare la musica di Wagner, che al contrario preferisce conformarsi alla logica drammatica, crediamo proprio che avrebbe detto, come ha fatto Rossini, che «la melopea declamatoria è l'orazione funebre della melodia»[72].

La subordinazione della melodia a ciò che il testo e la situazione scenica hanno per contenuto è negativa, per Hegel, come per Giuseppe Carpani, che è tra i contemporanei di Hegel, uno dei più acuti sostenitori di Rossini, ma non certo perché la melodia è natura[73], come vorrebbe il Carpani, che anzi l'arte per Hegel è tale quando si allontana dalla natura elaborandola, permettendo all'uomo di riconoscervisi. Né perché suo scopo è dilettare, come sostiene lo stesso Rossini[74], perché l'arte nel sistema hegeliano è invece «chiamata a svelare la verità sotto forma di una configurazione artistica sensibile»[75], a manifestare cioè la conciliazione tra materia e contenuto, tra natura e uomo. Il melodico è il principio primo della musica vocale naturalmente se utilizzato da chi sa evitare di scadere nel «vuoto» e nel «triviale» - perché è l'unico in grado di far vivere il sentimento non nella sua carica individuale e realistica, ma nella sua universalità. È quanto sostiene anche Rossini per il quale «l'arte musicale italiana è tutta 'ideale ed espressiva', mai 'imitativa', come il vorrebbero certi filosofoni materialisti»[76]. Si può imitare solo ciò che è reale, ma se si vuole mostrare l'ideale bisognerà esprimerlo.

10. Sentimento sublimato virtuosismo

Siamo nuovamente trasportati al nocciolo della questione, alla natura bifronte del sentimento: per Hegel e per Rossini esso, come Giano, ha una faccia rivolta alla realtà come psicologicamente viene vissuta dai singoli, e una alla realtà come universalmente è. Questo secondo aspetto è ciò che interessa a entrambi come esito della costruzione musicale.

Le esigenze dell'azione scenica, lo sviluppo sentimentale di un personaggio, lo svolgimento realistico che la nascente drammaturgia romantica pretenderebbe, non sono in primo piano per chi, come Rossini, dipinge delle passioni non un ritratto, ma «una raffigurazione sublimata»[77].

Apparentemente questo vale soprattutto per l'opera seria, dal momento che quella buffa accoglie in sé molti spunti realistici. Si pensi anche solo al fatto che, mentre nell'opera seria dell'epoca le voci femminili prendono come modello il timbro asessuato e irreale dell'evirato, in quella buffa sono caratterizzate in modo molto più preciso, e decisamente contrapposte a quelle maschili. Tuttavia se da un lato nell'opera buffa rossiniana la musica «segue anche gli assunti psicologici che il testo le propone», dall'altro trova «il suo senso ultimo (...) nel trascenderli in un'esilarazione che tende ad agguagliare tutto in una sfera superiore al personaggio o alla situazione singola»[78]. Rossini riesce a dar corpo a ciò che per Hegel è «l'esigenza più profonda del comico»[79], che non si appaga di ridere della «stoltezza, dell'insensatezza, della stupidità», degli uomini, ma gode «nell'infinita certezza di sapersi elevare al di sopra della propria contraddizione e di non essere in questo per niente triste e infelice»[80]. Il Figaro del Barbiere, ad esempio, è un personaggio di questo tipo. Non sono gli altri, il pubblico, a ridere di lui, di qualche suo difetto, egli non è «oggetto del riso altrui», bensì egli stesso può «ridere di un riso libero e soddisfatto»[81], che è manifestazione del suo piacere per l'intrigo, e per l'avventura, ma in ultima istanza della sua gioia di vivere, della sua elettrizzante vitalità. Come gli altri personaggi del Barbiere anche Figaro è caratterizzato psicologicamente dalla musica di Rossini, e tuttavia più ancora che Figaro, quel Figaro, che canta quelle parole, che compie quelle azioni, egli è l'impulso primo di un'allegrezza che pervade tutta l'opera, di una comicità che «è celebrata come valore a sé»[82]. I personaggi comici di Rossini sono tanti sentieri diversi che confluiscono in un'unica grande strada maestra, quella dove indugia la soggettività felice, a volte felicemente distaccata dalla propria consapevolezza. Per Rossini dunque non contano molto i processi psichici dei suoi personaggi. Essi non sono individui in senso stretto, diventano piuttosto incarnazioni simboliche di alcune concezioni del mondo. Questa trasmutazione è possibile perché la musica, seria o comica che sia, non si risolve, nelle intenzioni di Rossini, in una traduzione di parole e di azioni, il suo modo di significare è diverso da quello del linguaggio, essa è «un nuovo linguaggio tutto suo proprio»[83].

