![](images/articles/valkiria.jpg)
Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non vi sia accordo, il ricorso al giudice del lavoro deve essere depositato a pena decadenza entro il termine di sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo” L’art. 32 aveva dunque sostituito l’articolo 6 della legge 604/1966, ma l’ordinanza di cui in epigrafe, ravvisa ora profili di incostituzionalità ma anche di violazione soprattutto dell’art. 18 della legge 300/70.
Nella fattispecie, l’art 18 ribadisce che il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno patito per il licenziamento in cui sia stata accertata in via giudiziale la non validità dello stesso; ovvero senza giusta causa o giustificato motivo e che lo stesso risarcimento non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione. Ed essendo quest’ultima una norma dettata dall’art. 2121 c.c., la legge sopravvenuta n.183/10 non può contraddirla. In particolare, lo stesso art. 32 risulta violare altresì la natura sinallagmatica del contratto di lavoro; l’accordo fra le parti sociali preso nel gennaio 1998 fissava, infatti, come termine ultimo il 30 aprile dello stesso anno la possibilità di stipulare contratti a tempo determinato, mentre risulta arbitrario il prolungamento oltre questo termine fissato del rapporto di lavoro a tempo determinato. Viene anche rigettato, per difetto di prova, anche l’aliunde perceptum o percipiendum, sollevato dalla controparte, ovvero l’onere della rioccupazione del lavoratore .
L’ordinanza inoltre rileva la violazione degli artt. 3,4, 111, e 117 della Costituzione, quest’ultimo riguardante l’adeguamento delle normative nazionali sul lavoro alle norme comunitarie. Sempre quest’ultimo articolo profila l’inammissibilità dell’introduzione surrettizia da parte delle suddetta dell’arbitrato nella controversia sul lavoro sottraendo il cittadino al giudice naturale.
Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it