LA CANZONE ITALIANA (1930-1960)
GUIDA DIDATTICA
Le origini della canzone italiana: tra musica d’occasione ed inno
Alla fine del XVIII secolo s’afferma il concetto moderno di canzone: componimenti musicali e poetici, nati espressamente a tavolino, per celebrare determinate ricorrenze o per rendere omaggio ad una persona, come nel caso de La biondina in gondoleta di Simon Mayr, dedicata ad una nobildonna veneziana.
Si afferma nell’età rivoluzionaria e napoleonica, come gli inni politici, ma recupera anche le cantate regionali. C’è uno scambio di motivi e di spunti con le arie del melodramma, per cui la canzone napoletana Te voglio bene assje, e tu non pienze a me, di Sacco e Campanella, viene attribuita al Donizetti, mentre è molto più vicina all’aria della “Sonnanbula” di Bellini, Vi ravviso o luoghi ameni. Si ha notizia che già nel 1839 si teneva, nella grotta di Pozzuoli, un concorso di canzoni improvvisate, che venivano giudicate e premiate direttamente dal pubblico.
Il Risorgimento introduce l’inno patriottico, che porta alla nascita di un sentimento nazionale diffuso, in larga misura appreso dall’invenzione poetica, capace di infondere un senso di unità spirituale oltre che musicale (La bella Gigogin; Inno di Garibaldi) mentre non mancarono gli accorati appelli musicali alla pace (Povero Luisin).
Alla canzone italiana è stata attribuita la capacità di interpretare e di spiegare, ancora meglio della storia e delle cronache politiche, le vicende degli italiani. In questo senso si può inserire la polemica a proposito del Canto degli Italiani di Novaro e Mameli (1848), noto come Fratelli d’Italia, periodicamente al centro di polemiche sulla sua attualità e sulla scarsa e rituale diffusione.
Per interi decenni la canzone italiana è legata alle esperienze delle cantate regionali, con stornelli, serenate, villotte; poi nell’ultimo decennio dell’Ottocento si afferma la canzone da salotto di Francesco Paolo Tosti – autore nel 1884 di Musica proibita con “Vorrei baciare i tuoi capelli neri/ Le labbra tue, quegli occhi tuoi severi” – seguita da quella napoletana d’autore: ‘O sole mio (1898), ‘A vucchella (1892) di Di Giacomo e D’Annunzio, I te vurria vasà (1901) di Russo e di Capua. Sono gli anni dei “caffè concerto”, delle operette, dei primi fonografi (1895), e un decennio più tardi dell’abbinamento “cinema-disco” per l’accompagnamento sonoro.
La canzone italiana davanti alla Grande Guerra
L’irruzione delle masse sulla scena politica genera nuovi canti auto rappresentativi, quali l’Inno dei lavoratori (1886), di Filippo Turati ed Amintore Galli, Bandiera Rossa (1880) di Carlo Tuzzi, Bianco Fiore dei cattolici Addio Lugano (1894) degli anarchici; l’emigrazione è cantata in Mamma mia dammi cento lire e più tardi in Core ‘ngrato (1911). Le imprese coloniali generano Inno a Tripoli (1912) e l’Inno a Roma scritto da Giacomo Puccini.
La Belle Epoque si chiude all’alba della Grande Guerra con le canzonette Ninì Tiribusciò (1911) e con l’operetta degli Mario Costa, Virgilio Ranzato (poi autore delle fortunate “Cin Ci là” e “Paese dei Campanelli”) e di Giuseppe Pietri che musica i testi di Camasio ed Oxilia “Addio Giovinezza” (1915) che comprende la canzone goliardico/amorosa Commiato, futura base per l’inno fascista Giovinezza. Diversi brani furono ripresi ed adattati ad altre esigenze, ora politiche ora parodiache gli avvenimenti quotidiani.
La canzone, piegata alle esigenze della guerra, si afferma seguendo tre linee: l’inno patriottico di carattere plebiscitario (La leggenda del Piave di E.A. Mario; La canzone del Grappa di Meneghetti e De Bono; Le campane di San Giusto di Drovetti e Arona; le versioni alpine Bandiera Nera, Bombardano Cortina, Sul ponte di Bassano); la canzone di protesta (Gorizia, Addio padre e madre addio, La tradotta che parte da Novara); la canzone sentimentale-lacrimevole ‘O surdato ‘nnamurato di Cannio e Califano (1915), Come pioveva, Come le rose, Cara piccina di Pasquariello e Gill. Comunque il 1918 segna l’inizio della nascita della canzone “a tutti gli effetti”.