Guardato da questa prospettiva anche l'uso continuo della coloratura non è, come è stato poi considerato, inutile sfoggio di virtuosismo. L'esasperazione dell'ornamentazione, da una parte, rende la scrittura rossiniana vicina al punto limite del formalismo inespressivo, perché il testo vi è come risucchiato dentro, la funzione significativa delle parole posta in secondo piano rispetto al loro valore fonetico, il tempo dilatato o addirittura sospeso; dall'altra però, proprio perché impedisce l'approfondimento psicologico soggettivo, riuscendo ugualmente a comunicare in modo immediato, racchiude la possibilità di dire il mondo dopo averlo valutato globalmente 'dall'alto', senza miopie. In questo modo

    "i personaggi non dominano più le situazioni: ne sono posseduti. Il reale perviene a una rappresentazione indipendente da loro: si vorrebbe dire a modo suo; si potrebbe dire oggettivamente. La musica rossiniana sembra veicolare una espressione obbiettiva del mondo"[84].

La coloratura, rigorosamente astratta e apparentemente asettica, in realtà non è un accessorio facoltativo per Rossini; la sua presenza ha, viceversa, i caratteri della necessità, il suo senso espressivo è preciso e voluto:

    "l'ornamento e il vocalizzo sono un'emanazione della musica intesa come arte ideale e quindi capacedi esprimersi, al di là dell'imitazione realistica e pedissequa, con il sussidio misterioso di 'accenti nascosti"[85],

capace cioè di aggiungere qualità sentimentali al testo. È l'estrema conseguenza della tesi hegeliana secondo la quale il testo musicato acquisisce una dimensione nuova, non decifrabile dalle sole parole. Per questo la figura della virtuosità, nella filosofia hegeliana, pur togliendo senso alle parole, genera un senso che si impone, facendo dimenticare ciò che è andato perduto, tanto più se gli abbellimenti sono anche iniziativa del cantante, e quindi ascoltarli significa avere davanti non l'opera ma il:

    "produrre artistico. In questa presenza del tutto vivente si trascura ogni condizione esterna, il luogo, la circostanza, il posto determinato della funzione religiosa, il contenuto e il senso della situazione drammatica; non si ha bisogno, né si vuole più alcun testo, non rimane che il suono universale del sentimento in genere, nel cui elemento l'anima dell'artista, che si fonda solo su se stessa, si dedica alla sua effusione, dà prova della sua genialità d'invenzione, della sua intimità d'animo, della sua maestria tecnica; e se questo accade con spirito, talento e amabilità, la stessa melodia può essere interrotta da scherzi, capricci e figurazioni, e può abbandonarsi all'estro e ai suggerimenti del momento"[86].

11. La 'profezia' di Hegel

Nel mosaico di cui parlavamo tutti i tasselli hanno trovato, a questo punto, dimora, e il disegno che ne emerge è quello di due personaggi le cui visioni del mondo (perché di questo si tratta, più che di concezioni 'musicologiche') si sono per un momento intrecciate. Nella musica di Rossini si frena «una rappresentazione del mondo rigorosamente immanentista e nel contempo immune da qualsiasi relativismo soggettivo »[87]. Hegel da parte sua coglie la somiglianza tra questa interpretazione del mondo e la sua filosofia, somiglianza che può essere rilevata solo tenendo presente che è il sentimento, per Hegel, la facoltà capace di riconoscere e apprezzare il firmamento di figure universali che la musica di Rossini costituisce. A livello del sentimento il soggetto hegeliano non è completamente consolidato, e cristallizzato nella forma della razionalità che si identifica consapevolmente con lo Spirito Assoluto. In qualche modo nel soggetto/sentimento sono possibili spazi di mobilità e di levità, che spariscono nel serio soggetto/ragione, spazi liberi dentro i quali può risuonare una musica che canta la gaiezza della vita, una musica che, anche sul fronte dell'opera seria, all'immagine tragica del mondo preferisce quella ritmico/vitale, che mette addirittura in scena la follia, e la follia felice.

