di Lorenzo Di Donato
Negli ultimi giorni di novembre o, senz’altro, sotto l’Immacolata, li sentivamo arrivare da lontano, gli attesi zampognari, perché si annunziavano dalla strada con gli inconfondibili suoni dei loro antichi strumenti: la zampogna e la ciaramella.
Con la zampogna dal sacco di pelle di ovino, la ciaramella e le “canne” di ciliegio o d’ulivo, le ritorte ciocie, i gambali di pecora tenuti da strisce di pelli che tenevano su anche i pantalonacci alla zuava, la camicia di flanella a quadrettoni, il consunto giubbino di pelle, il mantello a ruota, il cappello conico, la bisaccia sulle spalle, a noi bambini essi ricordavano tanto i terribili “briganti” meridionali riportati nei nostri libri scolastici e perciò c’incuriosivano ed intimorivano, inizialmente.
Suonare la zampogna durante il periodo natalizio -andando di famiglia in famiglia, accontentandosi di fortunosi pasti ed avventurosi bivacchi per guadagnare una remunerazione che non sempre era retribuito con danaro spendibile- era un’attività stagionale sufficiente a superare senza danni l’inverno per gente che, lassù in montagna, non avevano di che scialare anche nei mesi non invernali. Nella loro bisaccia andava a finire di tutto: salumi, pane, farina, olio, legumi, biscotti o dolci di Natale. Nel loro portafoglio andavano a finire anche le poche o molte lire pattuite per i loro “concerti” davanti alla statua dell’Immacolata, prima, e al presepe, poi, per l’intera novena..
I più bravi tra loro, i più fortunati (o quelli che non erano dell’alto Matese o dell’alta Irpinia e, quindi, poiché si muovevano solitamente a piedi, potevano raggiungere più facilmente Caserta) ritornavano anche la mattina dell’Epifania per accompagnare e precedere la processione in onore di Gesù Bambino, che quasi ogni parrocchia svolgeva.
Nostra madre pattuiva con gli zampognari non solo il compenso per i “concerti” ma anche l’ora in cui essi dovevano essere eseguiti: non la mattina, perché eravamo a scuola, né la sera tardi perché, lei ci diceva, “arrivano sempre avvinazzati e che novena a Gesù possono fare?”. E se queste condizioni non erano compatibili col giro degli zampognari, ne faceva a meno, con nostro disappunto. Alla fine del contratto verbale c’era lo scambio, rituale, dell’anticipo sul dovuto con le “cucchiarelle” di legno, che gli zampognari erano soliti lavorare con il coltello durante il loro tempo trascorso a guardia del loro gregge. Le cucchiarelle erano usate di preferenza durante la cottura della polenta e durante la lunga preparazione del ragù.
La mamma, da suo punto di vista, aveva ragione per volere gli zampognari non a tarda sera. Infatti, quando qualche volta il giro degli zampognari era più lungo del solito, il “concerto” diventava strano e, per noi, divertente, perché gli zampognari, abbastanza brilli per qualche bicchiere bevuto di troppo (ed era usuale specialmente la Vigilia di Natale, dovendo salutare tante famiglie), la tiravano a lungo con la loro tradizionale suonata. Allora noi, più grandicelli e smaliziati, allungavamo alla “ciaramella” la cinque o la dieci lire e le suggerivamo “O campagnola bella” ed analoghe. La ciaramella subito attaccava il ritornello richiesto, non sempre seguita però prontamente dalla zampogna appesantita dai fumi del copioso vino ingerito, con gran godimento nostro per lo strano concerto. Quando riuscivano a trovare l’intesa, noi ne accompagnavamo il ritmo con battute di mano. Il nostro divertimento era anche l’attesa della reazione di mamma, che s’incavolava di brutto e poi minacciava: ”Se domani venite alla stessa ora, è meglio che non vi presentate proprio! E’ un’indecenza!”, per poi cercare di rifilare un manrovescio a chi di noi le era più vicino.
E poi sono nati i miei figli.
Giuro! Ho cercato di conservare a loro la bella usanza della novena di Natale davanti al presepe, sopportando la mancanza di ciocie e di gambali in pelle arrotolata e tenuta da strisce, l’ostentazione del cappello floscio e della giubba di nylon nonché l’arrivo degli zampognari prima in motoretta e poi in auto, ma poi, di fronte al sacco di una zampogna ricavato da una vecchia camera d’aria di auto, non ho retto ed ho chiuso il rapporto con loro.
Oggi nelle nostre contrade non s’ode più il suono della zampogna e della ciaramella.
L’ultimo incontro con esse l’ho avuto qualche anno fa a Roma, in piazza di Spagna. Che delusione quel vestito da boutique! E quel cappello posto lì davanti per l’offerta dei passanti, poi!