La canzone nell’età della radio
Fin dal 1924 sono sperimentate in Italia le prime trasmissioni radiofoniche, irradiate prima dall’U.R.I. (Unione Radiofonica Italiana), e poi dal 1927 dall’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche). Il mezzo radiofonico favorisce la diffusione e la notorietà delle canzoni e provoca un’evoluzione dei modelli musicali. L’esecuzione musicale diventa il sottofondo sonoro delle attività casalinghe e del lavoro artigiano; la fortuna della musica leggera porta al rapido declino la canzone popolare; le esecuzioni radiofoniche di musica classica provocano l’allontanamento delle classi borghesi e colte dalla pratica musicale. (U.Eco, 1965)
Gli anni venti segnano il tramonto della Belle Epoque, con ultime canzoni evocanti quelle atmosfere (Vipera, Balocchi e profumi, Rose Rosse, di E.A. Mario; Gastone; Addio Tabarin – 1922). Sono canzoni destinate esclusivamente ad un pubblico adulto e solo il fascismo orienterà la musica al pubblico giovanile, con lo scopo di esaltare le virtù “maschili” della società che voleva costruire. La canzone italiana presentava diffusi stereotipi, con l’uomo guerriero e conquistatore e la donna – secondo il caso - ora aggressivo oggetto sessuale, ora madre, sposa fedele, sorella.
Il commercio discografico e le contaminazioni musicali attraverso gli strumentali che lavoravano sulle navi-passeggeri, lungo le rotte atlantiche, portarono ad una rapida diffusione dei ritmi americani. Il jazz, in auge grazie anche a musicisti e compositori di origine italiana, one-step, fox-trot, shimmy, charleston, s’impongono tra i più giovani. Qualche musicologo parla di antitesi tra la musica americana di origine tribale e quella occidentale, dalle forme più classiche. Dall’America meridionale giungono i cosiddetti ritmi “latini”, sull’onda del successo di ritorno del tango, che generano canzoni, quali: Creola (1926), Tango delle capinere (1928). Sono canzoni destinate ad un successo particolare, soprattutto quando utilizzate per confezionare delle parodie irriverenti su personaggi e situazioni tipicamente italiane.
S’inizia a ballare, in luoghi pubblici, al suono delle orchestrine, ed a casa, con i dischi e con la radio. Il ballo si diffonde a tutti i livelli sociali e soprattutto il ballo non è più un’esibizione di distinte classi sociali.
Sono esperienze guardate con favore anche dai futuristi, incuriositi dalla modernità dei nuovi ritmi. Una parte non irrilevante del successo, è data pure all’affermazione del cinema (si pensi alla figura di Rodolfo Valentino) e del cinema sonoro (Il cantante di Jazz).
Anche il cinema italiano lancia dei motivi di successo, come Parlami d’amore Mariù (nel film di Camerini Gli uomini che mascalzoni! con De Sica), Vivere, Mille lire al mese.
Le battaglie ideologiche del fascismo d’esaltazione delle radici rurali, che accompagnano le grandi bonifiche, la battaglia del grano le campagne autarchiche, impongono la riscoperta del tratto popolare della canzone italiana, con decisi inserti dialettali e il recupero di motivi musicali localistici (El gagà del Motta, Chitarra romana, Firenze sogna).
Nel corso delle guerre d’Etiopia e di Spagna, durante le sanzioni contro l’Italia, la canzone si adegua al clima con la nota Faccetta Nera, oppure con la volgare Sanzionami questo. Diversi compositori si propongono di sollevare o di distrarre la gente comune dalle incertezze di quegli anni; s’impongono i filoni malinconici (Signorella, Non ti scordar di me), interpretati da Odoardo Spadaro, Beniamino Gigli, Rodolfo De Angelis, e lo swing italiano, grazie ad autori come Gorni Kramer ed interpreti quali Alberto Rabagliati, Natalino Otto e il Trio Lescano (Mister Paganini, Bambina innamorata, Ba-ba-baciami piccina, Ma le gambe, Non dimenticar le mie parole) che riusciva far passare la musica nord-americana, malgrado la censura fascista.
Un grande successo è garantito dal filone scherzoso, con canzoni che spesso erano una satira del regime e di alcuni influenti suoi esponenti: Bombolo, Ciri biribin, Quel motivetto che mi piace tanto, Pinguino innamorato, Maramao perché sei morto, Crapa pelada.
La canzone davanti ad un’altra guerra
I giovani entrano in guerra, accompagnati dai motivi del Valzer della candele, di Rosamunda, di Pippo non lo sa e da quelli riproposti del decennio precedente. I compositori cercano vie di fuga, con testi poco impegnativi, divagativi e tendenti al “non sense”, quali Tulipan, Evviva la torre di Pisa e Il Visconte di Castelfombrone che porta al successo il Quartetto Cetra. Arrivano anche le canzoni di guerra, come Vincere, Canzone dei sommergibili, La sagra di Giarabub fino a Le donne non ci vogliono più bene. In assoluto la canzone della guerra è Lilì Marlen di Lale Andersen, suonata e cantata universalmente da tutti gli eserciti in lotta.
I compositori italiani producono in quegli anni testi che rappresenteranno, in antitesi alla drammaticità di quei tempi, un’epoca: Bixio e Cherubini compongono Mamma, resa famosa da Beniamino Gigli nell’omonimo film; sempre il cinema lancia Ma l’amore no di D’Anzi e Galdieri e Voglio vivere così di D’Anzi e Manlio, cantata dal tenore Ferruccio Tagliavini. In particolare, la canzone Ma l’amore no riscuote un grande successo grazie all’interpretazione canora di Lina Termini ed all’attrice Alida Valli. Arrivano poi La famiglia Brambilla, Oi Marì, Ho un sassolino nella scarpa, e con la guerra partigiana, le canzoni di lotta, spesso riprese ed aggiornate dai canti politici della guerra di Spagna o dell’emancipazione politica dei lavoratori (La Brigata Garibaldi, Pietà l’è morta, Fischia il vento, Bella ciao).