Intanto il Romanticismo preme alle porte e, quando infine le spalanca, impone la sua visione tragica e grandiosa del mondo, il suo modo enfatico e sconvolgente di vivere i sentimenti, il suo mito del genio e del suo eroico travaglio sentimentale, il suo bisogno di utopie forti, la sua necessità di assolutezza. Basta pochissimo tempo, nemmeno l'arco di una generazione, perché il canto ornato, che tanto ha racchiuso dentro di sé, e tanto ha saputo comunicare, appaia incomprensibile, addirittura scandaloso nel suo disimpegno, anche sentimentale, ridicolo nella sua superfluità. Ne 1844 Hector Berlioz pubblica sulla Revue et Gazette musicale un breve romanzo, di genere utopico, che illustra esemplarmente questo trapasso culturale. Nell'immaginaria Eufonia, la città della musica del 2344, egli ambienta il dramma d'amore di un classico triangolo: due lui e una lei. Ecco come descrive Mina, la responsabile del tradimento e del successivo luttuoso epilogo: «ai grandi slanci dell'animo preferisce il canto fiorito, rifugge dal sogno»[88]. La storia si conclude con la morte dei tre protagonisti, ma riserva a Mina, la frivola e ambiziosa cantante che ama gli abbellimenti, una morte non voluta, non capita, non sublime, ma cruenta, squallida, laida, degna della fatuità che ella ha preferito nella vita e nella musica. Questo scritto ci dà l'esatta misura del travisamento, o meglio del ribaltamento di senso, che il canto fiorito, in particolare quello di Rossini, subisce da parte della nuova generazione romantica; ed è testimone della mentalità che comincia a emergere, e che si considera forte, perché è sorda alle tenui sfumature della delizia. Che può la grazia di fronte all'epica? La leggiadria di fronte al numero, geometricamente moltiplicato, degli strumenti? Neanche l'amore è più coniugato con la felicità, ma con la colpa, il dolore, la morte.

Il mondo musicale di Rossini, nel quale il soggetto/sentimento hegeliano si è riconosciuto, non può che apparire troppo 'leggero', irrimediabilmente sorpassato, sotto l'onda d'urto delle forze possenti che il Romanticismo fa esplodere, dalle quali Rossini, consapevolmente o meno, fugge, e alle quali Hegel fa fronte con armi (e allo stesso tempo fornisce armi) ben più rigide e salde del suo stesso sentimento musicale, tanto libero da permettersi apprezzamenti che le necessità nazionalistiche non riescono completamente ad accogliere. Forse è proprio l'irrompere di questo diverso modo di concepire il mondo la ragione per cui Rossini, a soli 37 anni, e all'apice della notorietà, smette di scrivere musica per teatro, ed è senz'altro la ragione per cui Hegel riesce a vedere nella musica di Rossini ciò che ad altri rimane celato, ma anche intuisce che ad essa verrà negata, in futuro, una corretta valutazione. Hegel sa che Rossini non è un prodotto di transizione, come lo liquideranno perfino epigoni hegeliani in Italia[89], e che la sua musica non è interpretabile semplicemente con le categorie, un po' avvilenti e certamente incapaci di individuare alcunché, del 'non più' e del 'non ancora'; allo stesso modo si rende conto che questa musica non trova una collocazione adeguata all'intemo dell'opposizione frivolo/impegnato, tanto meno dalla parte di tutto ciò che è semplice divertimento o arredo da salotto, come vorrebbero esaurirla (e metterla a tacere) alcuni critici[90]. Piuttosto le opere di Rossini vanno annoverate, per Hegel, tra le manifestazioni più alte e perfette di quella natura spiritualizzata che è il canto umano:

    "come l'uccello tra i rami, l'allodola nel cielo in modo sereno e commovente, cantano solo per cantare, come pure produzioni naturali, senza altro scopo e contenuto determinato, così accade al canto dell'uomo e all'espressione melodica"[91].

