Non è stato affatto semplice preparare la mostra “150 anni di
sussidiarietà”, che sarà inaugurata al Meeting di Rimini dal Presidente
della Repubblica, Giorgio Napolitano. Tuttavia la lunga gestazione di
preparazione a questa manifestazione, le accurate e appassionate
ricerche degli studenti, il confronto e spesso la scontro dialettico
tra i rappresentanti del comitato scientifico, con docenti di chiara
fama che hanno sottratto tempo al loro lavoro, offre la misura dello
spessore nell’impegno e nella partecipazione per onorare con una
originale visione storica i 150 anni dell’Unità d’Italia.
L’idea che la Fondazione per la Sussidiarietà
ha voluto realizzare è un contributo in controtendenza rispetto alle
letture e alle rievocazioni prevalentemente politiche che sono state
fatte in questi mesi.
Alla fine, il lungo lavoro di ricerca non ha
prodotto solo una mostra che illustra (con immagini, foto d’epoca,
filmati e brevi testi scritti) gli ultimi centocinquant’anni della
nostra storia, ma anche un testo documentato e meditato, quasi con
sofferenza, che rovescia i canoni dei libri classici di storia
nazionale. Qui, in questa circostanza, i protagonisti politici
risorgimentali, quelli dell’Italia giolittiana, quelli del fascismo e
della ripresa economica e democratica stanno un poco sullo sfondo. In
primo piano c’è la storia del popolo e della società reale italiana,
che ha una tradizione plurimillenaria, che supera ampiamente l’arco dei
150 anni di unità politica e affonda le sue radici nella cultura
greco-romana e viene esaltata dal grande avvenimento cristiano che,
alla fine, ha caratterizzato il modo di pensare, la mentalità,
l’approccio alla realtà e la stessa organizzazione sociale, spesso
prescindendo dall’assetto politico dell’Italia rinascimentale dei
“cinque stati”, dell’Italia occupata dagli eserciti stranieri,
dell’Italia del Risorgimento costruita da Cavour, Garibaldi e Casa
Savoia anche in ragione di equilibri politici internazionali.
È stata una scelta discutibile? Qualcuno
potrebbe anche avere delle legittime obiezioni. Eppure, anche chi ha
una lettura molto “politica” delle vicende italiane non può che
rimanere profondamente stupito e ammirato di fronte al percorso
sociale, educativo, economico permeato da una visione cristiana del
popolo italiano.
Mentre l’Italia del 1861, raggiunta l’unità
politica, doveva fare i conti con la morte di Cavour, i primi grandi
problemi sociali, un’autentica guerra contro il brigantaggio delle
regioni meridionali e persino le dispute sulla capitale del Regno, il
mondo cattolico dava inizio a un periodo quasi irripetibile di
autentica “santità sociale”, fondando opere in campo educativo,
assistenziale, sanitario e predisponendo il suo ingresso nell’assetto
economico in modo mutualistico, con la fondazione di casse rurali,
cooperative, organizzazioni operaie, che avevano lo scopo dichiarato di
difendere i ceti meno abbienti della società italiana. Spesso in
collaborazione, spesso in concorrenza o addirittura in contrasto con le
organizzazioni operaie di ispirazione socialista, anarchica e
mazziniana, questo mondo cattolico riuscì a creare una sorta di welfare
prima che ancora si immaginasse l’attuale welfare state e all’interno
di una legislazione carente quando non ostile ai principi della carità
cristiana.
La stessa passione dei cattolici
nell’accettare lo stato unitario, ma di operare soprattutto per le
parti più deboli della società, si avverte con la tragedia della prima
grande guerra mondiale (il secondo periodo che la mostra descrive) e
poi con l’avvento del fascismo, dove la Chiesa e i cattolici preparano
lentamente una “resistenza degli animi” sul piano educativo, contro le
leggi “fascistissime”, contro le leggi razziali, contro la visione
dello Stato che si identifica nella statolatria e nell’esaltazione del
potere personale del capo.
Non si limiteranno solo a questo i cattolici. Mentre la Chiesa
diventerà l’unica istituzione a cui si affideranno gli italiani, molti
cattolici parteciperanno attivamente alla Resistenza e nello stesso
tempo si prepareranno alla gestione della futura rinascita del Paese.
Il terzo periodo su cui la mostra si sofferma
è quello della Costituente, dove in un’Italia divisa dalle ideologie,
imbarbarita e impoverita dai disastri della guerra e della guerra
civile, si riuscirà a trovare, con grande buon senso, un comune terreno
istituzionale che garantirà i diritti fondamentali non solo
dell’individuo, ma dell’uomo che vive in una comunità, in una società,
e difenderà il ruolo insostituibile dei corpi intermedi che sono il
tessuto portante del vivere civile. Tra luci e ombre, quel periodo
tanto controverso, e tanto aspro nelle divergenze ideologiche,
garantirà, a conti fatti, una Italia liberale e democratica.
Quasi contemporaneamente agli anni della
Costituente e a quelli di poco successivi, l’Italia, con la scelta
atlantica e l’aiuto del piano Marshall, ma certo non solo per quello,
riuscirà a realizzare quello che è ricordato come il “miracolo
economico” italiano, un autentico balzo dalla condizione di Paese
povero, anche nell’anteguerra, a Paese che fa il suo ingresso nel
gruppo dei sette più ricchi e influenti del mondo. Anche in questo caso
si potrà vedere, ed è ben documentato, lo spirito innovativo, la
capacità di cambiamento del popolo italiano, il grande realismo e la
sua incredibile laboriosità.
Guardando alle vicende degli ultimi anni
sembra che questa identità italiana sia andata perduta e la crisi
economica, sociale e politica abbia ridotto le capacità degli italiani.
Il percorso di questa mostra, attraverso i momenti salienti di questi
centocinquant’anni, può essere un aiuto a ricordare che si può
ripartire anche dallo spirito che ha animato quei periodi, certamente
difficili, ma anche esaltanti per tutti gli italiani.
Gianluigi Da Rold (da Il
Sussidiario.it)
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