Nel sud d’Italia, mentre si stavano imponendo i nuovi ritmi, come il boogie woogie, c’era ancora spazio per qualche novità, capace di recepire il rinnovamento, ma anche il senso della transizione (Dove sta Zazà di Cioffi e Cutolo; Tammuriata nera dell’intramontabile E.A. Mario).
Il dopoguerra: voglia di rimozione e di minimizzazione.
Il clima del dopoguerra è bene rappresentato dal ritornello di Simmo ’e Napule: “Scurdammoce o passato!”, in quanto il compito della canzone è di sollevare lo spirito degli italiani. Sotto la pressione della musica leggera americana, si afferma il protezionismo mercantile di quella italiana, con la definizione di una “canzone all’italiana”. La produzione predilige i consueti filoni, amoroso (Pino solitario, Addormentarmi così, La signora di trent’anni fa), giocoso (I pompieri di Viggiù, I cadetti di Gauscogna, Avanti e indrè). La questione del confine orientale diviene spunto per Trieste mia cantata in un film da Luciano Tajoli, e per Vola colomba, grande successo di Nilla Pizzi, al Sanremo del 1952.
Tra la fine degli anni quaranta e inizi degli anni cinquanta, la canzone italiana rimane isolata e non segue le linee di rinnovamento che giungono dall’incubazione del rock americano o dall’apporto “alto” dei poeti dell’esistenzialismo alla canzone francese (Sartre, Prévert, Queneau). Casomai giungono i ritmi latino-americani, importati attraverso le commedie musicali di Macario e di Wanda Osiris. La canzone italiana sopravvive negli accompagnamenti musicali delle prime pubblicità televisive, nelle esecuzioni delle orchestre che operano all’interno della Rai (Angelini, Barzizza, Canfora, Trovajoli, Kramer, Luzzati), e nel festival di Sanremo e pure in quello della canzone partenopea. Sono gli anni di Campanaro, Buongiorno tristezza, Vecchio scarpone, ma anche del boom dei dischi con Grazie dei fior interpretata da Nilla Pizzi (1951), Papaveri e papere, Casetta in Canadà e Tutte le mamme (1954).
La svolta del 1955
Nel 1955 l’innovazione giunge dalla canzone napoletana (si ripassa per una piazza musicale delle origini) con Roberto Murolo e soprattutto con Renato Carosone; egli forma un trio con Gegè di Giacomo e Peter Van Wood ed approda ad un gruppo orchestrale che riprende i motivi nord americani, questa volta riletti nei riflessi mediterranei (Caravan Petrol, Torero, Tu vuo’ fa’ l’americano). Si afferma pure Fred Buscaglione, deceduto nel 1960 in un incidente, che introduce una canzone, sullo stile francese, in versione comico-demenziale, vero manifesto degli anni del boom economico (Che bambola!, Teresa non sparare, Eri piccola così).
Altra innovazione giunge dalla canzone da “night”, dal tono confidenziale, per voce e
pianoforte, con le esecuzioni dei giovani Peppino di Capri, Fred Bongusto (Una rotonda sul mare) e del più maturo Bruno Martino (E la chiamano estate…).
Una linfa praticamente perenne giunge dalle esibizioni dei complessi, come il Quartetto Cetra, dal lancio dei primi cantautori, come Domenico Modugno, con Vecchio frack (1954), che trova la fama definitiva quattro anni più tardi a Sanremo con Nel blu dipinto di blu (Volare). Allora il festival della canzone non lanciava i cantanti ma le canzoni, che erano presentate in due versioni canore e le prime trasmissioni televisive erano centrate solo sulle canzoni, come per il caso de “Il Musichiere” di Mario Riva. I cantanti, invece, trovavano la loro fama nelle commedie musicali, soprattutto quelle firmate da Garinei e Giovannini, ed interpretate da artisti come Renato Rascel.
Il 1959, l’anno del “boom economico” è accompagnato da un grande fervore che si traduce, nel campo della musica italiana, in nuove esperienze echeggianti i ritmi americani e soprattutto la forte penetrazione del rock a’roll: arrivano a Sanremo un giovane Adriano Celentano, che aveva già lanciato la canzone Il ribelle, seguita da 24 mila baci, vista come totale rivoluzione della canzone all’italiana: non piacque nemmeno agli intellettuali di sinistra, troppo distanti dei fenomeni mediatici ed ancorati alle teorie del rilancio del lirismo impegnato politicamente, che aveva portato ad esperienze come “Nuovo Canzoniere Italiano” e “Cantacronache”; ballate popolari che narravono storie di emigrazione, di sfruttamento del proletariato.
