Si precisa che
l’affermazione data in merito al ddl di modifica all’art.33 della legge
104/92 secondo cui “ decade l’obbligo di convivenza con il parente
disabile assistito”, affermazione data anche da alcuni sindacati e che
lascia intendere che allo stato attuale esista tale obbligo, è errata e
fuorviante. Infatti, l’obbligo di
convivenza col disabile assistito è già stato abrogato dalla legge 53
/2000 artt. 19, comma 1 lettera b, e 20.
La ratio della modifica introdotta dal ddl è da ricercare in una
ri-definizione dei congiunti aventi diritto al permesso e
che, attraverso essa,viene riservata fino al secondo grado
ovvero genitori, coniuge, figli, fratelli..; riservando ai parenti di
terzo grado la possibilità di assistere in deroga, ovvero in mancanza o
nell’impossibilità a farlo dei primi.
Il presupposto di “esclusività” che era conditio sine qua non
dell’art. 33 legge 104/92 viene riassorbita dalla limitazione parentale
previsto dal ddl:entro il secondo grado il lavoratore che assiste il
parente disabile nel cui nucleo familiare non appartengano altri
congiunti, entro il secondo grado, che non lavorano o che non possano
prestare assistenza perché invalidi, ovvero di età superiore a 65 anni
( mentre finora la norma prevede un limite di 70 anni ed in presenza
anche di un minimo d’invalidità) ha diritto di godere dei diritti
previsti dall’art.33 :permessi mensili, inamovibilità, esclusione dalla
graduatoria d’istituto dei soprannumerari, precedenza nei
trasferimenti verso la sede più vicina al domicilio dell’assistito.
Per quanto riguarda il principio di continuità dell’assistenza: anche
se non vi è convivenza, la continuità implica un rapporto di vicinanza,
ovvero di residenza entro il comune o nei comuni limitrofi e appare
assai strano dimostrare, per esempio, che esista una continuità se il
lavoratore abiti a Milano, per esempio, e l’assistito a Catania.
Tuttavia, il ddl ha inteso intervenire sulla definizione degli aventi
diritto secondo il grado di parentela e quindi anche il concetto di
“continuità” sembra, in un certo senso, acquisire un’importanza
secondaria.
Per quanto riguarda i permessi occorre fare delle precisazioni. E’ vero
che il CCNL per i docenti non specifica riguardo la possibilità di
frazionare in ore i tre giorni di permesso mensili, ma poiché l’intera
materia riguardo la legge 104 è stata devoluta interamente all’INPS, le
circolari di quest’ultimo assumono una certa rilevanza giuridica. In
particolare il messaggio INPS 16866 del 2007 chiarisce che i tre
giorni di permesso mensile possono essere frazionati in ore o con
riduzione giornaliera di due ore , questo perché, alla fine, è sempre
l’INPS ad indennizzare i permessi e tale indennizzo avviene secondo il
conteggio delle ore, non dei giorni. La tendenza alla
frazionabilità dei permessi è altresì presente anche nella circolare
8/2008 del Ministero della P.A. e recepita dalla legge 133/2008 che
precisa il limite di 18 ore mensili per chi compie un’attività
lavorativa di 36 ore settimanali. In molte scuole si è scelta questa
opportunità , frazionamento dei tre giorni in ore o riduzione max di
due ore giornaliere, perché, ovviamente è un’alternativa che va a tutto
vantaggio della scuola ( riduzione delle assenze, più facilità
nella sostituzione, si ammortizza la ricaduta dal punto di vista
didattico…) molto meno rispetto al lavoratore che ne usufruisce.
Infatti, per un docente che presta un’attività di 18 ore settimanali in
5 giorni il monte ore dei permessi è massimo di 11 ore mensili mentre
usufruendo dei 3 giorni mensili le ore possono arrivare anche a 15 o
18, se consideriamo, per esempio giornate di 5 ore e magari con rientri
per consigli di classe o collegi etc.
Non essendo contemplata, ancora, nel contratto, quest’alternativa può
essere attuata solo col il consenso dell’interessato e non può essere
imposta.
Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it