Qual è allora il motivo di tutte le esitazioni che - l'abbiamo rilevato - percorrono la stima di Hegel per Rossini? Il problema è quello che abbiamo accennato all'inizio, e non riguarda tanto Rossini quanto il suo ascoltatore: sa egli elevarsi a quella regione dello spirito che la musica di Rossini ha il potere di schiudere, usando la parola solo come un orientamento? Oppure si limita a percepire la discordanza tra la musica e la parola dimenticando del tutto la seconda, e cogliendo solo l'aspetto superficiale della prima? Con il linguaggio di Hegel potremmo dire che l'ascoltatore inadatto a Rossini si accontenta «del semplice suono sensibile e del bel suono», oppure coglie «nient'altro che l'abilità di un virtuosismo»[92], viene catturato solamente dal piacere fisico dovuto alle proprie orecchie, o in modo altrettanto esclusivo, da quello intellettuale dovuto alle proprie analisi. Forse Hegel non aveva torto a porsi tale quesito, dal momento che quelli che abbiamo esposto sono proprio i due modi in cui Rossini è stato storicamente mal interpretato. Da coloro che hanno visto nelle sue melodie ornate, nell'uso della coloratura, solo uno sfoggio tecnico, fine a se stesso, e da coloro che hanno considerato la sua musica semplicemente una manifestazione di edonismo, dettata dalla volontà di porre, al di sopra di qualsiasi altro scopo, l'eccitamento dei sensi[93]



[1] C. Dahlhaus, «Hegel und die Musik seiner Zeit», Hegel-Studien, Beiheft XXII, 1983, p. 337. ritorno

[2] G.W.F. Hegel, Ästhetik, a cura di F. Bassenge, II (Berlin - Weimar, Aufbau-Verlag, 1965), p. 317. ritorno
[3] G. Rossini, da una lettera del, 1852, indirizzata al maestro Giovanni Servadio, contenuta in L. Rognoni, Gioacchino Rossini (Torino, Einaudi, 1981), p. 303. ritorno
[4] G.W.F. Hegel, Lettere, a cura di P. Manganaro-V.Spada, (Bari, Laterza, 1972), p. 276. Si tratta della traduzione italiana di una selezione di lettere scritte da Hegel. Per l'intero epistolario cfr. Briefe von und an Hegel, a cura di J. Hoffmeister, 4 voll. (Hamburg, Verlag F. Meiner, 1952-61). L'ultimo volume (1960) è a cura di Fleichsig. ritorno
[5] Cit. in M. Brion, La vita quotidiana a Vienna ai tempi di Mozart e di Schubert (Milano, Rizzoli, 1991), p. 96. ritorno
[6] Hegel, Lettere, p. 277. ritorno
[7] Ibid., p. 28 I. ritorno
[8] Ibid., p. 282. ritorno
[9] Eleuterio Pantologo, La musica italiana nel secolo XIX. Ricerche filosofico-critiche (Firenze, Coen, 1823), contenuto in Rossiniana. Antologia della critica nella prima metà dell'Ottocento (Pordenone, Studio Tesi, 1992), p. 130. ritorno
[10] E. Michotte, Visite de R. Wagner à Rossini, (Paris, 1860), pubblicato a Parigi nel 1906, contenuto in Rognoni, op. cit., p. 397. ritorno
[11] Per la ricostruzione delle esperienze musicali di Hegel dall'infanzia alla morte cfr. A. Lazzerini Belli, «Figaro e il Filosofo. Le esperienze musicali di Hegel (1770-1824)», L'ErbaMusica, II, 1991, pp. 24-32. ritorno
[12] Hegel, Lettere, p. 284. ritorno
[13] Ibid., p. 287. ritorno
[14] E. Michotte, Une soirée chez Rossini à Beau-Séjour (Passy), 1858, pubblicato dal Conservatorio di Bruxelles nel 1910, p. 15. ritorno
[15] Cfr. R. Celletti, Storia del Belcanto (Firenze, La Nuova Italia 1986), cap. IV, in particolare § 2: «Caratteristiche della vocalità rossiniana», pp. 149-158. ritorno
[16] E. Michotte, Une soirée, pp. 7-8. ritorno
[17] Hegel, Ästhetik, II, pp. 291-292. ritorno
[18] A. Zanolini, Una passeggiata in compagnia di Rossini, Parigi 1836, contenuto in Rognoni, op. cit., p. 379. ritorno
[19] G.W.F. Hegel, Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften in Grundrisse, a cura di F. Nicolin e 0. Poggeler (Hamburg, Verlag F. Meiner, 1959), p. 379. ritorno
[20] G.W.F. Hegel, System der Philosophie, III: Die Philosophie des Geistes, a cura di Glockner (Stuttgart, Frommans Verlag 1929; «Sämtliche Werke - Jubiläumsausgabe»), p. 146 (_§ 401). ritorno
[21] Hegel, Enzyklopädie, § 299. ritorno
[22] Hegel, System, II: Die Naturphilosophie, p. 581 (§351). ritorno
[23] Hegel, Enzyklopädie, § 258. ritorno