I primi anni sessanta: tra boom adolescenziale e cantautori
L’arrivo sulla scena, dal 1964, di cantanti giovani e giovanissimi, sull’onda del successo inglese dei Beatles, che sostituiscono piccole “band” musicali, con una batteria e chitarre elettriche, offre una nuova dimensione alla canzone italiana. Si era mosso, per un’altra linea il citato Celentano, che presto formerà il “Clan” con Don Backy, Pilade, Migliacci, Mogol, mentre Mina (Annamaria Mazzini), nel 1958 aveva già stupito con Le mille bolle blu, che aveva scandalizzato critici e benpensanti per la carica di appeal che era in grado di trasmettere e per il testo modernissimo ed apparentemente demenziale, mentre ben pochi si erano accorti delle sue reali estensioni canore, paragonabili – all’epoca – a quelle del soprano Maria Callas.
Iniziano le rivalità, vere o montate dalla stampa periodica, tra le nuove regine della musica italiana: Mina e Milva, quest’ultima sostenuta da quella larga parte di pubblico che sentiva ancora vivo il contributo alla canzone italiana, dato da quella francese, degli ambienti esistenzialisti e della “novelle vague”.
Si affermano progressivamente anche i cantautori italiani, espressione di un rinnovato lirismo che trae spunto dalle contraddizioni della vita quotidiana. E’ un fenomeno prettamente settentrionale, che s’identifica nelle due città. Genova e Milano, che hanno visto il più forte afflusso di emigranti, attratti dalle opportunità dello sviluppo industriale. Si affermano progressivamente Fabrizio De Andrè, Gino Paoli, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Luigi Tenco, fino a Guccini e Lucio Dalla, quest’ultimo proveniente dall’esperienza rock ballabile e dalla stagione dei complessini, come i “Flipper”, e transitato attraverso forme di sperimentazione canora. Sono autori legati all’esperienza della canzone francese, a quella di Brel e di Brassens, mentre altri si avvicineranno alla cosiddetta “British invasion”, come Paolo Conte, Lucio Battisti, come d’Oltremanica giungeranno cantanti e gruppi musicali di esportazione che goderanno di una certa notorietà.
Le spallate musicali inglesi non scuotono ancora la musica italiana, che si rigenera nelle sonorità dei teen-ager, scoprendo attraverso i molti concorsi per voci nuove (Castrocaro, per tutti) i nuovi idoli: Rita Pavone, Gianni Morandi, Patty Pravo (direttamente dagli ambienti del locale da ballo “Piper” di Roma), Johnny Dorelli, il casco d’oro Caterina Caselli.
Se da una parte le vocalità degli americani “Platters” sembrano già lontane ma non irriproducibili, come nel caso del successo di Bobby Solo, nel panorama musicale italiano, dall’altra la canzone italiana continua a sfornare facili ed orecchiabili successi, trascinati dalle migliori edizioni televisive di Canzonissima, dai film-musicarelli e dalla fortuna dei motivi balneari, interpretati principalmente da Edoardo Vianello (Watussi, Abbronzatissima,…) dai Los Marcelos Ferial (Quando calienta el sol), da Fred Bongusto (Frida, Una rotonda sul mare), da Franco I e Franco IV (Ho scritto t’amo sulla sabbia), da Nico Fidenco (Legata a un granello di sabbia), da Jimmy Fontana (Luglio), fino a Mario Tessuto (Lisa). Sono gli anni delle prime vacanze estive, celebrate come un rito collettivo, inevitabilmente accompagnate dai juke-box, che rilanciano i successi di Mina (Città vuota, E’ l’uomo per me).
Continua la stagione del rock ‘a roll con Little Tony ed i suoi successi, come Cuore matto, mentre un’altra rivoluzione generazionale si profila all’orizzonte, alla quale i gruppi musicali più avvertiti, i complessi, si stavano rivolgendo, importando le versioni in italiano dei maggiori successi inglesi ed americani: sono, tra gli altri, i “Dik Dik”, l’ “Equipe 84”.
Nel 1967 esce in Inghilterra il disco dei Beatles “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, a Monterey si tiene il festival della musica pop, a San Francisco i giovani sfilano accompagnati dalla musica, e in quell’estate le canzoni più gettonate dagli italiani sono: A whiter shade of pale dei Procol Harum, Nel sole di al Bano, La banda di Mina, La coppia più bella del mondo di Celentano e Claudia Mori, A chi di Fausto Leali, Dio è morto dei Nomadi, Stasera mi butto di Rocky Roberts, Pugni chiusi dei Ribelli, Parole di Nico e i Gabbiani.
Il rivoluzionario ’68 fu dichiarato “fiacco” sotto il profilo della produzione musicale italiana, eppure De Andrè scandalizza con Si chiamava Gesù, Sergio Endrigo vinceva Sanremo con Canzone per te, Caterina Caselli vinceva il Cantagiro con Il volto della vita, Patty Pravo entrava in classifica con La bambola, esplodeva l’irrivenza di Enzo Jannacci con il profetico Vengo anch’io; infine arriva dalla Francia Sylve Vartan con Come un ragazzo e nel film Nel sole vengono lanciati al Bano e Romina Power. Tuttavia i maggiori successi sono le esecuzioni di autori stranieri e le versioni italiane di brani esteri: La nostra favola, Io per lei, Ore d’amore, Affida una lacrima al vento.
