La scuola è per la
vita; questo si dovrebbe dire in continuazione ai nostri alunni.
Purtroppo, però, a volte si dimentica che la scuola dovrebbe essere per
la vita … anche per i docenti.
Dal trattato di Maastricht dei primi anni Novanta alla Strategia di
Lisbona del 2001 non si è fatto altro che giustamente ribadire
l’importanza di una educazione che miri a migliorare la sostanziale
qualità della vita; un’educazione, quindi, che sia permanente, per
evitare fenomeni come l’analfabetismo di ritorno, l’abbandono
scolastico e tutte quelle problematiche legate ad un livello
d’istruzione e di formazione che non coglie pienamente tutte le
potenzialità della persona.
Tutti i docenti , crediamo, siano d’accordo nel porre l’accento
sull’importanza del Long life learning, ma quanti , onestamente, si
sono mai posti il problema che per trasmettere un habitus mentale,
un’abitudine di vita, perché tale deve essere un processo di
apprendimento che duri per tutta la vita, bisogna in primo luogo
possederlo integralmente.
E dunque perchè mai si pensa alla formazione dei docenti, una tantum,
al momento dell’ assunzione, dando poi per assodata e conclusa la
loro formazione e con essa, purtroppo, anche ogni ulteriore prospettiva
di sapere e di conoscenze formative in fieri?
Considerato che su questo sito si è aperto un dibattito per proporre e
sdoganare anche per gli italiani il modello tedesco di eleggibilità dei
presidi, per par condicio, vorremmo proporre l’altrettanto pragmatico
modello inglese del docente che se vuole restare tale … deve produrre,e
non solo insegnamento in classe, ma ricerca e studio sulle metodologie
didattiche, sulle aree disciplinari di cui è competente e tutto il
resto. Non si capisce infatti perché il campo della ricerca , anche su
ciò che è peculiare del lavoro del docente, la didattica, e con essa
correlati anche la pedagogia, la psicologia e quant’altro, debba
restare di competenza dei docenti universitari e non dei singoli
docenti della scuola primaria e secondaria, soggetti dell’insegnamento.
Crediamo che prima di chiedere e richiedere ogni forma di giusta
e sacrosanta rivalutazione economica e sociale del proprio
ruolo, è assolutamente necessario che ogni docente riguadagni in
concreto la prospettiva di essere al centro del proprio
lavoro; non solo come fruitore come si è fatto finora, ma
anche nella prospettiva innovativa di ideatore e ricercatore.
In Gran Bretagna vale infatti il detto “ pubblic or perish” ( o
pubblichi o sei finito) e nessun docente rimane per molto a tempo
indeterminato se non si adegua a questa regola.
In Italia, la produzione a cui è tenuto il docente è spesso solo di
carattere compilativo; anche gli stessi Piani per l’offerta formativa
spesso ricalcano schemi stereotipati, laddove ogni affermazione, ogni
proposta educativa dovrebbe essere commentata, dovrebbe servire da
spunto per approfondimenti, ricerche, studi e resoconti personalizzati
di questi studi con lavori e scritti individuali, originali
e diversi di anno in anno e diversi perché nascono da esperienze
diverse.
Si potrà obiettare che lo scrivere può portare solo ad una mera
condizione teorica della docenza.
Rispondiamo che lo scrivere, legato sempre alla prassi del lavoro
in classe, quando non è stereotipato, ovvero una pura “copiatura” delle
idee altrui solo per scrivere qualche breve relazionetta “di forma”,
ovvero quando comporta delle riflessioni proprie e maturate dalla
ricerca metodologia e dalla comparazione tra differenti metodologie, è
la forma più proficua di realizzazione dei saperi; la parola scritta,
infatti, è pensiero e nessun pensiero può mai esistere se non lo si
riesce ad esprimere. Promuovere il pensiero, e il pensiero soprattutto
scritto, è la forma eccellente per indirizzare un ruolo che
sembra essersi logorato in un auto vittimismo autoreferenziale, una
sorta di auto compatimento da vicolo cieco, ad un punto morto e senza
una concreta volontà di riscatto.
Un’educazione permanente dei docenti che non si esaurisca in pochi
corsi di aggiornamento che stimolano poco a diventare “autori” della
propria ricerca metodologica; insomma non veramente attivi ma quasi
sempre soggetti passivi di una comunicazione data loro quasi per
grazia ricevuta, come una sorta di “travaso” di conoscenze e nozioni
che poco dopo vengono del tutto smarrite.
Soltanto in questa soluzione vediamo un orizzonte nuovo e di vero
riscatto per il ruolo docente.
Chi dipende dalle idee altrui dovrà sempre accodarsi al loro “ipse
dixit”, chi comincia a lavorare invece da “autore”, da produttore del
suo stesso lavoro, diventa autonomo e , alla lunga, può avere anche la
forza di richiedere con autorevolezza.
E siccome del modello anglosassone amiamo soprattutto il concetto
del “self made man”, crediamo sia sempre più utile per se stessi e per
gli altri, lavorare in questo senso invece che perdere tempo e preziose
energie a colpevolizzare, inveire o fare la cernita dei vizi e dei
difetti altrui; del governo, dei politici, dei corrotti…. I corrotti ci
sono sempre stati, non si è mai vissuti nel migliore dei mondi
possibili, nemmeno gli antichi Greci o Romani vivevano in un paradiso
di virtù, nemmeno per loro c’è mai stato il mondo ideale, il migliore
dei mondi possibili. E invece di perdere inutile tempo a trovarlo
dovremmo piuttosto chiederci in modo molto pratico e concreto: e noi
cosa pensiamo di fare per noi stessi?
La scuola è per la vita; anche per i docenti.
Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it