Anzi, si può sostenere che ogni governo li abbia presi a modello per la sua organizzazione: non per niente alcune schiere celesti portano nomi inequivocabilmente "governativi": «Troni», Dominazioni», «Potestà», «Principati». E poi gli angeli sono chiamati a ricoprire «uffici» e a compiere «missioni» tal quale un terrestre ambasciatore o un sottosegretario ministeriale... Insomma, dacché lo pseudo-Dionigi l’Areopagita intitolò De coelesti hierarchia l’opera che alle superne essenze volle dedicare, la scala del potere deve agli angeli un riferimento fondamentale.
Certo, l’ultima cosa a cui penseremmo davanti a un ministro moderno è che abbia delle ali di scorta nell’auto blu. All’opposto, ci sembrerebbe di far torto a cherubini e serafini paragonandoli a un pubblico amministratore. Eppure non la pensa così il filosofo Giorgio Agamben, curando insieme con Emanuele Coccia per Neri Pozza la monumentale antologia Angeli (pp. 2012, euro 70), che proclama di occuparsi di Michele e soci dal punto di vista interreligioso di «ebraismo, cristianesimo, islam».
Infatti fin dall’introduzione Agamben traccia il suggestivo legame tra angelologia e politica: «Angeli e burocrati tendono a confondersi», azzarda per esempio il teorico veneziano. E sostiene che sotto le penne dei cittadini paradisiaci si cela una duplicità funzionale e teorica basilare: azione e contemplazione, lode (di Dio) e governo (del mondo), appunto. Gli angeli sarebbero il trait-d’union tra la visione gnostica di un Onnipotente che ha orrore della materia e quella aristotelica del Padreterno motore di infiniti ingranaggi storici; persino il male – impossibile a Dio! – viene risolto con un intervento angelico: di Lucifero, il decaduto.
Teoria suggestiva e intellettualmente stimolante, in una materia spesso adagiata su un devozionalismo banale. Ma quanto davvero gli angeli di Agamben siano «cattolici», è tutt’altra faccenda. In effetti, e considerando del volumone solo la parte centrale dedicata appunto al cristianesimo (per giudicare il lavoro sulle altre due fedi manca la competenza), gli angeli che svolazzano in quei paraggi sembrano parecchio – diciamo così – «alternativi».
Anzitutto Emanuele Coccia, il docente di filosofia medievale che cura la sezione, li dipinge come esseri assolutamente non personali: «Non parlano mai in prima persona», non prendono posizioni e non hanno opinioni, «il tempo scivola su di loro», non hanno nemmeno nomi perché quelli che li definiscono sono «soprannomi» che definiscono la loro funzione...
«Non sono mai ciò che sembrano, la prima e più evidente proprietà è un’irriducibile ambiguità... Nelle loro azioni non esprimono nulla di ciò che davvero sono... Creature integralmente "senza qualità"». Così Coccia, e si capisce che siamo lontani dal catechismo. «L’angelo è incapace di dire autenticamente "io"», continua il professore: e potrebbe essere bellissimo, perché ciò indica un ente talmente immerso nella realtà che lo invia, da identificarsi con essa e "dimenticare" se stesso; trattandosi poi di un ambasciatore, si potrebbe sostenere – capovolgendo McLuhan – che qui è «il messaggio a diventare il mezzo».
Gabriele come rovesciamento della Tv, dunque? L’Annunciazione quale contraltare dell’etere? Sottigliezze intellettuali accattivanti, magari anche misticamente appetibili: ma che allontanano ancor più la realtà angelica dalla terra, la rendono più impalpabile delle piume di cui li ha rivestiti la decorazione barocca delle chiese. E che ce ne importa, a noi, di angeli così? Si capisce perché – son sempre parole di Coccia – «una nota di insopprimibile malinconia colora tutti i loro sforzi»; e poi, collegandosi ad Agamben: «L’angelo mostra la necessaria e paradossale tristezza connessa all’esercizio del potere... costretto sempre e solo a occuparsi del benessere altrui»: ma se proprio questo, nel cristianesimo, conduce alla massima felicità!
Insomma, il filosofo ha preso la scia degli esseri alati e vola sopra Berlino come si addice al più eccelso degli idealisti. Le prove non mancano davvero: anche se talvolta non si risolvono affatto in lode dei poveri cherubini... Gli angeli sono degli snob: sì, perché talvolta sembrano invidiosi degli uomini, e questo li conduce o alla ribellione o al servilismo. Gli angeli sono gregari, «a tal punto da non saper far altro che imitarsi reciprocamente». Gli angeli vivono in «una società chiusa, totalitaria, interamente composta di funzionari». Peggio: gli angeli «sono mercenari al soldo del loro stesso creatore. Ogni angelo è moralmente spaventoso» in quanto incapace «di qualsiasi forma di pentimento o rimorso». E ancora «l’angelo è ciò che impedisce all’umanità di costituirsi da sola: finché vi saranno angeli, un dio continuerà a disturbare i sogni di ogni uomo».
A questo punto ci si arresta piuttosto perplessi, pensando a certi bonari angioletti tizianeschi che guardano giù dalle nubi come puttini tutt’altro che «spaventosi». Ma è solo dopo 80 serrate pagine che Coccia assesta il colpo finale, come sempre acuto e laicissimo: «Un angelo è colui che parla al posto di Dio, opera al posto di Dio. È curioso notare come l’esistenza angelica riassuma perfettamente il progetto in cui si è compendiato lo spirito della modernità: mettere l’uomo al posto di Dio... È l’angelo l’operatore per eccellenza della secolarizzazione, nel senso letterale della parola: è lui a trascinare la divinità nel secolo, a renderla umana». Il gioco di prestigio intellettuale è compiuto: ciò che prima era fin troppo etereo, adesso è addirittura materialista. Affascinante, forse. Ma che gli angeli del cristianesimo siano proprio questi, non ci scommetteremmo affatto.