GUIDA DIDATTICA
Le origini della canzone italiana: tra musica d’occasione ed inno
Alla fine del XVIII secolo s’afferma il concetto moderno di canzone: componimenti musicali e poetici, nati espressamente a tavolino, per celebrare determinate ricorrenze o per rendere omaggio ad una persona, come nel caso de La biondina in gondoleta di Simon Mayr, dedicata ad una nobildonna veneziana.
Si afferma nell’età rivoluzionaria e napoleonica, come gli inni politici, ma recupera anche le cantate regionali. C’è uno scambio di motivi e di spunti con le arie del melodramma, per cui la canzone napoletana Te voglio bene assje, e tu non pienze a me, di Sacco e Campanella, viene attribuita al Donizetti, mentre è molto più vicina all’aria della “Sonnanbula” di Bellini, Vi ravviso o luoghi ameni. Si ha notizia che già nel 1839 si teneva, nella grotta di Pozzuoli, un concorso di canzoni improvvisate, che venivano giudicate e premiate direttamente dal pubblico.
Il Risorgimento introduce l’inno patriottico, che porta alla nascita di un sentimento nazionale diffuso, in larga misura appreso dall’invenzione poetica, capace di infondere un senso di unità spirituale oltre che musicale (La bella Gigogin; Inno di Garibaldi) mentre non mancarono gli accorati appelli musicali alla pace (Povero Luisin).
Alla canzone italiana è stata attribuita la capacità di interpretare e di spiegare, ancora meglio della storia e delle cronache politiche, le vicende degli italiani. In questo senso si può inserire la polemica a proposito del Canto degli Italiani di Novaro e Mameli (1848), noto come Fratelli d’Italia, periodicamente al centro di polemiche sulla sua attualità e sulla scarsa e rituale diffusione.
Per interi decenni la canzone italiana è legata alle esperienze delle cantate regionali, con stornelli, serenate, villotte; poi nell’ultimo decennio dell’Ottocento si afferma la canzone da salotto di Francesco Paolo Tosti – autore nel 1884 di Musica proibita con “Vorrei baciare i tuoi capelli neri/ Le labbra tue, quegli occhi tuoi severi” – seguita da quella napoletana d’autore: ‘O sole mio (1898), ‘A vucchella (1892) di Di Giacomo e D’Annunzio, I te vurria vasà (1901) di Russo e di Capua. Sono gli anni dei “caffè concerto”, delle operette, dei primi fonografi (1895), e un decennio più tardi dell’abbinamento “cinema-disco” per l’accompagnamento sonoro.
La canzone italiana davanti alla Grande Guerra
L’irruzione delle masse sulla scena politica genera nuovi canti auto rappresentativi, quali l’Inno dei lavoratori (1886), di Filippo Turati ed Amintore Galli, Bandiera Rossa (1880) di Carlo Tuzzi, Bianco Fiore dei cattolici Addio Lugano (1894) degli anarchici; l’emigrazione è cantata in Mamma mia dammi cento lire e più tardi in Core ‘ngrato (1911). Le imprese coloniali generano Inno a Tripoli (1912) e l’Inno a Roma scritto da Giacomo Puccini.
La Belle Epoque si chiude all’alba della Grande Guerra con le canzonette Ninì Tiribusciò (1911) e con l’operetta degli Mario Costa, Virgilio Ranzato (poi autore delle fortunate “Cin Ci là” e “Paese dei Campanelli”) e di Giuseppe Pietri che musica i testi di Camasio ed Oxilia “Addio Giovinezza” (1915) che comprende la canzone goliardico/amorosa Commiato, futura base per l’inno fascista Giovinezza. Diversi brani furono ripresi ed adattati ad altre esigenze, ora politiche ora parodiache gli avvenimenti quotidiani.
La canzone, piegata alle esigenze della guerra, si afferma seguendo tre linee: l’inno patriottico di carattere plebiscitario (La leggenda del Piave di E.A. Mario; La canzone del Grappa di Meneghetti e De Bono; Le campane di San Giusto di Drovetti e Arona; le versioni alpine Bandiera Nera, Bombardano Cortina, Sul ponte di Bassano); la canzone di protesta (Gorizia, Addio padre e madre addio, La tradotta che parte da Novara); la canzone sentimentale-lacrimevole ‘O surdato ‘nnamurato di Cannio e Califano (1915), Come pioveva, Come le rose, Cara piccina di Pasquariello e Gill. Comunque il 1918 segna l’inizio della nascita della canzone “a tutti gli effetti”.
