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Umanistiche: Minimalismo ovvero "La poetica della rinuncia"

Rassegna stampa
Minimalismo

"Minimalismo, percorso sonoro verso il de-monocromatico senso artistico. Stacco dal bianco e nero per fiorire in miriadi di composizioni pantone. Limitazione barocca eclettica. Sintassi numerica frattale, ipertestuale, connessa a risvolti e lampi melodici, giochi, divertimenti rappresentativi dell'anima su due note. Note di A different card, l'altalena di Ariel, la cabala di Greenaway, un metrò suburbano. Un percorso verso la scoperta del minimo, esponente al massimo."

Minimalismo massimalista

Il minimalismo si può definire "la poetica della rinuncia": rinunciare a continui cambiamenti di rotta negli intrecci compositivi, spesso tanto facili quanto inconcludenti, sicuramente d'effetto, ma molto poco rigorosi; rinunciare a confondere le idee con continui cambi, come fanno tanti gruppi cross-over, e lavorare, invece, con gli stessi materiali poveri, con l'obiettivo di massimizzare il tutto. Paradossalmente, quindi, il processo compositivo minimalista consiste nella massimizzazione del materiale!
Il minimalismo esiste dagli anni '60, ma negli anni '90, in pieno cross-over ed in pieno post-modernismo, acquista ancora più senso in quanto realmente riesce a sintetizzare mondi musicali originariamente molto distanti: la cosiddetta musica "classica" e la cosiddetta musica "rock", con tutta l'ambiguità cui questi termini ci costringono. Oltretutto, il minimalismo con la sua ideologia squadrata, con la sua poetica chiara, con la sua forte disciplina, si contrappone alla bolgia dell'indefinito, al marasma ideologico ed al relativismo radicale che hanno caratterizzato gli anni '90, rischiando di "contaminare" anche il nuovo decennio/secolo/millennio. Se tutto, troppo, diventa relativo, allora tutto è lecito e l'unica cosa che rimane è il mercato! Quindi, curiosamente, il minimalismo da un lato, pur restando un fenomeno minoritario, marginale, può assurgere a rappresentare lo spirito migliore degli anni '90, (l'apertura mentale e la contaminazione culturale derivante), ma, contemporaneamente dall'altro, può rappresentarne il principale detrattore.

Andreas Perugini

   

    *
      Note minimali

      La definizione : si deve al compositore inglese Michael Nyman che, in qualità di critico musicale, intorno al '68, introdusse il termine per identificare, in modo estremamente sintetico ed efficace una forma musicale che andava sviluppandosi e diffondendosi negli Stati Uniti caratterizzata, per così dire, da una estrema riduzione delle trame sonore.
      A tale termine è associato quello di musica "ripetitiva", dato che lo sviluppo della composizione avviene per mutamenti graduali, finanche impercettibili, con modalità "ripetitive".
      La ripetitività rimanda infine alla pratica della meditazione (meditative music), che connota parte, almeno, del minimalismo.
      Gli autori : almeno quattro i padri riconosciuti negli Stati Uniti :

          o La Monte Young
          o Terry Riley
          o Steve Reich
          o Philip Glass

    L'opera di questi autori, iniziata negli anni sessanta, si è diffusa assai rapidamente allargandosi dalla stretta cerchia degli addetti ai lavori al vasto pubblico, sia negli Usa che in Europa, con gli anni settanta e ottanta, con molteplici collaborazioni con musicisti di varia estrazione.

    Valgano per tutti :

          o
            Terry Riley con John Cale (del gruppo Velvet Underground)
          o
            Steve Reich con Pat Metheny
          o
            Philip Glass con Ravi Shankar.

    La Monte Young e Terry Riley, e solo in parte anche Philip Glass, rappresentano gli ambiti più legati agli influssi culturali della musica indiana e del misticismo orientale, e conseguentemente della fruizione dell'esperienza musicale come affine alla meditazione.

    In Europa : il lavoro sviluppatosi negli Stati Uniti ha trovato una propria originale evoluzione in Gran Bretagna con autori quali Michael Nyman, Gavin Bryars, Michael Brook e Brian Eno, quest'ultimo più orientato decisamente verso l'ambient music.

    Il minimalismo europeo si è diversificato da quello americano con la perdita della connotazione mistico-spirituale ed il recupero della tradizione e della armonia della scrittura musicale occidentale.

