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Umanistiche: Lo sviluppo della musicalità nei bambini da 0 a 36 mesi

Rassegna stampa


A lezione con i neonati - Lo sviluppo della musicalità nei bambini da 0 a 36 mesi

di Paola Anselmi

"Educare i bambini non significa farli uscire dallo stato di vuoto musicale in cui si suppone essi si trovino, per portarli a un determinato livello di competenza, al contrario significa sviluppare una attività ludica già presente in loro……… riscoprendo il senso di una reale "non direttività"……esiste in ogni bambino una tendenza e noi in definitiva la rispettiamo, la rispettiamo e la incoraggiamo*."
Francois Delalande così scriveva nel 1984, e nel suo scritto possiamo riconoscere il nodo centrale di questa nuova pedagogia della musica dedicata alla primissima infanzia, che getta le sue radici nella Music Learning Theory* di Edwin E. Gordon, ricercatore statunitense. Abbandonata definitivamente la teoria della "tabula rasa", che vedeva il bambino come una scatola vuota da riempire, peraltro con grande ingerenza delle aspettative degli adulti che si occupavano della sua educazione, la nuova pedagogia riconosce il neonato come un individuo ricco e "straordinariamente sofisticato*", che possiede in se' fin dalla nascita, tra le altre, una forte attitudine musicale: se opportunamente sollecitata e stimolata può guidare il bambino, ogni bambino, verso l'apprendimento del linguaggio musicale; se ignorata o mal sollecitata tenderà a calare rapidamente. D'altronde è un dato di fatto ormai consolidato che la finestra di apprendimento più importante è proprio quella che va dalla nascita ai tre anni, finestra a lungo trascurata nella educazione musicale tradizionale.

Le ricerche condotte nell'ambito dell'apprendimento musicale confluite nella Music Learning Theory e in nuove correnti della pedagogia musicale per la primissima infanzia, la cui principale esponente si può riconoscere in Beth M. Bolton, hanno così evidenziato l'importanza di iniziare il processo di educazione alla musica fin dai primi mesi di vita, con modalità che rispecchiano il processo di apprendimento del linguaggio verbale e che vanno a strutturarsi in un vero e proprio metodo didattico.
L'apprendimento del linguaggio verbale rappresenta a tutt'oggi uno dei processi più naturali e spontanei per ogni bambino: esposto sin dai primi giorni di vita a sollecitazioni verbali, immerso in ambienti densi di linguaggio verbale, il bambino comincia a costruire il proprio vocabolario personale. Un vocabolario tanto più ampio, quanto più saranno state ampie, varie e corrette le sollecitazioni offerte; tanto più facile l'apprendimento se alle sollecitazioni sono seguiti forti spazi di silenzio, che danno la possibilità al bambino di elaborare tutte le informazioni raccolte. I maggiori artefici di questi stimoli sono nella prima fase della vita, i genitori e le persone più affettivamente legate al bambino: egli riconosce in mezzo a molti altri suoni e rumori il suono della lingua madre, così come riconosce la voce della mamma in mezzo a molte altre voci.

Come in qualsiasi processo di apprendimento risulta fondamentale quanto naturale una lunga fase iniziale di ascolto: il bambino sta assorbendo le informazioni, le sta elaborando con l'obiettivo di "uscire allo scoperto" quando si sentirà pronto a farlo: nessuno quando parla con lui o accanto a lui in maniera anche sintatticamente complessa o utilizzando vocaboli difficili si aspetta che il bambino "comprenda concettualmente" o risponda immediatamente allo stimolo, ma piuttosto si rimane sempre incredibilmente affascinati e sorpresi nel seguire il cammino di apprendimento linguistico di ogni bambino, cammino che attraversa più fasi: da un lungo periodo di assorbimento alla lallazione spontanea, dalla scelta di interagire con semplici paroli o contrazioni di esse che focalizzano una intera frase (che spesso solo le mamme capiscono) alla costruzione di frasi vere e proprie, fino alla capacità di esprimere attraverso il linguaggio concetti, idee, bisogni, emozioni, forti dell'ampiezza del vocabolario che ogni bambino ha costruito dentro di se'.
A questo proposito è bene sottolineare come frequentemente nella consueta didattica per bambini, laddove i bambini "fanno musica" in gruppi, la tendenza è sempre stata quella di chiedere a tutto il gruppo di fare qualcosa nello stesso momento; stiamo ignorando due aspetti fondamentali: la forte differenza di risposta ad una stessa proposta o sollecitazione da parte di ciascun bambino e le tendenze personali di ciascun bambino. Se io ti chiedo di fare mi aspetto che tu faccia, ho creato una aspettativa; se voglio guidare il bambino, che significa accompagnarlo per mano a scoprire e esprimere le sue tendenze personali musicali, non posso creare nessuna "mia " aspettativa, ma semplicemente offrire delle proposte; la risposta di ciascun bambino mi "insegnera ad insegnargli", a capire quale la strada migliore per facilitare l'apprendimento di un linguaggio.
Non a caso nella metodologia di cui trattiamo si parla di "guida informale" almeno nelle prime fasi del percorso di apprendimento in cui accompagniamo il bambino: all'interno delle classi gli insegnanti propongono dei modelli e aspettano che ciascun bambino si relazioni alla proposta secondo le proprie personalissime modalità.