La canzone nell’età della radio
Fin dal 1924 sono sperimentate in Italia le prime trasmissioni radiofoniche, irradiate prima dall’U.R.I. (Unione Radiofonica Italiana), e poi dal 1927 dall’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche). Il mezzo radiofonico favorisce la diffusione e la notorietà delle canzoni e provoca un’evoluzione dei modelli musicali. L’esecuzione musicale diventa il sottofondo sonoro delle attività casalinghe e del lavoro artigiano; la fortuna della musica leggera porta al rapido declino la canzone popolare; le esecuzioni radiofoniche di musica classica provocano l’allontanamento delle classi borghesi e colte dalla pratica musicale. (U.Eco, 1965)
Gli anni venti segnano il tramonto della Belle Epoque, con ultime canzoni evocanti quelle atmosfere (Vipera, Balocchi e profumi, Rose Rosse, di E.A. Mario; Gastone; Addio Tabarin – 1922). Sono canzoni destinate esclusivamente ad un pubblico adulto e solo il fascismo orienterà la musica al pubblico giovanile, con lo scopo di esaltare le virtù “maschili” della società che voleva costruire. La canzone italiana presentava diffusi stereotipi, con l’uomo guerriero e conquistatore e la donna – secondo il caso - ora aggressivo oggetto sessuale, ora madre, sposa fedele, sorella.
Il commercio discografico e le contaminazioni musicali attraverso gli strumentali che lavoravano sulle navi-passeggeri, lungo le rotte atlantiche, portarono ad una rapida diffusione dei ritmi americani. Il jazz, in auge grazie anche a musicisti e compositori di origine italiana, one-step, fox-trot, shimmy, charleston, s’impongono tra i più giovani. Qualche musicologo parla di antitesi tra la musica americana di origine tribale e quella occidentale, dalle forme più classiche. Dall’America meridionale giungono i cosiddetti ritmi “latini”, sull’onda del successo di ritorno del tango, che generano canzoni, quali: Creola (1926), Tango delle capinere (1928). Sono canzoni destinate ad un successo particolare, soprattutto quando utilizzate per confezionare delle parodie irriverenti su personaggi e situazioni tipicamente italiane.
S’inizia a ballare, in luoghi pubblici, al suono delle orchestrine, ed a casa, con i dischi e con la radio. Il ballo si diffonde a tutti i livelli sociali e soprattutto il ballo non è più un’esibizione di distinte classi sociali.
Sono esperienze guardate con favore anche dai futuristi, incuriositi dalla modernità dei nuovi ritmi. Una parte non irrilevante del successo, è data pure all’affermazione del cinema (si pensi alla figura di Rodolfo Valentino) e del cinema sonoro (Il cantante di Jazz).
Anche il cinema italiano lancia dei motivi di successo, come Parlami d’amore Mariù (nel film di Camerini Gli uomini che mascalzoni! con De Sica), Vivere, Mille lire al mese.
Le battaglie ideologiche del fascismo d’esaltazione delle radici rurali, che accompagnano le grandi bonifiche, la battaglia del grano le campagne autarchiche, impongono la riscoperta del tratto popolare della canzone italiana, con decisi inserti dialettali e il recupero di motivi musicali localistici (El gagà del Motta, Chitarra romana, Firenze sogna).
Nel corso delle guerre d’Etiopia e di Spagna, durante le sanzioni contro l’Italia, la canzone si adegua al clima con la nota Faccetta Nera, oppure con la volgare Sanzionami questo. Diversi compositori si propongono di sollevare o di distrarre la gente comune dalle incertezze di quegli anni; s’impongono i filoni malinconici (Signorella, Non ti scordar di me), interpretati da Odoardo Spadaro, Beniamino Gigli, Rodolfo De Angelis, e lo swing italiano, grazie ad autori come Gorni Kramer ed interpreti quali Alberto Rabagliati, Natalino Otto e il Trio Lescano (Mister Paganini, Bambina innamorata, Ba-ba-baciami piccina, Ma le gambe, Non dimenticar le mie parole) che riusciva far passare la musica nord-americana, malgrado la censura fascista.
Un grande successo è garantito dal filone scherzoso, con canzoni che spesso erano una satira del regime e di alcuni influenti suoi esponenti: Bombolo, Ciri biribin, Quel motivetto che mi piace tanto, Pinguino innamorato, Maramao perché sei morto, Crapa pelada.
La canzone davanti ad un’altra guerra
I giovani entrano in guerra, accompagnati dai motivi del Valzer della candele, di Rosamunda, di Pippo non lo sa e da quelli riproposti del decennio precedente. I compositori cercano vie di fuga, con testi poco impegnativi, divagativi e tendenti al “non sense”, quali Tulipan, Evviva la torre di Pisa e Il Visconte di Castelfombrone che porta al successo il Quartetto Cetra. Arrivano anche le canzoni di guerra, come Vincere, Canzone dei sommergibili, La sagra di Giarabub fino a Le donne non ci vogliono più bene. In assoluto la canzone della guerra è Lilì Marlen di Lale Andersen, suonata e cantata universalmente da tutti gli eserciti in lotta.
I compositori italiani producono in quegli anni testi che rappresenteranno, in antitesi alla drammaticità di quei tempi, un’epoca: Bixio e Cherubini compongono Mamma, resa famosa da Beniamino Gigli nell’omonimo film; sempre il cinema lancia Ma l’amore no di D’Anzi e Galdieri e Voglio vivere così di D’Anzi e Manlio, cantata dal tenore Ferruccio Tagliavini. In particolare, la canzone Ma l’amore no riscuote un grande successo grazie all’interpretazione canora di Lina Termini ed all’attrice Alida Valli. Arrivano poi La famiglia Brambilla, Oi Marì, Ho un sassolino nella scarpa, e con la guerra partigiana, le canzoni di lotta, spesso riprese ed aggiornate dai canti politici della guerra di Spagna o dell’emancipazione politica dei lavoratori (La Brigata Garibaldi, Pietà l’è morta, Fischia il vento, Bella ciao).