    In Belgio spicca la figura del compositore e musicista Wim Mertens che, nato con l'esperienza Soft Verdict, è andato proseguendo con una sua personalissima strada di minimalismo intimista e romantico.

su Riferimenti discografici "minimali"

    * La Monte Young
      Dream House (Shandar, 1973)
      Well-Tuned Piano (Gramavision, 1978)

   

    * Terry Riley
      In C (Columbia, 1970)
      Church of Antrax (Columbia, 1971) con John Cale
      A Rainbow in Curved Air (Columbia, 1971)
      Persian Surgery Dervishes (Shanti, 1972)
      Cadenza on the night plain (Gramavision, 1985) con il Kronos Quartet
      Salome dances for peace (Nonesuch, 1989) con il Kronos Quartet

    * Steve Reich
      Drumming (DG, 1974)
      Music for 18 musicians (ECM, 1978)
      Octet, Music for large ensemble, violin phase (ECM, 1980)
      Desert Music (Nonesuch, 1985)
      Different Trains (Nonesuch, 1989) con il Kronos Quartet e Pat Metheny

   

    * Brian Eno
      Music for airports (Editions EG, 1978)

glass
   

    * Philip Glass
      Einstein on the beach (Columbia, 1979)
      Satyagraha (Columbia, 1981)
      Dance pieces (Columbia, 1981)
      Koyaanisqatsi (Antilles, 1983)
      Solo piano (CBS, 1989)
      Music in Twelve parts (Virgin, 1989)
      Passages (Private, 1990) con Ravi Shankar

    * Michael Nyman
      Decay music (Obscure, 1976)
      The Draughtman's contract (DRG, 1984)
      Kiss (Editions EG, 1985)
      A Zed and two noughts (That's entertainment, 1985)
      Drowning by numbers (Venture, 1988)
      Prospero's books (Decca 1991)
      The piano - Original music (Venture, 1993)
      Live (Venture, 1994)

    nyman

    * Gavin Bryars
      Three viennese dancers (ECM, 1987)
      After the requiem (ECM, 1991)
      Jesus' blood never failed me yet (Point music, 1993)

   

    * Michael Brook
      Hybrid (Editions EG, 1985)
      Sleep with the fishes (4 AD, 1987) con Pieter Nooten)
      Cobalt blue (4 AD, 1992)

 
wim
   

    * Wim Mertens
      Soft Verdict : Vergessen (Les disques du crepuscule, 1982)
      Soft Verdict : Struggle for pleasure (Les disques du crepuscule, 1983)
      Maximizing the audience (Les disques du crepuscule, 1985)
      A man with no fortune and with a name to come (Les disques du crepuscule, 1986)
      The belly of an architect (Les disques du crepuscule, 1987)
      Shot and echo (Les disques du crepuscule, 1993)
      Epic than never was (Les disques du crepuscule, 1994)
      Jardin clos (Les disques du crepuscule, 1996)
      Interger valor (Les disques du crepuscule, 1998)


su Minimalismo

Sappiamo quanto normalmente le parole riferite alla musica siano spesso inutili e fuorvianti. L'organizzazione dei suoni (e la loro disorganizzazione) è l'esercizio artistico meno codificabile e le definizioni, i neologismi, i riti che accompagnano l'imposizione di un nome a una presunta scuola creativa e quindi la nascita linguistica dei generi, sono pratiche insopportabili. La storia della critica moderna è cosparsa di clamorosi fiaschi da questo punto di vista: nel momento in cui si cataloga artisti e opere, c'è sempre qualcuno che esce dagli schemi testè approntati, e la divisione in generi salta di fronte all'evolversi della creatività e della ricerca. Queste considerazioni non salvano neanche la definizione di minimal music, tanto che l'evoluzione degli stili e l'investigazione estetica dei suoi artefici storici, hanno partorito evoluzioni e contaminazioni successive.
Eppure nel caso del minimalismo, il valore etimologico e descrittivo di questa parola (soprattutto nell'accezione inglese, minimal) mantiene intatto un suo fascino e, diciamo, rende bene l'idea.

Il gruppo di musicisti americani che ha lavorato all'idea di stasi in musica, a partire da La Monte Young, e poi con Terry Riley, Steve Reich fino a Philip Glass (che ne è diventato l'autore più conosciuto e più rilevante come longevità e capacità produttive), ha orientato il proprio interesse proprio nella meticolosa scomposizione delle scritture minime del suono. Il procedimento applicato è quello delle microvariazioni e sovrapposizioni progressive con strutture spesso matematiche che assumono contemporaneamente una valenza ritmica e melodica. In questo modo la conformazione della ripetività penetra fino alle fibre impercettibili del suono, in apparente contrapposizione a ciò, si moltiplicano fino al parossismo le combinazioni timbriche.

Ogni suono ha ritmi e respiri autonomi e trasmette all'ipotesi strutturale un turbinoso senso di vita: micromusica, linguaggio molecolare che esprime in ogni particella un'economia propria, trasformatrice e statica allo stesso tempo. Niente di meglio è chiamare tutto questo: minimalismo. Di conseguenza ci piace pensare al minimalismo non come a una corrente (oppure come tale è finita proprio con Philip Glass), né come a un vero e proprio movimento artistico. Semmai preferiamo considerarlo una tecnica compositiva, applicabile fra l'altro a tanti altri maestri della stasi e del silenzio.

