Tutto
il Novecento è "figlio" della Grande Guerra. Il mondo d'oggi è la
conseguenza diretta della Prima Guerra Mondiale. E tutti i successivi
conflitti, le ostilità, le contese, i massacri, le immane tragedie, gli
odi, sono il frutto acerbo della Guerra del 15-18. Tutto nasce da lì,
dalla Grande Guerra, che ha segnato in maniera indelebile il destino
dell'Europa e del mondo intero. Ed è incomprensibile la storia
dell'umanità senza conoscere a fondo le ragioni che hanno scatenato
quel drammatico conflitto, e, soprattutto, l'evoluzione, la conduzione,
gli sviluppi, la conclusione, il suo funesto epilogo, gli accordi di
pace e il "Trattato di Londra" del 1919.
Tutto ebbe inizio dal fango delle trincee, dal filo spinato, dagli
infiniti e terribili giorni ad aspettare il nemico e ad aspettare la
morte, dalle interminabili notti a "vegliare un compagno morto", dagli
assalti alla baionetta, dal gas nervino, dalla carneficina delle
battaglie di Verdun e di Somme, dalla disfatta di Caporetto, dalle
acque del sacro Piave, dagli scontri nelle pietraie del Carso e
dell'Isonzo, dalla gloriosa battaglia di Vittorio Veneto. E in questa
guerra l'uomo ha dato veramente il peggio di sé, tutto veniva concesso,
il fine veramente giustificava i mezzi, e gli uomini valevano meno di
niente, meno di una bocca di cannone o di una tanica di benzina, e il
libero pensiero valeva meno di "un bottone ben lucidato".
Non si può comprendere il "biennio rosso", la rivoluzione russa, il
fascismo, il nazionalsocialismo, non si possono capire le dittature, le
persecuzioni, le violenze, i crimini, l'olocausto, gli stermini se non
si conosce e non si comprende la Grande Guerra. Non si può comprendere
Hitler, Mussolini, Stalin, senza il conflitto mondiale e il suo
umiliante epilogo, per i vincitori e i vinti, senza "l'Armistizio di
Compiégne", il "Patto di Londra" e la "vittoria mutilata".
Probabilmente senza la guerra Hitler a Monaco avrebbe continuato a
sognare di fare il grande artista o ad insegnare all'Accademia di Belle
Arti; Mussolini sarebbe rimasto un esponente di spicco del Partito
Socialista Italiano e il direttore dell'Avanti; Churchill sarebbe stato
un oscuro premier del Regno Unito e un incallito fumatore di sigari
toscani; le camicie nere sarebbero stati forti braccia dell'agricoltura
e della nascente industria del nord; e le camicie brune sarebbero
rimaste nei ranghi delle caserme prussiane, a bivaccare e a sognare di
abbattere la rivoluzione d'ottobre. Il "Putsch di Monaco" non sarebbe
successo. La "Marcia su Roma" non sarebbe servita. Non ci sarebbe stato
nessun Führer, nessun Duce, nessun Caudillo. Tutto sarebbe stato
diverso. L'Europa sarebbe stata un'altra. Il mondo d'oggi sarebbe stato
differente.
Ma la storia non torna mai indietro, non conosce scorciatoie, non gioca
a nascondino, non guarda in faccia a nessuno. "La storia dà torto e dà
ragione" a tutti, a vincitori e vinti. Ma torniamo alla guerra. Nel
1914 tramontava il mito del laissez-faire, il convincimento che la
società si potesse autoregolare con le sole forze del mercato, libera
da principi e da regole, si comprese che il mercato da solo non poteva
bastare a creare una società equa e solidale, occorreva una nuova
organizzazione dello Stato, era necessario uno Stato che limitasse lo
"strapotere" del mercato, uno Stato sociale che tenesse conto delle
reali esigenze delle masse popolari. Ma per lo Stato sociale, i tempi
non erano ancora maturi.
Occorreranno ... due guerre mondiali ... e molte decine di milioni di
morti! La prima vittoria dei ceti dominanti dell'epoca fu, del resto,
l'assenza di una vera opposizione politica: anche i partiti socialisti
aderenti alla Seconda Internazionale si associarono patriotticamente
alla politica dei rispettivi paesi. Una parte determinante delle
opinioni pubbliche europee si schierarono con le idee "patriottiche"
delle rispettive nazioni. I popoli austriaci, tedeschi, francesi,
inglesi, italiani, russi, serbi, turchi, si strinsero attorno ai loro
governanti, si allinearono con le classi dirigenti delle loro nazioni,
infischiandosene delle idee internazionaliste e socialiste. Per la
verità, in difesa della pace restarono attive solo delle esigue
minoranze politiche. Poi, con la "scusa" della revolverata di Sarajevo,
scoppiò l'inferno, e fu un suicidio per la vecchia Europa e per la
civiltà occidentale. Alla fine, i cosiddetti imperi centrali
crollarono, lasciando un mucchio informe di macerie, una montagna di
rovine, materiali e umane.
L'Austria fu travolta soprattutto dalla sua stessa natura e dalla
ribellione delle nazionalità. La Germania ripiegò, ma accettò una pace
umiliante senza avere subito una vera sconfitta militare. L'Italia si
accontentò delle terre irredenti del Friuli e del Trentino, e subì
l'oltraggio della "vittoria mutilata". Gli Stati Uniti d'America, con i
quattordici punti di Wilson, a modo loro, si convinsero che la guerra
era stata un antidoto all'autoritarismo (degli altri) e al pericolo
comunista, e azzardarono un nuovo e fragile "ordine mondiale".
Ma la "mazzata" più grande fu addossare l'intera responsabilità del
conflitto alla Germania, un oltraggio - per i vinti - che avrebbe
causato rancori immensi e conseguenze inimmaginabili. In realtà, nulla
venne veramente risolto. La guerra non aveva inaugurato il nuovo mondo
sperato da tutti. Anzi, tutto ritornò ad essere più difficile e più
complicato di prima. E sul campo rimasero soltanto macerie e ... oltre
ottanta milioni di morti che "chiedevano" solamente giustizia e verità.
Chiedevano di non essere dimenticati. Chiedevano di scongiurare altri
odi, altri conflitti, altre guerre, altri morti. Chiedeva pace e
rispetto. Chiedevano, ... chiedevano invano ...
Angelo Battiato
angelo.battiato@istruzione.it