[24] Hegel, Ästhetik, II, p. 277. ritorno
[25] Per il nesso soggetto-tempo-rnusica cfr. A. Lazzerini Belli, «Il Principe Igor. Variazioni sulla poetica strawinskiana», L'ErbaMusica, V, 1992, pp. 16-23. ritorno
[26] Hegel, Enzyklopädie, § 299. ritorno
[27] Hegel, System, II, p. 580 (351). ritorno
[28] Hegel, Ästhetik, II, p. 273. ritorno
[29] Ibid., I, p. 232. ritorno
[30] Ibid., II, p. 291. ritorno
[31] A. Nowak, Hegels Musikästhetik (Regensburg, Gustav Bosse, 1971), p. 55. ritorno
[32] Hegel, Ästhetik, II, p. 291. ritorno
[33] Hegel, System, II, p. 581 (§351). ritorno
[34] G. Rossini, da una lettera del 1852 al prof. Luigi Crisostomo Ferrucci, contenuta in Rognoni, op. cit.., p. 307. ritorno
[35] Hegel, System, II, p. 236 (300). ritorno
[36] Hegel, Ästhetik, I, p. 299. ritorno
[37] Hegel, Enzyklopädie, § 458. ritorno
[38] Hegel, Ästhetik, II, p. 329. Per la decodificazione dei rapporto musicalsentimento nell'estetica Hegeliana cfr. A. Lazzerini Belli, «Hegel e Liszt: un incontro sulla musica», Diastema, VIII, 1994, pp. 17-24. ritorno
[39] Hegel, Enzyklopädie, § 458. ritorno
[40 ] Hegel, Ästhetik, II, p. 304. ritorno
[41 ] Ibid., II, p. 266. ritorno
[42] G. Rossini, da una lettera del 1852 al maestro Giovanni Servadio, contenuta in Rognoni, op. cit., p. 303. ritorno
[43] Zanolini, Una passeggiata, contenuto in Rognoni, op. cit., p. 379. ritorno
[44] Hegel, Lettere, p. 287. ritorno
[45] Cfr. F. D'Amico, Il teatro di Rossini (Bologna, Il Mulino, 1992), cap. II: «Il compositore d'opera in Italia e in Francia al tempo di Rossini», pp. 41-46. ritorno
[46] Hegel, Lettere, p. 362. ritorno
[47] Ibid., p. 362. ritorno
[48] Cfr. Stendhal, Vita di Rossini [1824] (Torino, E.D.T., 1992). ritorno
[49] Hegel, Lettere, p. 288. ritorno
[50] A. Schopenhauer, Parerga und Paralipomena (Wiesbaden, F.A. Brockhaus, 1972), cap. XIX, § 219. ritorno
[51] Hegel, Ästhetik, II, p. 321. ritorno
[52] Ibid., II, p. 270. ritorno
[53] Con la musica strumentale il problema della capacità di comprendere ascoltando diventa, nell'Estetica di Hegel, primario. Non solo la musica strumentale è esposta al rischio di diventare semplice gioco architettonico, senza più sostanza, ma è in ogni caso un enigma per la maggioranza delle persone. Solo gli esperti sono in grado di intenderla, in questo modo però l'arte non è più, come secondo Hegel dovrebbe essere, fatta per il popolo. Cfr. Hegel, Ästhetik, II, pp. 319-323. ritorno
[54] Ibid., p. 309. ritorno
[55] L. Abraham-C. Dahlhaus, Melodielehre, Köln, Gerig, 1972, p. 29. ritorno