Nello stesso modo in cui ogni bambino viene linguisticamente esposto a stimoli differenti, varietà, ripetizione e complessità delle proposte daranno al piccolo individuo la possibilità di costruire un proprio vocabolario musicale che gli permetterà di apprendere il linguaggio e utilizzarlo come straordinaria opportunità di espressione e comunicazione.
Purtroppo nella tradizione culturale del nostro paese il panorama degli stimoli musicali per bambini risulta assai povero. I repertori a loro dedicati (canzoncine, filastrocche, ninne nanne….) contengono quasi esclusivamente melodie in modo maggiore (raramente in minore) e in metro binario: come se agli enormi passi della ricerca in campo psico-pedagogico non fosse seguito un opportuno aggiornamento del repertorio musicale dedicato alla prima infanzia. Tutto è ancora basato sull'idea che le musiche per bambini devono essere semplici: mi chiedo perché visto che il nostro intento, così come nel linguaggio verbale, non è quello di far loro ripetere qualcosa, ma di assicurare loro un ventaglio ampio di conoscenze che contribuisca a paralleli percorsi educativi e di apprendimento.
Oltretutto la quasi nulla differenziazione ritmica e tonale fa si che il bambino non riesca a vivere uno dei passi fondamentali dell'apprendimento: imparare dalle differenze. Tanti più stimoli diversi avrà l'opportunità di ascoltare e sperimentare tanto più affinerà la sua capacità discriminatoria, avendo a disposizione la possibilità di mettere in relazione parametri diversi e così distinguerli con precisione.
La sollecitazione dei bambini con ampia varietà di modi e metri viene applicata in queste nuove teorie, come accennato prima, attraverso la presentazione di "modelli". Gli insegnanti agiscono come dei "genitori musicali" all'interno delle classi, cantando, recitando ritmi e muovendosi in modo fluente in un atmosfera di grande comunicazione. Ai bambini non viene chiesto di fare nulla, ma semplicemente di "essere" e di "sentire". Durante gli incontri vengono utilizzate melodie in vari modi (maggiore, minore, dorico, misolidio, lidio, frigio, locrio, multitonale) e vari metri regolari e irregolari. In una prima fase di acculturamento le proposte tonali sono melodie senza parole, così come le proposte ritmiche sono sequenze recitate con sillabe neutre. Inizialmente infatti la presenza delle parole distoglie il bambino dall'evento melodico o ritmico, concentrandolo su quello che è il suo linguaggio più familiare, quello verbale (quanti dei nostri figli tornano dal nido o dalla scuola materna canticchiando canzoni perfettamente mandate a memoria ma prive di qualunque "movimento" musicale). Per questo l'applicazione del testo avviene quando il bambino ha già guadagnato in consapevolezza e in familiarità con le melodie e i ritmi proposti. Di fondamentale importanza anche la varietà degli stili (va bene lo stile jazzistico come quello melodico) e la varietà dei timbri vocali; tutto eseguito con grande espressione: i bambini molto piccoli, non ancora in grado di comprendere concettualmente il significato di ciò che gli viene detto, comprendono invece l'intonazione della voce che gli parla, e da quella intonazione avvertono se il messaggio che gli è rivolto è positivo o negativo.

