Inno alla gioia per la
rinascita del Petruzzelli
Ieri l'inaugurazione a 18 anni dal rogo.
Istituzioni divise, veleni tra i partiti
rinascita del Petruzzelli
Ieri l'inaugurazione a 18 anni dal rogo.
Istituzioni divise, veleni tra i partiti
ALBERTO MATTIOLI
BARI
Morte e resurrezione di un teatro. Il Petruzzelli di Bari rinasce dalle sue ceneri, come tanti teatri uccisi prima di lui, la Scala, la Fenice, il Regio, il Liceu. Era stato carbonizzato da un incendio doloso di cui, 18 anni dopo, si conosce l’esecutore. Ma non il mandante, ennesimo mistero italiano da archiviare negli armadi della cattiva coscienza nazionale.
Ma oggi il Petruzzelli è com’era e dov’era, splendido nel rosso mattone dell’esterno e nel bianco e oro della sala. Con gli stucchi, i fregi, i velluti. Con un’acustica eccellente e, dicono, migliorata «rispetto a prima». Con gli incredibili grifoni sul boccascena, modellati a Cinecittà. E con Apollo raggiante sulla facciata. «Apollini Musisque redditum», restituito ad Apollo e alle Muse, sta scritto sul frontone del Teatro Nazionale di Monaco, anche lui, guarda le coincidenze, rinato dopo 18 anni di macerie.
Ma il Petruzzelli risorge anche al termine di una specie di guerra civile politico-giudiziaria, dove è difficile per i baresi e quasi impossibile per gli altri raccapezzarsi in una giungla di diritti pregressi e drittate da fessi, torti e ragioni, ostruzionismi e follie burocratiche. Ma che, in pratica, si traduceva in quel che questo giornale ha raccontato undici mesi fa: un teatro nuovo, pronto, bellissimo che restava chiuso aspettando che una politica mai così miseramente politicante decidesse a chi dovevano andare la visibilità mediatica e i dividendi elettorali della riapertura.
Bene, dalle 19.36 di ieri il Petruzzelli ha smesso di essere un caso politico per tornare a essere una casa della musica, uno di quei luoghi che sono di tutti perché di tutti è la bellezza. E infatti ieri sera sembrava bello perfino Fratelli d’Italia. Però la festa vera, in realtà, si svolgerà oggi. L’idea del sindaco, Michele Emiliano, quando sembrava ancora che si potesse collocare l’inaugurazione al 6 dicembre scorso, festa del patrono san Nicola, era quella di riservarla ai trecento giovani e forti che il teatro l’hanno materialmente ricostruito con le loro mani (e a giudicare dal «come», con mani d’oro).
Più 1.200 cittadini estratti a sorte fra tutti quelli di Bari e dintorni che ne avevano fatto domanda. Poi, si sa, tutto si è fermato: secondo Emiliano, perché il centrodestra non voleva che a riaprire il teatro fosse lui, sindaco di centrosinistra a caccia del secondo mandato; secondo il centrodestra, perché non erano risolte tutte le intricate questioni legate alla proprietà dello stabile (che peraltro non lo sono ancora: i Messeni Nemagna, discendenti dei fondatori, sono sul piede di guerra e minacciano di ribloccare tutto. Con i ritmi italiani, la questione sarà risolta per il 2030...). Poi Emiliano è stato rieletto, ma la situazione restava incastrata: governo Pdl, Regione Pd, Provincia Pdl, Comune Pd. E Petruzzelli chiuso.
A settembre, colpo di scena. La Provincia decide di prestare la sua Orchestra, che dovrebbe diventare quella della Fondazione Petruzzelli, ma non è certo perché si dice che la cessione sia subordinata alla sostituzione del rappresentante della Provincia nel consiglio di amministrazione della Fondazione, il quale consigliere ha il torto di essere stato «indicato» dall’amministrazione provinciale precedente, che era di sinistra e non di destra: i soliti rebus. Ma intanto, via libera all’inaugurazione. Però riservata ai vip, non ai nip. E così è stato: il popolo è stato rimandato a oggi, quando ci sarà la «prima» numero due, che secondo Emiliano è poi la «prima» vera.
Naturalmente, la vigilia del dì di festa è stata turbata dalle polemiche, con l’ultrasinistra che manifesta in piazza, i politici di destra timorosi di contestazioni e quelli di sinistra nella solita incertezza: mi si nota di più se vado o se non vado? Ne è nata una celebrazione un po' in tono minore. Non c’era Berlusconi, e si può capire, ma non c’era nemmeno il ministro Bondi, e qui capire è più difficile: il governo era rappresentato dal ministro pugliese Raffaele Fitto (diplomatico: «È il punto di arrivo di un lavoro corale») e da Gianni Letta.
Pochi i soliti noti non baresi (Massimo D’Alema, Umberto Veronesi), non pervenuta la barese più nota del momento, cioè Patrizia D’Addario. Poi ufficiali con il berretto in testa, eccellenze reverendissime, stampa in castigo in loggione fra fotografi scatenati e telefonini impazzanti e signore in total black come dovunque nel resto d’Italia, ma qui omaggiate di molti baciamano (per inciso, perfetto quello di Letta).
Quanto allo spettacolo, è chiaro che ormai il modello televisivo dilaga anche dove non dovrebbe. Quindi c’erano il bravo presentatore (il giornalista Duilio Giammaria), il bell’applauso e troppe parole di troppo, con addirittura quattro-discorsi-quattro: Emiliano è commosso-ecumenico («Concordia ritrovata»); il presidente della Provincia, Francesco Schittulli, stabilisce il nuovo record mondiale del luogo comune («La musica è arte, l'arte è cultura», ma dai?); quello della Regione, Nichi Vendola, applauditissimo, cita la Bibbia, la Norma e la voglia di riscatto del Sud; Gianni Letta, lenitivo, Boccaccio e la voglia d’armonia.
Belle le proiezioni video sulla cupola, per evocare gli affreschi sì belli e perduti della sala originale. Poi, finalmente, la parola passa a Beethoven: Nona sinfonia obbligata per via dell’Inno alla gioia e della sua presunta invocazione all’embrassons-nous universale, in un’esecuzione piuttosto muscolare ma nel complesso riuscita dell’Orchestra della Provincia e del Coro della Fondazione diretti da un promettente enfant du pays, Fabio Mastrangelo.
Ora, sulle magnifiche sorti e progressive della musica nel nostro Paese è lecito dubitare, se una platea di «autorità» applaude compatta alla fine del primo movimento di una sinfonia. E il momento per riaprire un teatro d’opera non è certo dei migliori: auguri ai coraggiosi. Però il Petruzzelli è tornato al mondo, una città si riconcilia con la sua storia e questa Patria sempre ferita da ieri lo è un po’ meno. Comunque sia andata, è stato un successo.