[56] Hegel, Ästhetik, II, p. 309. ritorno
[57] L. Abraham-C. Dahlhaus, op. cit., pp. 28-29. ritorno
[58] Hegel, Ästhetik, II, p. 309. ritorno
[59] Ibid., p. 310. ritorno
[60] Ibid., p. 309. ritorno
[61] Il recitativo secco era spesso costituito da formule fisse, di carattere convenzionale. ritorno
[62] Hegel, Ästhetik, 11, p. 310. ritorno
[63] Ibid., II, p. 31 I. ritorno
[64] Ibid., II, p. 312. ritorno
[65] Ibid., II, p. 313. ritorno
[66] Ibid., II, p. 316. ritorno
[67] Ibid., II, p. 317. ritorno
[68] Ibid., II, p. 316. ritorno
[69] Ibid., I, p. 161. ritorno
[70] Dahlhaus, op. cit.., p. 338. ritorno
[71] G. Rossini, da una lettera del 1852 a Crisostomo Ferrucci, contenuta in Rognoni, op. cit.., p. 307. ritorno
[72] Michotte, Visite, contenuto in Rognoni, op. cit.., p. 414. ritorno
[73] G. Cappani, Le Rossiniane ossia Lettere musico-teatrali (Padova, Minerva, 1824), dalla Lettera VII Contenuta in Rossiniana, cit., pp. 78-79. ritorno
[74] G. Rossini, da una lettera del 1868 a Lauro Rossi, direttore del Conservatorio di Milano, contenuta in Rognoni, op. cit.., p. 330. ritorno
[75] Hegel, Ästhetik, I, p. 64. ritorno
[76] G. Rossini, da una lettera del 1868 a Filippo Filippi, contenuta in Rognoni, op. cit., p. 335. ritorno
[77] Celletti, op. cit., P. 141. ritorno
[78] D'Amico, op. cit., p. 116. ritorno
[79] Hegel, Ästhetik, II, p. 552. ritorno
[10] Ibid., II, p. 553. ritorno
[81] Ibid., Il, p. 583. ritorno
[82] D'Amico, op. cit., p. 93. ritorno
[83] Zanolini, Una passeggiata, in Rognoni, op. cit.., p. 376. ritorno
[84] A. Baricco, Il genio in fuga (Genova, Il melangolo, 1988), p. 40. ritorno
[85] Celletti, op. cit., p. 144. ritorno
[86] Hegel, Ästhetik, II, p. 325. ritorno
[87] Baricco, op. cit., p. 45. ritorno
[88] H. Berlioz, Eufonia o la città musicale (Palermo, Sellerio, 1993), p. 42. ritorno

[89] Cfr. N. Marselli, La ragione della musica moderna (Napoli, Detken Libraio, 1859), p. 28 segg. ritorno
[90] Cfr. G. Mayer, «Hegel und die Musik», Beiträge zur Musikwissenschaft, XIII/2, 1971, pp. 154-155. ritorno
[91] Hegel, Ästhetik, II, p. 309. ritorno
[92] Ibid., II, p. 276. ritorno
[93] Per la riscoperta novecentesca di Rossini, che prende avvio proprio dalla negazione di queste due parziali chiavi di lettura, cfr. Celletti, op. cit., p. 19 segg. ritorno
Il presente saggio è stato pubblicato sulla Revue Belge de Musicologie, vol. IL, 1995, pp. 211-230








Postato il Domenica, 11 novembre 2007 ore 16:48:27 CET di Agnese Indelicato
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