Perché ha deciso di articolare il suo romanzo attorno a un tema così complesso, difficile e scabroso come quello del traffico di donne e della prostituzione? «Sono nata a Enugu e sono cresciuta in una famiglia molto cattolica. Il tema della prostituzione era tabù, non se ne parlava mai in casa. E poi, all’epoca, era un fenomeno ancora molto nascosto. Finché sono rimasta in Nigeria non ne sapevo nulla. Poi ho incontrato un belga che è diventato mio marito, e mi sono trasferita nel suo Paese nel 1995. Sono rimasta scioccata nel vederle qui, nelle vetrine dei sexy shop a vendere il loro corpo e mi sono chiesta cosa ci fosse dietro».
Sono migliaia le ragazze nigeriane trafficate e costrette a prostituirsi. Possibile che in Nigeria non se ne sappia nulla? «Adesso c’è molta più consapevolezza anche nel mio Paese. Io però ho fatto le mie ricerche qui. Mi rendo conto che per qualcuno può essere scioccante scoprire questa realtà dal mio libro, come lo è stato per me trovarmela di fronte qui. Spero, però, che questo romanzo possa contribuire a sensibilizzare su questo fenomeno».
Perché tante ragazze lasciano la Nigeria per poi finire su una strada o in una vetrina? «In Nigeria non hanno alcuna prospettiva. Molte hanno studiato, vorrebbero lavorare. Ma non trovano nulla. E allora se ne vanno in cerca di una vita migliore. In Nigeria c’è molta ricchezza concentrata in poche mani. Non c’è uguaglianza e c’è molta corruzione a tutti i livelli. A Lagos vivono diciassette milioni di persone, si possono trovare bellissimi palazzi e auto lussuose e lì accanto c’è gente senza casa e senza niente. Molte ragazze non sanno cosa le aspetta, altre si dicono che è meglio fare le prostitute che vivere in un immondezzaio».
Sisi, Ama e Joyce, Efe sono ragazze che hanno studiato, che hanno lasciato la famiglia, il fidanzato, o sono fuggite dalla guerra. Sono le protagoniste del suo romanzo, eppure quelle che lei racconta sembrano le storie vere di molte ragazze finite nel giro della prostituzione… «In effetti è così. Ho parlato con loro in Belgio, sono andata a vedere i posti in cui lavorano, ho cercato di capire come sono arrivate e come si sentivano. Con le ragazze il contatto è stato facile. Sono stata aiutata da un senso di solidarietà spontaneo, dovuto al fatto che veniamo dallo stesso Paese. La maggior parte mi ha confessato di essere stata forzata a fare la prostituta».
Lei racconta anche dei traffici che ci stanno dietro. Non è stato più difficile e pericoloso indagare anche su questo aspetto? «L’obiettivo era di far vedere che dietro la prostituzione c’è un grande giro d’affari. Le ragazze hanno molti problemi, vogliono a tutti i costi uscire dalla povertà. L’unica prospettiva è provare ad andarsene. E c’è chi offre loro questa via d’uscita, che non è una via di liberazione, ma di schiavitù».
La Nigeria è un Paese estremamente ricco di materie prime, petrolio innanzitutto, e con grandi potenzialità. Perché tante ragazze farebbero qualsiasi cosa pur di andarsene? «Non sono solo a loro a voler lasciare il Paese. La Nigeria ha visto in questi anni una fuga di cervelli impressionante. Molti giovani che hanno studiato e che hanno grandi capacità alla fine decidono di emigrare perché pensano che in Nigeria non abbiano alcuna chance. Ne conosco molti. Conosco anche gente che ha cercato di rientrare con tante idee e progetti, ma ha trovato molte porte chiuse, perché pochi lavorano veramente per cambiare il sistema. Le ragazze spesso se ne vanno perché non hanno altra scelta. Alcune hanno una buona istruzione, ma non significa molto. Hanno la responsabilità di una grande famiglia a loro carico. Oggi a Benin City, la città da dove prevengono molte di loro, sta crescendo una classe media piuttosto significativa grazie al loro "lavoro"».
Come uscire dal circolo vizioso? «Creando consapevolezza e cercando i cambiare questo sistema dal di dentro, innanzitutto attraverso l’impegno, il lavoro e la valorizzazione delle donne».
Postato il Mercoledì, 14 ottobre 2009 ore 06:51:31 CEST di Maria Allo |
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