Alla varietà e complessità delle proposte si affianca "prepotentemente" l'uso del movimento. La prima vera risposta del bambino alla musica è attraverso il movimento: è molto frequente nei bambini molto piccoli che per lungo periodo la loro interazione musicale con gli adulti sia quasi esclusivamente vissuta attravero il corpo. I neonati tendono a fermare completamente l'attività fisica durante le proposte per poi riprendere vita negli spazi di silenzio che seguono alle attività e tendono a rispondere al ritmo molto più con movimenti del corpo che con vocalizzi o lallazioni.
A proposito di movimento Gordon ha reinterpretato e compreso nella M.L.T la teoria sul movimento messa a punto negli anni '70 da Rudolf Laban, coreografo e danzatore, che comprende quattro elementi fondamentali del movimento legati alle fasi di crescita del bambino: il movimento fluente (caratteristico dei neonati), il peso (quando il bambino comincia a sedersi o rotolare, quando acquisisce abbastanza autonomia corporea da cambiare posizione da solo), lo spazio (la capacità di spostarsi nello spazio che lo circonda), il tempo (raggiunta una sicura autonomia di spostamento la capacità di decidere "l'andamento"); la fase finale di acquisizione di questi 4 elementi porta alla consapevolezza del movimento fluente con pulsazioni: significa aver compreso cosa divide una pulsazione dall'altra, lo spazio che intercorre tra le pulsazioni, il vero fluire del tempo.

Ho già accennato precedentemente all'importanza del silenzio come momento focale di elaborazione e quindi di apprendimento: Gordon sostiene (ed io sono assolutamente d'accordo) che proprio in quello spazio di silenzio si attua il processo che va verso la consapevolezza musicale, definita in lingua originale "audiation". Potremmo tradurla in italiano come "pensiero musicale" ovvero la capacità del bambino di sentire dentro di sé il suono anche se non fisicamente presente nell'ambiente. Di fatto, sempre mantenendosi collegati al linguaggio verbale "il pensiero sta alla parola come l'audiation sta alla musica" e noi guidiamo i bambini a pensare musicalmente e ad esprimersi secondo un proprio vocabolario così come vengono guidati fin dalla nascita a pensare per poi esprimersi verbalmente.
Questo significa dare l'opportunità a ciascun bambino di approdare ad una istruzione formale musicale (dallo studio di uno strumento a qualunque altra esperienza che implichi una formalizzazione) già consapevole del significato di eventi fondamentali melodici e ritmici. D'altronde quando un bambino approda alla Scuola elementare (quindi all'istruzione scolastica "formale") già ben conosce il significato di parole, frasi, periodi che imparerà a leggere e a scrivere.

Durante il percorso che viene definito di "audiation preparatoria", ogni bambino attraversa più fasi: dall'assorbimento all'interazione casuale e intenzionale; gli insegnanti si relazionano al bambino prendendo e imitando le sue risposte e riportandole nel modo e nel metro in cui era stata proposta l'attività (come dare al bambino che storpia la parola il termine corretto). Questo rinforza molto anche la sicurezza di ogni bambino che si sente a suo agio nello spazio che gli è riservato in quella classe, in armonica convivenza con lo spazio di tutti gli altri.
A poco a poco i bambini cominciano a dare risposte corrette musicalmente o a proporre piccole frasi improvvisate fino al raggiunimento di una buona coordinazione tra respiro, movimento intonazione e ritmo e danno vita a vere e proprie conversazioni musicali con gli insegnanti Siamo all'ultima fase dell'audiation preparatoria: Assimilazione. Il bambino esprime consapevolmente; non sta imitando l'insegnante ma sta esprimendo in maniera corretta competenze che gli appartengono.
Il raggiungimento di uno stadio di consapevolezza prescinde dall'età anagrafica del bambino: si parla di età musicale e non di età anagrafica; tanto prima un neonato sarà stato esposto al fenomeno musicale, tanto prima raggiungerà un buon grado di consapevolezza musicale.
Di fondamentale importanza risulta in tutto questo la presenza degli adulti nelle classi (genitori o educatrici negli asili nido), che potenziano e rafforzano i modelli degli insegnanti, aiutando i bambini a fidarsi di loro.
Ormai da 5 anni ho cominciato a lavorare negli Asili nido, dove questa esperienza entrata in punta di piedi ha incontrato a poco a poco la fiducia e l'entusiasmo delle Istituzioni oltre che dei gruppi educativi; proprio nelle classi degli Asili nido si vivono le esperienze più ricche e si trova la conferma di quanto il coinvolgimento delle educatrici determini la crescita musicale e globale di tutti i bambini: spesso attraverso questa esperienza si riescono a trovare le chiavi di accesso anche ai bambini più problematici.
In chiusura posso solo aggiungere che il mio intento e quello di tutti gli insegnanti che lavorano con me è semplicemente regalare ai bambini una possibilità espressiva e comunicativa in più; accompagnarli ad aggiungere un tassello a quello straordinario mosaico che ogni bambino rappresenta.









Postato il Sabato, 17 maggio 2008 ore 00:10:00 CEST di Agnese Indelicato
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