Negli anni Sessanta l'espressione minimal art era stata usata anche nell'ambito delle arti figurative, e soprattutto nella scultura. Il filosofo tedesco Richard Wollhein aveva usato questo termine proprio per spingere a rivedere l'arte come riduzione al minimo nel decorativismo, preferendo l'impiego di moduli elementari e di strutture geometriche.

Fu poi Michael Nyman, nel suo celebre libro Experimental Music, Cage And Beyond, pubblicato in Inghilterra nel 1974 ad applicare per la prima volta questo termine alla musica.
Ma l'indagine verso l'essenza del suono ha origine dall'uso della scala cromatica e cioè la possibilità di muoveresi con autonomia sui gradi della medesima. Questo già lo faceva Mozart (forse il Quartetto n. 19, quello che sarebbe passato alla storia con la catalogazione K 465 e il soprannome Le Dissonanze, pubblicato nel 1785, insegnerebbe ancora molto ai conformisti non pentiti di oggi), ma anche Beethoven (l'ultimo Beethoven), e soprattutto Debussy (ascoltare Prélude à l'Après-midi d'un Faune del 1894). L'uso del cromatismo in seguito si è intensificato tanto da determinare il superamento del concetto stesso di tonalità.
La base del nuovo sistema musicale divenne la scala cromatica in tutte le sue possibilità equiparate, annullando così ogni differenza fra nota non alterata e nota alterata. In questa dilatazione del concetto di tonalità, il cromatismo perse la sua funzione. Con i minimalisti si arriva poi ad un'idea di neo-tonalità, con modi ispirati spesso a culture musicali non occidentali.
   



Glass, come Reich, fu allievo di Darius Milhaud e da questi forse mutuò un'embrionale attrazione verso le culture extraeuropee, le sovrapposizioni politonali e una leggera vena melodica.

E i loro studi si collegarono inizialmente e in maniera non ortodossa con la tradizione colta europea, quella francese, in qualche modo alternativa a Wagner. Milhaud infatti aveva lavorato all'ambasciata francese in Brasile e aveva conosciuto l'etnia musicale di quel paese. Era tornato a Parigi e aveva frequentato Satie. Da queste esperienze (e dal suo soggiorno negli Stati Uniti) aveva ereditato le influenze più disparate, dai ritmi sudamericani, al jazz, alla politonalità, e la sua opera si era distinta per i ritmi particolarmente complessi e per le spericolate sovrapposizioni di suoni.

I fermenti e gli ideali estetici dei minimalisti americani si affermarono anche nell'ambito della musica colta allontanandosi proprio dalla dodecafonia, rifiutando cioè le alchimie del Novecento europeo e introducendo elementi di culture musicali lontane: nuovi valori e differenti ruoli vengono attribuiti alla melodia e alla ritmicità, e il "totale continuo" riconquista una produzione di musica non più come espressione e condizionamento storicistico, ma suono come essenza. Possiamo trovare molti legami dal rifiuto dei dogmi atonali "occidentali" da parte di autori come John Cage e Karlheinz Stockhausen e l'idea di scomposizione del suono in La Monte Young, in Glass e negli altri minimalisti.

Il fascino della cultura musicale indiana diventa così un metodo di analisi e gli equilibri fra la materia sonora e il vuoto tentano di trovare qual'è "il suono della musica che ascolta se stessa". (Ci verrà concesso, durante questa vita, di ascoltare The Lower Map Of The Eleven's Division In The Romantic Symmetry (Over A 60 Cycle Base) In Prime Time From 112 to 114 with 119, un brano di La Monte Young della durata di tre ore per 23 musicisti, un lungo om per una inusuale orchestra da camera?).
La stessa esperienza con la trascrizione in segni occidentali dei suoni di Ravi Shankar che Glass condusse a Parigi negli anni Settanta, è stata determinante per la sua successiva opera di compositore. Si può affermare che il minimalismo è stato il primo scopritore di una possibile world music, in anticipo nei confronti delle nuove correnti e in contrapposizione non banale con esse. La scoperta di altre radici per la propria capacità compositiva ha evidenziato l'esistenza addirittura dei quarti di tono nelle culture arabe, indiane e africane. L'uso di frazioni di tono su strumenti per niente temperati portano in queste culture musicali a una sorta di primitivo minimalismo naturale, molto diverso da quello occidentale, ma non per questo incapace di offrire basi teoriche e operative seducenti.

Lo stesso Glass usa correntemente un massimo di cinque-sei suoni (fino ad arrivare a una riduzione estrema di due), organizzati con sistemi consequenziali e a blocchi: senza incisi e punti di appoggio melodici, ma con un diffuso senso tematico, attraverso proprio la sovrapposizione di temi e ritmi nella ricerca di una sorta di pieno continuo (esercizio in cui il ritmo diventa esso stesso tessuto melodico, alla maniera appunto delle musiche estra-occidentali).
Come chiamare tutto ciò, se non minimalismo?

Giampiero Bigazzi


     
         

 








Postato il Mercoledì, 07 gennaio 2009 ore 16:50:19 CET di Agnese Indelicato
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