Nel sud d’Italia, mentre si stavano imponendo i nuovi ritmi, come il boogie woogie, c’era ancora spazio per qualche novità, capace di recepire il rinnovamento, ma anche il senso della transizione (Dove sta Zazà di Cioffi e Cutolo; Tammuriata nera dell’intramontabile E.A. Mario).
Il dopoguerra: voglia di rimozione e di minimizzazione.
Il clima del dopoguerra è bene rappresentato dal ritornello di Simmo ’e Napule: “Scurdammoce o passato!”, in quanto il compito della canzone è di sollevare lo spirito degli italiani. Sotto la pressione della musica leggera americana, si afferma il protezionismo mercantile di quella italiana, con la definizione di una “canzone all’italiana”. La produzione predilige i consueti filoni, amoroso (Pino solitario, Addormentarmi così, La signora di trent’anni fa), giocoso (I pompieri di Viggiù, I cadetti di Gauscogna, Avanti e indrè). La questione del confine orientale diviene spunto per Trieste mia cantata in un film da Luciano Tajoli, e per Vola colomba, grande successo di Nilla Pizzi, al Sanremo del 1952.
Tra la fine degli anni quaranta e inizi degli anni cinquanta, la canzone italiana rimane isolata e non segue le linee di rinnovamento che giungono dall’incubazione del rock americano o dall’apporto “alto” dei poeti dell’esistenzialismo alla canzone francese (Sartre, Prévert, Queneau). Casomai giungono i ritmi latino-americani, importati attraverso le commedie musicali di Macario e di Wanda Osiris. La canzone italiana sopravvive negli accompagnamenti musicali delle prime pubblicità televisive, nelle esecuzioni delle orchestre che operano all’interno della Rai (Angelini, Barzizza, Canfora, Trovajoli, Kramer, Luzzati), e nel festival di Sanremo e pure in quello della canzone partenopea. Sono gli anni di Campanaro, Buongiorno tristezza, Vecchio scarpone, ma anche del boom dei dischi con Grazie dei fior interpretata da Nilla Pizzi (1951), Papaveri e papere, Casetta in Canadà e Tutte le mamme (1954).
La svolta del 1955
Nel 1955 l’innovazione giunge dalla canzone napoletana (si ripassa per una piazza musicale delle origini) con Roberto Murolo e soprattutto con Renato Carosone; egli forma un trio con Gegè di Giacomo e Peter Van Wood ed approda ad un gruppo orchestrale che riprende i motivi nord americani, questa volta riletti nei riflessi mediterranei (Caravan Petrol, Torero, Tu vuo’ fa’ l’americano). Si afferma pure Fred Buscaglione, deceduto nel 1960 in un incidente, che introduce una canzone, sullo stile francese, in versione comico-demenziale, vero manifesto degli anni del boom economico (Che bambola!, Teresa non sparare, Eri piccola così).
Altra innovazione giunge dalla canzone da “night”, dal tono confidenziale, per voce e
pianoforte, con le esecuzioni dei giovani Peppino di Capri, Fred Bongusto (Una rotonda sul mare) e del più maturo Bruno Martino (E la chiamano estate…).
Una linfa praticamente perenne giunge dalle esibizioni dei complessi, come il Quartetto Cetra, dal lancio dei primi cantautori, come Domenico Modugno, con Vecchio frack (1954), che trova la fama definitiva quattro anni più tardi a Sanremo con Nel blu dipinto di blu (Volare). Allora il festival della canzone non lanciava i cantanti ma le canzoni, che erano presentate in due versioni canore e le prime trasmissioni televisive erano centrate solo sulle canzoni, come per il caso de “Il Musichiere” di Mario Riva. I cantanti, invece, trovavano la loro fama nelle commedie musicali, soprattutto quelle firmate da Garinei e Giovannini, ed interpretate da artisti come Renato Rascel.
Il 1959, l’anno del “boom economico” è accompagnato da un grande fervore che si traduce, nel campo della musica italiana, in nuove esperienze echeggianti i ritmi americani e soprattutto la forte penetrazione del rock a’roll: arrivano a Sanremo un giovane Adriano Celentano, che aveva già lanciato la canzone Il ribelle, seguita da 24 mila baci, vista come totale rivoluzione della canzone all’italiana: non piacque nemmeno agli intellettuali di sinistra, troppo distanti dei fenomeni mediatici ed ancorati alle teorie del rilancio del lirismo impegnato politicamente, che aveva portato ad esperienze come “Nuovo Canzoniere Italiano” e “Cantacronache”; ballate popolari che narravono storie di emigrazione, di sfruttamento del proletariato.
I primi anni sessanta: tra boom adolescenziale e cantautori
L’arrivo sulla scena, dal 1964, di cantanti giovani e giovanissimi, sull’onda del successo inglese dei Beatles, che sostituiscono piccole “band” musicali, con una batteria e chitarre elettriche, offre una nuova dimensione alla canzone italiana. Si era mosso, per un’altra linea il citato Celentano, che presto formerà il “Clan” con Don Backy, Pilade, Migliacci, Mogol, mentre Mina (Annamaria Mazzini), nel 1958 aveva già stupito con Le mille bolle blu, che aveva scandalizzato critici e benpensanti per la carica di appeal che era in grado di trasmettere e per il testo modernissimo ed apparentemente demenziale, mentre ben pochi si erano accorti delle sue reali estensioni canore, paragonabili – all’epoca – a quelle del soprano Maria Callas.
Iniziano le rivalità, vere o montate dalla stampa periodica, tra le nuove regine della musica italiana: Mina e Milva, quest’ultima sostenuta da quella larga parte di pubblico che sentiva ancora vivo il contributo alla canzone italiana, dato da quella francese, degli ambienti esistenzialisti e della “novelle vague”.
Si affermano progressivamente anche i cantautori italiani, espressione di un rinnovato lirismo che trae spunto dalle contraddizioni della vita quotidiana. E’ un fenomeno prettamente settentrionale, che s’identifica nelle due città. Genova e Milano, che hanno visto il più forte afflusso di emigranti, attratti dalle opportunità dello sviluppo industriale. Si affermano progressivamente Fabrizio De Andrè, Gino Paoli, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Luigi Tenco, fino a Guccini e Lucio Dalla, quest’ultimo proveniente dall’esperienza rock ballabile e dalla stagione dei complessini, come i “Flipper”, e transitato attraverso forme di sperimentazione canora. Sono autori legati all’esperienza della canzone francese, a quella di Brel e di Brassens, mentre altri si avvicineranno alla cosiddetta “British invasion”, come Paolo Conte, Lucio Battisti, come d’Oltremanica giungeranno cantanti e gruppi musicali di esportazione che goderanno di una certa notorietà.
Le spallate musicali inglesi non scuotono ancora la musica italiana, che si rigenera nelle sonorità dei teen-ager, scoprendo attraverso i molti concorsi per voci nuove (Castrocaro, per tutti) i nuovi idoli: Rita Pavone, Gianni Morandi, Patty Pravo (direttamente dagli ambienti del locale da ballo “Piper” di Roma), Johnny Dorelli, il casco d’oro Caterina Caselli.
Se da una parte le vocalità degli americani “Platters” sembrano già lontane ma non irriproducibili, come nel caso del successo di Bobby Solo, nel panorama musicale italiano, dall’altra la canzone italiana continua a sfornare facili ed orecchiabili successi, trascinati dalle migliori edizioni televisive di Canzonissima, dai film-musicarelli e dalla fortuna dei motivi balneari, interpretati principalmente da Edoardo Vianello (Watussi, Abbronzatissima,…) dai Los Marcelos Ferial (Quando calienta el sol), da Fred Bongusto (Frida, Una rotonda sul mare), da Franco I e Franco IV (Ho scritto t’amo sulla sabbia), da Nico Fidenco (Legata a un granello di sabbia), da Jimmy Fontana (Luglio), fino a Mario Tessuto (Lisa). Sono gli anni delle prime vacanze estive, celebrate come un rito collettivo, inevitabilmente accompagnate dai juke-box, che rilanciano i successi di Mina (Città vuota, E’ l’uomo per me).
Continua la stagione del rock ‘a roll con Little Tony ed i suoi successi, come Cuore matto, mentre un’altra rivoluzione generazionale si profila all’orizzonte, alla quale i gruppi musicali più avvertiti, i complessi, si stavano rivolgendo, importando le versioni in italiano dei maggiori successi inglesi ed americani: sono, tra gli altri, i “Dik Dik”, l’ “Equipe 84”.
Nel 1967 esce in Inghilterra il disco dei Beatles “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, a Monterey si tiene il festival della musica pop, a San Francisco i giovani sfilano accompagnati dalla musica, e in quell’estate le canzoni più gettonate dagli italiani sono: A whiter shade of pale dei Procol Harum, Nel sole di al Bano, La banda di Mina, La coppia più bella del mondo di Celentano e Claudia Mori, A chi di Fausto Leali, Dio è morto dei Nomadi, Stasera mi butto di Rocky Roberts, Pugni chiusi dei Ribelli, Parole di Nico e i Gabbiani.
Il rivoluzionario ’68 fu dichiarato “fiacco” sotto il profilo della produzione musicale italiana, eppure De Andrè scandalizza con Si chiamava Gesù, Sergio Endrigo vinceva Sanremo con Canzone per te, Caterina Caselli vinceva il Cantagiro con Il volto della vita, Patty Pravo entrava in classifica con La bambola, esplodeva l’irrivenza di Enzo Jannacci con il profetico Vengo anch’io; infine arriva dalla Francia Sylve Vartan con Come un ragazzo e nel film Nel sole vengono lanciati al Bano e Romina Power. Tuttavia i maggiori successi sono le esecuzioni di autori stranieri e le versioni italiane di brani esteri: La nostra favola, Io per lei, Ore d’amore, Affida una lacrima al vento.